Benigni, aedo del potere contro la Costituzione

L’inquietante sensazione è che il marketing di Sanremo si sia mangiato proprio tutto: perfino il presidente della Repubblica, voluto e acquisito al Festival dall’onnipotente manager di Amadeus e Benigni, in una indecorosa […]

(DI TOMASO MONTANARI – Il Fatto Quotidiano) L’inquietante sensazione è che il marketing di Sanremo si sia mangiato proprio tutto: perfino il presidente della Repubblica, voluto e acquisito al Festival dall’onnipotente manager di Amadeus e Benigni, in una indecorosa “privatizzazione” della massima magistratura repubblicana, all’insaputa degli organi di governo del servizio (già) pubblico.

Del resto, la forza di Sanremo è questa: essere sempre, nel bene e nel male, lo specchio fedele dello stato delle cose. Ed è innegabile che l’imbarazzante rappresentazione della nostra eterna società di corte, col sovrano benedicente in persona e l’aedo osannante, sia stata terribilmente efficace: proprio perché capace di raccontarci per come siamo veramente, al di là delle intenzioni dei protagonisti. Per la stessa ragione, il preteso inno d’amore di Roberto Benigni è stato così imbarazzante: perché la Costituzione è tutto tranne che uno strumento di celebrazione del potere costituito. La Carta – diceva Piero Calamandrei – “è una polemica contro il presente, contro la società. Perché quando l’articolo 3 vi dice ‘È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana’ riconosce con ciò che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto, e che bisogna rimuoverli. Dà un giudizio, la Costituzione! Un giudizio polemico, un giudizio negativo contro l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare”. Ebbene, la retorica fluviale di un Benigni autoridottosi a cantore dello stato delle cose è esattamente il contrario di queste parole acuminate: la Costituzione viene depotenziata, messa al guinzaglio, normalizzata. Diventa un bel sogno, del tutto inconferente con una realtà che, anno dopo anno, la contraddice sempre più profondamente. Bisognerebbe ricordare, allora, che la Costituzione è “sorella” di chi si batte davvero per farla rispettare e attuare: non di chi assiste inerte a questa deriva, rimanendo al potere da decenni. Altrimenti nulla rimane della “rivoluzione promessa” che, sempre secondo Calamandrei, vi è racchiusa: la Carta diventa un soprammobile trasmesso per via ereditaria, un innocuo sedativo utile ad addormentare del tutto le coscienze. L’apice dell’ipocrisia si è toccato nel passaggio sulla prima parte del primo comma dell’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra”. “Il verso di una poesia, una scultura”, l’ha definita Benigni, esaltandone “la forza, la bellezza, la perentorietà”, e concludendo che “se questo articolo lo avessero adottato le altre Costituzioni del mondo non esisterebbe più la guerra sulla faccia della Terra”. Fosse stato presente un bambino, uno di quelli capaci di dire che il re è nudo, avrebbe potuto urlare che non basterebbe affatto che altri Paesi adottassero questo articolo: lo dovrebbero poi anche attuare! Perché se lo facessero con la stessa coerenza dell’Italia, allora le guerre sarebbero ben lungi dallo scomparire.

Un anno fa, al tempo dei primi invii di armi all’Ucraina aggredita dalle truppe di Putin, i costituzionalisti si divisero tra chi riteneva quell’aiuto compatibile con l’articolo 11 e chi invece riteneva che fossimo fuori dalla Costituzione. Tutti, però, concordavano che se quell’invio non fosse stato immediatamente accompagnato da una forte azione diplomatica allora si sarebbe configurata la situazione di una risoluzione di una controversia internazionale solo attraverso l’uso della forza. Che è esattamente ciò che la Costituzione vieta: ed è anche esattamente ciò che, purtroppo, è poi puntualmente successo. Ci possono essere ben pochi dubbi, oggi, sul fatto che il continuo invio di armi, e la nostra partecipazione a un fronte occidentale che prolunga la guerra come mezzo per contrastare l’influenza di Russia e Cina, sia contrario allo spirito e alla lettera della Costituzione. Appare chiaro che l’Italia non sta lavorando per la pace, ma per la “vittoria” contro Putin: ciò che la Costituzione ci proibisce di fare! La guerra, insomma, non la stiamo affatto ripudiando: come dimostra a usura la presenza di un esponente di spicco dell’industria delle armi al ministero della Difesa.

Non è la prima volta che accade, purtroppo. Nel 1999 il primo governo D’Alema (di cui Sergio Mattarella era vicepresidente del Consiglio; per poi passare alla Difesa nel secondo dicastero D’Alema) partecipò a una guerra illegittima sia per la Carta dell’Onu sia per la nostra Costituzione. Non c’è da stupirsi: la logica del potere non è la logica della Costituzione. Quel che invece deve stupirci, e indignarci, è l’ipocrisia con cui un artista si piega al servo encomio e alla propaganda che tutto questo vorrebbe nascondere. “L’arte e la scienza sono libere”, dice la Costituzione: ma se sono gli artisti a consegnarsi a una servitù volontaria, allora per l’ennesima volta quelle parole rimangono inerti.

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5 replies

  1. Sanremo
    L’immoralità è andata in onda
    Dalla Costituzione alla guerra
    Senza rispetto alcuno
    Alla coerenza o alla dignità
    E senza risparmio di Istituzioni.
    Quando c’è mercato, c’è tutto.

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  2. Ciao Viviana!
    Come si cambia ….tiene famiglia… ricordate “Tutto bnenigni 95/96”? … ecco tutto un’altro personaggio!

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  3. Molto molto bene ! Bene per il contenuto e l’esposizione ovviamente. Molto male invece perchè la realtà è questa. Benigni ? Un pagliaccio scaduto, ma anche Mattarella a Sanremo non è edificante .

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  4. Certamente è l’applicazione della Legge che conta. La parte prima della ns legge fondamentale risulta la migliore sintesi fattibile delle culture politiche esistenti alla fine della seconda guerra mondiale e l’art. 11 per applicarlo, l’Italia sarebbe dovuta divenire come la Svizzera. Al contrario dal 1949 si aderì alla Nato e l’articolo divenne «l’Italia ripudia la guerra se la Nato lo consente». Nessun governo e politico al potere agì mai in direzione opposta. Nemmeno l’obiettivo 16 del Millennio dell’ Onu riesce a formulare il ripudio della guerra e parla di violenza generica. La guerra è un tabù delle civiltà umane che si basano sul dominio della Natura e lo sfruttamento delle risorse esistenti. Forse i padri costituenti l’avevano capito e per questo non citarono tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi all’interno della Carta: il ripudio della guerra implica il rispetto e la coesistenza con l’ecosistema e tutte le specie viventi. Mi permetto di osservare che Calamandrei era uno dei 556 costituenti di cui 21 donne, eletto nel Partito d’Azione. Esso alle elezioni dell’Assemblea Costituente raccolse 334748 voti pari all’1,45% conquistando 7 parlamentari (per avere un’idea dello stato della ns democrazia Unione Popolare nelle ultime elezioni ha raccolto 402987 voti pari all’1,43%). Il gruppo era così esiguo che per darsi forza si sciolse (Calamandrei era contrario) e si associò al Partito Sardo d’Azione con due eletti e al deputato valdostano Giulio Bordon, eletto per il Fronte Democratico Progressista Repubblicano che in Valle d’Aosta rappresentava il fronte anti-DC, dando così vita al gruppo autonomista dentro l’Assemblea Costituente. A margine il Pd’A aveva come simbolo una fiamma rossa con centro una spada a richiamare la bandiera delle brigate partigiane Giustizia e Libertá. È bello dare voce alle minoranze, tuttavia il contributo di Calamandrei alla ns Carta Costituzionale è minoritario rispetto a quello di suoi colleghi di partito. A tal proposito è opportuno ricordare che egli guardava al modello politico statunitense o al sistema britannico, risultando assolutamente minoritario. Fu lui a divulgare la storia della Costituzione di compromesso tra socialcomunisti e democristiani. Però negli anni si erse a difensore della Carta, soprattutto durante il processo a Danilo Dolci. il dramma antropologico a cui si sta assistendo è che a parlare della Costituzione in TV ci va un guitto, divenuto cantore di Dante dopo aver preso in braccio Berlinguer padre. Secondo il nostro Ministro della Cultura un autentico rossobruno. La conseguenza di ciò è che per difendere la Carta si adottano argomentazioni modaiole e polemiche di bottega senza nemmeno tentare di spiegare cosa significa veramente quell’articolo 11 e perché esiste. La rivoluzione è violenza e guerra civile, contraria all’art 11. Calamandrei lo sapeva bene, non meno dei padri e madri (poche ma importanti) costituenti che scelsero per una visione alternativa da applicare alla Carta. Parlare della ns Carta Costituzionale come di una rivoluzione promessa è quindi giuridicamente politicamente ed culturalmente sbagliato. Secondo me fa il gioco Politico di chi la vuole stravolgere.

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