L’ipocrisia di Kiev sulla tregua

Zelensky può permettersi di fare il bullo con Mosca solo perché ha gli arsenali pieni di armi che gli forniamo anche dall’Italia.

(Gaetano Pedullà – lanotiziagiornale.it) – A che livello di appiattimento ideologico siamo arrivati se Putin offre una tregua, Zelensky la rifiuta definendola insieme a Biden una provocazione e nessuno si indigna per questa reazione? Certo, fare la pace è più difficile che fare la guerra, ma se non si comincia da qualche parte, cogliendo anche i minimi segnali, i conflitti possono durare secoli.L’ipocrisia di Kiev sulla tregua

Per questo la piccola concessione strappata dal premier turco Erdogan, col pretesto del Natale ortodosso, era un’opportunità da non perdere. E il fatto che il governo di Kiev, spalleggiato dagli americani, abbia respinto l’invito, rivela plasticamente un altro pezzetto delle responsabilità del Paese invaso in questa tragedia che ha già lasciato sul terreno migliaia di vittime, e impoverito tutta l’Europa.

Il fatto più incredibile, però, è che Zelensky può permettersi di fare il bullo con Mosca solo perché ha gli arsenali pieni di armi che gli forniamo anche dall’Italia, con l’effetto di prolungare una guerra che a questo punto non ha più speranza di concludersi prima che uno dei due belligeranti costringa l’altro alla resa.

Un’epilogo, dunque, improbabile, visto che la Russia è un tantino più popolata dell’Ucraina, oltre che per il possesso di un imponente quantità di bombe nucleari, mentre Kiev può contare su soldi e armi illimitatamente.

La tregua rifiutata, con le spiegazioni da azzeccagarbugli che abbiamo già sentito ieri, ci aiuta a capire, però, quanto ci sia di ipocrita in certi leader che parlano di pace ma poi non ci pensano neppure un attimo a posare il moschetto.

22 replies

  1. Per l”Occidente vale (quasi) sempre l”autodeterminazione dei Popoli .
    Quindi quando l’Ucraina difende i suoi territori, tutto ok.
    Quando i russi del Dombass difendono i loro , va un po’ meno bene.
    Per alcuni l’autodeterminazione vale sempre e a qualunque costo, per altri un po’ meno.

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  2. radical scic .io capisco che la pace sia il bene per tutti,ma i russi che mandano navi da guerra nel mediterraneo per voi è normale, è normale che da la libia arrivano in un anno mi pare 100.000 m migranti e in libia putin c’è, questo da quello che io ho capito vuole il mediterraneo e io degli omofobi,stronzi e ignoranti di russia comandare non ne voglio, se non voglio gli usa figurarsi i russi, ma sapere voi ragionare o no?Putin è da sconfiggere altra via non c’è e dal mediterraneo deve smammare e subito, caxxo la volete capire o no

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  3. Ma è lo stesso Vlad che ha bombardato Kiev a Natale e Capodanno, nonostante tutti gli appelli della comunità internazionale, Papa incluso?!?

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    • Biden, invece, buonuomo, deve aver passato un Natale guardando uno di quei film natalizi pieni di buoni sentimenti dopo andato a messa di mezzanotte…

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    • Ah, perché conta il NOSTRO Natale, non il loro…beh, certo, le NOSTRE tradizioni vanno rispettate nell’universo, a scapito di ogni altra.
      E com’è che Kiev continua a bombardare anche durante il LORO stesso Natale, senza nemmeno un’alzata di sopracciglio da parte dei media?
      È notizia ANSA, subito sparita, per far posto a supposti rimpalli e bombardamenti RECIPROCI… non fosse mai che si capisse bene CHI È che vuole continuare la guerra sino alla… vittoria (ahahah).
      Senza le nostre armi, la guerra non sarebbe mai nemmeno iniziata, il pagliaccio avrebbe dovuto rispettare gli accordi di Minsk, tenendo il Donbass, e l’Ucraina sarebbe rimasta neutrale… magari SENZA MORTI.
      Ma che cavolo gliene frega al cocainomane di aver fatto massacrare il suo popolo…ormai avevano preso i 5miliardi, come rinfacciato dalla stron2ona di “Fuck the EU”(non ricordatemi il suo miserabile nome) e dovevano versarsi per la GUERRA ANTIRUSSA degli USA.
      Applausi!!!

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      • Eccola lì, la Maria Zacharova de noantri, quella che fa finta di non sapere dei trentamila soldati russi senza insegne che nel 2014 hanno prima annesso proditoriamente la Crimea in barba ad ogni diritto internazionale, e poi hanno fiancheggiato, finanziato, armato i secessionisti del Donbass (che volevano l’indipendenza sia da Kiev che da Mosca), invadendo di fatto l’Ucraina, facendo migliaia di morti civili e mettendo il cappello su giuste richieste di autonomia (ripetiamo, sia da Kiev che da Mosca) per le proprie ambizioni neo-imperialiste di annientamento dell’Ucraina come cultura e come nazione.
        Che non dice una parola sui 200.000 morti Ceceni spianati da Vlad, che avevano le medesime istanze secessioniste, stavolta da Santa Madre Russia, che fa finta di non vedere i 50.000 neonazisti schierati da Prighozin e gli altrettanti tagliagole islamisti di Kadyrov, che avalla un criminale che ha già mandato al macello oltre centomila suoi concittadini, in gran parte ragazzini senza alcuna preparazione militare, che fa finta di non sapere dell’infame alleanza con i barbuti Pasdaran sessuofobici iraniani, ma che se uno Stato sovrano fa una legittima alleanza/accordo anche militare con un altro Stato sovrano (in questo caso gli US), strilla all’imperialismo illegittimo dell’Occidente cattivo, che lo è e lo stato eccome, ma in questo caso è il meglio che passa il convento.

        E questo è in risposta ad Anail.
        Back in the USSR!!!

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    • Come dovrei risponderti, con la tua stessa scortesia?
      Eccolo, il Mentana di Infosannio!
      O la Tymoshenko de noantri, che è sicuramente peggio della Zacharova…
      Certo che te la canti e te la suoni, con grande convinzione e fervore ossessivo.
      Con te la propaganda NATO non deve neanche sforzarsi… sei abilissimo nel ripetere a pappagallo tutto quello che ti raccontano e già l’incipit delle tue controargomentazioni ne rivela l’origine.
      In Crimea forse non hai notato, contrariamente al Donbass da parte di Kiev, l’assenza della minima azione militare russa e le folle plaudenti, dopo un referendum che, ovviamente, non era valido, suppongo… non avendo l’imprimatur dei tuoi amici, tanto generosi, invece, nel caso del Kosovo…
      Il resto è un rigurgito di accuse che non mi interessano, non solo perché non attinenti, ma perché non sono mai stata schierata in difesa della Russia tout court, tantomeno dell’URSS (ma perché, allora, non risalire a Ivan il terribile o a Russka)
      Ti è sfuggito un articolo di Infosannio, mi sa.
      Come mai… troppo lungo e indigesto?
      Te lo ripropongo, casomai volessi sollevare mezza palpebra, dopo il lungo sonno indotto.

      https://infosannio.com/2023/01/05/la-macchina-della-propaganda/

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  4. Ci sarà da ridere quando presenteranno il conto al signor Z””…non vorrei essere nei suoi panni!
    Povera Ucraina…noi pronti a ricevere chi fuggirà!

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  5. Invece l’Italia nazifascista fu liberata dai partigiani e gli Alleatil non si fecero ridare neppure un dollaro per essere venuti a morire per i nostri nonnetto e genitori.
    Mussolini tentò la fuga con tesoro e amante al seguito, Zelensky e rimasto sotto le bombe a Kiev.
    W gli itaGliani smemorati.

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      • Grazie, Vyrgi… articolo interessantissimo!
        Mi permetto di pubblicarne una parte:

        “La dipendenza italiana dal dopoguerra a oggi

        Le radici della dipendenza italiana vanno ricercate nell’ultima fase della Seconda Guerra Mondiale, quando con lo sbarco alleato in Sicilia vennero poste le premesse per la futura collocazione geopolitica del nostro paese, nell’ambito dello scenario determinato dalla Guerra Fredda.
        Negli anni che seguirono la fine del conflitto gli Stati Uniti si assicurarono il controllo sul campo occidentale sia attraverso l’adesione dei paesi “alleati” (in realtà subalterni) alla NATO e al Piano Marshall –la cui necessità, contrariamente a quanto sostenuto dalla vulgata comune, fu indotta dagli stessi USA–, sia attraverso la pesante ingerenza sulle vicende politiche interne dei singoli stati, perseguita grazie all’opera della CIA e dei servizi segreti locali.

        – Il Piano Marshall

        L’interpretazione ormai consolidata propagandata dagli ambienti filo-atlantici descrive il Piano Marshall come frutto della generosità dell’alleato americano e come lo strumento indispensabile per dare il via al boom economico che i paesi dell’Europa Occidentale conobbero nel dopoguerra.
        La realtà si rivela però assai diversa, a cominciare dalla genesi. Diversi studiosi hanno mostrato come tra il 1945 e il 1947 paesi quali Francia, Gran Bretagna, Belgio e la stessa Italia diedero avvio a un intenso programma di ripresa industriale. A tale programma si affiancò una politica di sicurezza fondata su trattati difensivi classici, come il Trattato franco-britannico di Dunkerque (1947), mirante al controllo di una eventuale rinascita di una politica aggressiva da parte della Germania Ovest. La ripresa della produzione fu talmente soddisfacente che diversi paesi europei prevedevano addirittura di riuscire a rimborsare i propri debiti di guerra contratti con gli Stati Uniti. Nel 1947 una crisi finanziaria li mise però in ginocchio: gli USA manovrarono per alzare drammaticamente i prezzi dei propri prodotti, facendo in modo che i paesi europei si trovassero improvvisamente alle prese con una grave mancanza di dollari, per poi proporre loro la soluzione.[1]
        Il 5 giugno 1947 il Segretario di Stato americano George Marshall annunciò dall’Università di Harvard la decisione degli USA di elaborare e varare quello che sarebbe passato alla storia come il Piano Marshall. Molteplici le finalità del piano, a cominciare da quella di permettere la ricostruzione del capitalismo occidentale, favorendo al contempo l’integrazione politica ed economica dell’Europa occidentale (ovviamente in funzione degli interessi statunitensi), e sancendo così la fine della cooperazione antifascista con i partiti di ispirazione comunista.

        Non è azzardato affermare che fu proprio il Piano Marshall a costituire un momento fondamentale dell’avvio della Guerra Fredda, dal momento che analoghe iniziative nel campo sovietico furono di natura strettamente reattiva rispetto a quanto accadeva nel blocco occidentale. Nel settembre dello stesso anno, nella cittadina polacca di Szklarska Poręba venne costituito il Cominform. Nei documenti preparatori alla Conferenza di Costituzione del nuovo organismo (datati agosto 1947), il Segretario del Comitato Centrale del PCUS Andrej Zdanov illustrò le linee ispiratrici del Cominform, ovvero la necessità di transnazionalizzare la difesa dell’URSS e quella di mobilitare le organizzazioni democratiche contro il Piano Marshall. Non è azzardato quindi affermare che il Cominform costituì una risposta tutto sommato debole ai più ambiziosi programmi occidentali: non offriva aiuti economici, ma si incentrava sulla pura e semplice contrapposizione ideologica e politica.

        Tale debolezza trova un riscontro nell’atteggiamento del PCI in seguito alla svolta di Salerno: già nell’agosto 1945 Togliatti si dichiarò scettico sulla pianificazione economica, ovvero sulla possibilità di dare vita a una forma di socialismo, in un paese occidentale. Si trattava più realisticamente di puntare a un compromesso col modello capitalistico, una sorta di democrazia progressiva. Non sfugge la natura squisitamente tattica di queste affermazioni, ma allo stesso tempo è evidente che questa sostanziale accettazione del quadro capitalista non può non aver giocato un ruolo determinante nel favorire l’involuzione politica del PCI nei decenni successivi, i cui nefasti effetti sono quanto mai di attualità.

        A caratterizzare la condizione di tutti i paesi satelliti nel sistema bipolare che andava delineandosi vi era pertanto il problema della doppia lealtà, che investiva tutti i partiti. Non si trattava di ambiguità o di sotterfugi, bensì del fatto che l’interesse nazionale non era più da considerarsi come un assoluto, ma doveva essere perseguito (da un democristiano così come da un comunista) in relazione all’interesse del campo di appartenenza. Nel caso specifico italiano, per la DC la doppia lealtà significava mediare tra le aspirazioni italiane e quelle dell’area capitalistica, ovvero gli interessi geo-strategici degli Stati Uniti. In questo senso vanno lette le misure, alcune delle quali anche socialmente avanzate, che caratterizzarono l’azione politica democristiana nel dopoguerra e che avevano come scopo la nazionalizzazione della classe operaia e dei braccianti attraverso “l’integrazione negativa”, ovvero isolando politicamente i partiti e movimenti che li rappresentavano ed erodendone in questo modo il consenso. In linea quindi con le necessità strategiche fissate a Washington, occorreva scongiurare il rischio che in Europa Occidentale il modello socialista potesse diventare troppo attrattivo, e a tal fine si rendeva necessario coniugare il capitalismo con misure sociali progressiste e concedere limitati spazi di autonomia alle classi dirigenti (ovviamente fedeli all’alleato americano) dei paesi interessati. A tale proposito, va rilevato che un peso determinante nelle scelte degli Stati satelliti derivava non tanto dalle imposizioni degli Stati Uniti quanto dai diversi orientamenti delle stesse classi dirigenti in relazione alla gestione della dipendenza e di quei limitati spazi di autonomia che Washington concedeva. Al loro interno infatti potevano coesistere sensibilità più stataliste o più liberiste, più o meno attente all’interesse nazionale, sia pure in quadro capitalista e da una posizione assolutamente subalterna e dipendente in ambito geo-politico.

        È importante ricordare che in occasione delle Conferenze di Teheran e Mosca il compito di promuovere e gestire la ricostruzione dell’Europa Occidentale era stato assunto dalla Gran Bretagna, ma ben presto fu chiaro che Londra non sarebbe stata in grado di sostenere l’onere economico che una tale operazione avrebbe comportato. Quando gli USA lo capirono, si fecero trovare pronti nel sostituire gli inglesi, utilizzando così la ricostruzione come veicolo per legare gli Stati dell’Europa Occidentale al proprio sistema di potere, facendo leva sulla dipendenza economica per intensificare quella politica, con una speciale attenzione all’aspetto militare.

        La volontà di risollevare le sorti economiche e finanziarie dei paesi subalterni aveva infatti come finalità quella di liberare risorse per le politiche di riarmo, che fino ad allora erano gravate solo sulle spalle americane. Non a caso dopo il 1951 l’ERP (European Recovery Program, il nome ufficiale di quello che è conosciuto universalmente come Piano Marshall) cessò di esistere e gli aiuti divennero esclusivamente di tipo militare.

        L’enfatizzare la minaccia comunista molto pragmaticamente serviva anche a depotenziare la minaccia fascista, dal momento che si creava un obiettivo in comune e in questo modo si apriva la strada all’integrazione di elementi della fascisteria (ex-membri della polizia politica, ecc) nella NATO e nelle strutture più o meno segrete ad essa collegate (Gladio, Anello), coinvolte in azioni di “guerra sporca”, infiltrazione politica, ecc.

        Con una Direttiva Presidenziale il 4 aprile 1951 veniva istituito il Psychological Strategy Board (PSB), un organismo composto da direttore della CIA, Vicesegretario della Difesa e Sottosegretario di Stato. L’obiettivo era definire le linee guida e le modalità di conduzione della lotta ideologica al comunismo. Italia e Francia vennero individuate come terreni di elezione della sua attività e l’Italia in particolare fungerà da laboratorio.

        I contenuti dell’ERP

        Con la Conferenza di Washington il Dipartimento di Stato americano scopriva le carte e rivelò che il Governo avrebbe erogato agli Stati interessati gli aiuti promessi da Marshall in misura e qualità inferiore rispetto alle speranze europee e solo a condizione che i paesi sottoscrivessero dei pesanti trattati bilaterali in cui si ribadissero in modo stringente gli obblighi già elencati da Clayton in occasione della Conferenza di Parigi (luglio-settembre 1947), ma rimasti sino allora nel vago.

        Nell’ottobre del 1947 il Dipartimento di Stato USA dichiarò che il Congresso era disponibile a erogare solo aiuti in merci, per di più quasi esclusivamente surplus (invenduto e di qualità inferiore). Man mano che se ne chiarivano i termini gli aiuti apparvero sempre più inadeguati ai bisogni dei paesi europei. La strategia USA consisteva infatti nel guidare la ricostruzione occidentale verso una espansione della produzione ma senza lasciare grandi margini di autonomia ai paesi assistiti. Imponendo le merci, gli americani avrebbero influenzato i prezzi e distorto i canali commerciali dei paesi assistiti. Tra gli esempi in tal senso relativi all’Italia si possono citare l’obbligo di acquistare grano -che avrebbe comportato (e comportò) un aumento del prezzo al consumo dello stesso, con la conseguente generazione di una spirale inflattiva- o l’obbligo di acquistare il carbone, in virtù del quale lo Stato non era più in grado di utilizzare risorse per finanziare i progetti volti al conseguimento di una produzione energetica indipendente. Risulta evidente cosa ciò abbia significato in termini di dipendenza e assenza di sovranità nella sfera economica. Ormai trascinati nella Guerra Fredda, i paesi dell’Europa occidentale si trovarono a essere implicitamente ricattati dal Dipartimento di Stato americano che, sfruttando la loro dipendenza dal dollar-gap, reclamava un’apertura immediata delle frontiere, l’eliminazione dei cartelli, regole di libero mercato e controlli sull’uso degli aiuti.

        Una delle finalità del Piano Marshall consisteva nell’obbligare i paesi coinvolti a entrare nel circuito del Fondo Monetario e della Banca Mondiale. Ciò allo scopo di legarli in maniera sempre più stringente ai meccanismi del sistema capitalista a egemonia statunitense.

        Uno strumento fondamentale di tale progetto era rappresentato dai fondi di contropartita in valuta locale sotto controllo statunitense, i quali costituivano la chiave di volta del tentativo americano di controllo sulle finanze e sul mercato europeo in vista dell’attuazione degli impegni di Bretton Woods. Si trattava di un conto presso la Banca Centrale USA, dove avrebbero dovuto essere depositati fondi in valuta locale pari al valore in dollari delle merci che gli usa avrebbero regalato.
        Chiedendo di depositare tale somma automaticamente, prima o comunque a prescindere dalla loro vendita sul mercato, il Dipartimento di Stato mirava a eliminare la rete di doppi prezzi e sovvenzioni in vigore in tutti i paesi europei, soprattutto per i generi di prima necessità come grano e carbone, che influivano sul livello generale dei prezzi. Clayton e le altre teste d’uovo dell’amministrazione Truman si proponevano di porre i fondi di contropartita sotto il diretto controllo del Dipartimento di Stato, ed influenzare così direttamente gli investimenti e la politica finanziaria del paese assistito. In questo modo gli americani avrebbero trattato l’OEEC (Organisation for European Economic Cooperation) come un’area economica integrata, orientandola verso la stabilizzazione finanziaria e un’ideale divisione del lavoro.
        Alcuni di questi propositi rimasero solo sulla carta, dovendo fare i conti con resistenze e differenti strategie in merito, sia nell’amministrazione USA che tra le classi dirigenti dei paesi alleati. Il Piano Marshall più che un vero piano era infatti un progetto, teso ad elaborare una politica estera che coagulasse visioni diverse dell’interesse statunitense. L’esistenza di contraddizioni e ripensamenti non solo non deve stupire ma non deve essere rimossa dall’analisi storica a causa di una lettura a senso unico e astratta degli interessi americani, in merito ai quali coesistevano invece differenti letture e posizioni.

        Per poco tempo, l’unico paese che assunse posizioni critiche e si fece portatore delle istanze in difesa della sovranità (anche degli altri Stati) fu la Gran Bretagna, nel frattempo passata a un governo laburista, la quale arrivò addirittura a che minacciare di uscire dall’ERP. Gli Stati Uniti furono però abili a mostrarsi flessibili di fronte a queste resistenze, permettendo che i vari paesi si relazionassero in modo diverso tra loro, sulla base delle rispettive aspirazioni ed esigenze di politica interna.

        I sei punti della bozza Piano Marshall (quelli validi per tutti i paesi) erano i seguenti:

        – consultazioni obbligatorie con il FMI, col diritto degli USA a proporre variazioni dei tassi di cambio, il che avrebbe significato potere imporre svalutazione ai paesi europei;

        – politiche economiche più coordinate

        – abolizione di pratiche restrittive e introduzione del libero commercio, con l’estensione della clausola della nazione più favorita ai paesi occupati da truppe statunitensi (Corea, Giappone Germania)

        – abolizione delle discriminazioni contro le esportazioni di materiali strategici

        – garanzie a favore degli investimenti esteri

        – creazione di un fondo di contropartita da impiegare per la stabilizzazione finanziaria o per gli investimenti, in accordo tra il paese assistito e gli USA

        Si trattava di misure che nei fatti costituivano una evidente limitazione della sovranità e dell’indipendenza dei paesi interessati, e che pertanto non da tutti potevano essere facilmente “digeriti”. Per questa ragione nei trattati formulati tra maggio e giugno ‘48 non furono ufficializzati ma vennero riformulati con una maggiore ambiguità interpretativa, rinviando così le autentiche decisioni ai successivi negoziati bilaterali tra le amministrazioni.

        I paesi, come già detto, si relazionano in modo diverso: la Gran Bretagna ad esempio mantenne la possibilità di continuare le politiche imperniate i deficit del bilancio e rifiutò la clausola della nazione più favorita in quanto occupata; l’Italia al contrario preferì sfruttare fino in fondo la dipendenza dagli USA, in quanto si riteneva che una corresponsabilizzazione degli americani nella ricostruzione avrebbe significato una maggiore stabilità per il governo anticomunista di De Gasperi.”
        (Continua nel link)

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      • Manco sai che l’Albania non faceva parte del Patto di Varsavia.
        Prova metti mano ai libri di Storia di Geografia e guarda meno telefilm americani.

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  6. Putin vuole tregua di Natale. Come Hitler che ogni giorno ammazza ebrei in lagger e vuole fermarsi per Natale. Ma questi figli di Putin hanno perso ogni decenza.

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    • Altro troll ucraino?
      Un giorno capirete chi è che vi ha fregato.
      E Hitler ce l’avete dentro casa, guardate bene…
      Ah, beh, scusa…siete circondati, ormai non lo notate più.

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