(di Marcello Veneziani) – Per la prima volta, l’Europa è unita attorno al suo presidente, Ursula von der Leyen: è unita intorno a lei per chiederne le dimissioni. O quantomeno per mostrarle sfiducia. Ad attaccarla, ora, sono anche coloro che la sostenevano fino al giorno prima. Tutti, da sinistra fino a Calenda. Dopo l’accordo-capestro con Trump sui dazi, la sfiducia si è fatta bipartizan, anzi generale. Poi magari col tempo, per realismo e prudenza, e soprattutto per assenza di praticabili alternative e per viltà e indecisione anche questa intenzione rientrerà. Da tempo noi critichiamo la guida della von Der Leyen ma per una volta ci sentiamo in dovere, non solo per spirito di cavalleria, di non gettare la croce addosso a lei. Il problema non è la von Der Leyen che si arrende a Trump, il problema è l’inconsistenza dell’Europa. Andando a trattare da lui non aveva dietro niente e nessuno.

A riconoscere l’inanità dell’Europa siamo un po’ tutti, ormai, da sinistra a destra, ma il problema è capire se ci sono le condizioni per agire altrimenti; se c’è la forza, il peso, la compattezza per poter dire di no e comportarsi diversamente. Si tratta allora di risalire alle cause e non soffermarsi solo sugli effetti o chiedere semplicemente di sostituire Ursula con un equipollente, senza mutare contesto. L’Europa non ce la fa, sul piano internazionale non riesce a pesare più di una Turchia o un Israele, benché costituita da ventisette paesi, alcune potenze, una storia che è stata per millenni il centro del mondo. L’Europa non determina nulla di rilevante sullo scacchiere mondiale, non sa fare né la guerra né la pace.

È un aggregato stanco dell’Occidente, una periferia al traino degli Stati Uniti. C’è voluto Trump con la sua brutale arroganza per ricordarcelo. Per essere diversa avrebbe dovuto compiere passaggi che sembrano non c’entrare nulla con la situazione attuale. Avrebbe in primo luogo dovuto capire cos’è, da dove viene, cosa vuol fare, come delineare la sua figura sul panorama mondiale. Per cominciare, avrebbe dovuto riconoscere le sue radici che sono greche, romane e cristiane. Un’entità che non riconosce la sua identità, che non vuol ricordarsi da chi è nato e con quali elementi costitutivi, è già sulla strada sbagliata, gli errori che farà saranno l’esatta applicazione della sua incoscienza originaria. In secondo luogo avrebbe dovuto comprendere che la sua forza, il suo ruolo, la sua convenienza, non è nel considerarsi uno scalo della globalizzazione e nemmeno il tinello dell’Occidente, ma qualcosa d’altro. L’Europa geopoliticamente è una realtà sovrana, indipendente dall’Atlantico e può esistere solo se riscopre il suo ruolo distinto dagli Stati Uniti e dalla Russia, che sono i suoi primi, naturali dirimpettai. Così come l’Europa è il centro del Mediterraneo e ha la responsabilità di assumere un ruolo trainante rispetto all’inquilino di sotto, il Maghreb, il mondo arabo nord-africano, che resta altro dall’Europa ma su cui l’Europa dovrebbe esercitare un ruolo strategico fondamentale, anche di guida, freno e protezione. L’Europa ha motivi importanti di affinità con gli Stati Uniti e con la Russia, sul piano storico, civile, culturale e religioso ma anche motivi forti di distinzione: i nostri interessi e valori divergono da quelli americani, la nostra idea di libertà e democrazia diverge da quella russa. Americani e russi sono un’altra cosa rispetto a noi. La nostra forza strategica, lo lascio dire a una filosofa ebrea, rivoluzionaria e spirituale, Simone Weil, è di essere una specie di media proporzionale tra l’America e l’Oriente, la Russia e non solo. Noi europei ci troviamo nel mezzo, siamo letteralmente mediterranei; siamo il perno, solo l’equilibrio annulla la forza e ci permette di avere un ruolo nonostante la minore forza.

Poi si tratta di rifondare una legittimazione politica al governo europeo, uscire dalla logica commissariale e delegata, entrare in una dimensione politica, con un’investitura popolare dell’esecutivo. Insomma, si tratta di rifare l’Europa perché così non va da nessuna parte, è solo un asfissiante regolamento interno, la sua unione non può somigliare a una fusione bancaria. Direte che è troppo tardi, direte che non ci sono le condizioni, le forze e i soggetti per farlo, direte che manca la volontà e lo spirito per farlo. Avete ragione, su tutte le ruote. E qui c’è la nostra disperazione, e la divaricazione radicale tra l’essere e il dover essere, tra ciò che va fatto in via di principio e ciò che non può esser fatto in concreto. Così ci teniamo l’irrilevanza dell’Europa rispetto agli Usa, al Medio Oriente, alla Russia.

Al ciclone Trump si “oppone” il triciclo Ursula, un mezzo di trasporto puerile, inadeguato. L’Europa è una pista ciclabile mentre il mondo viaggia su ben altre corsie. A figurare il suo ruolo l’Europa rispecchia ciò che ha impresso più uniformità al suo paesaggio stradale: le rotatorie. Gira a vuoto l’Europa, in un circolo vizioso senza sbocchi. Dell’Europa senza Unione ci restano torri, castelli, cattedrali, opere e capolavori. Dell’Unione Europea resteranno le rotatorie.

Avevamo sperato che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca producesse tre risultati: il disimpegno degli Stati Uniti dai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, e dal sostegno a una delle parti in campo, in modo da accelerare i negoziati per la pace; poi il ritiro degli Stati Uniti, annunciato dallo stesso Trump, dal ruolo di Gendarme del Mondo e Arbitro internazionale; infine l’avvio di una vasta battaglia culturale e civile contro l’Idiozia Occidentale, made in Usa, che va sotto il nome di Woke (e i suoi correlati, la mania di correggere e di cancellare).

A giudicare dai primi mesi Trump ha fatto qualche passo serio su quest’ultimo tema, almeno sul piano offensivo, attaccando il mainstream; ma sul primo punto non è riuscito a fermare nessun conflitto, anzi a volte li ha alimentati – soprattutto in Medio Oriente; anche se il fallimento del progetto di pace non dipende solo da lui, ma dei suoi interlocutori, a partire da Putin e Netanyau. E non si è affatto ritirato dal ruolo di Arbitro del Pianeta, assumendo anzi con i dazi e i brutali ricatti il ruolo di Bullo Globale. La forza è ora l’unico criterio vigente nei rapporti internazionali: non possiamo essere felici, sia sul piano ideale sia perché siamo deboli.

In questo contesto, cosa volete che possa fare l’Italia? Poco, pochissimo. Ricalca la debolezza dell’Europa e della povera Ursula, si piega alla forza di Trump e ripropone la dipendenza atlantica come in passato. Poi, dopo che Trump ha annunciato di lavarsi le mani sulla pace in Ucraina, ha ripreso con Ursula e la UE la sua campagna antirussa pro-Ucraina, inclusa la sciagurata idea di considerarla europea. E poi l’Italia ufficiale si indigna, in coro, se la Russia definisce russofobe le posizioni apertamente ostili di Mattarella e dei ministri nostrani. Non c’è bisogno di essere “putinisti”, come qualcuno dice, per capire che se fai quelle dichiarazioni contro la Russia di Putin, paragonandola al regime nazista (e perché no all’esempio che hanno in casa, da cui provengono, il regime sovietico e le loro invasioni dei paesi satelliti?) devi poi aspettarti una loro reazione. E invece no, i tartufi italiani, al governo e all’opposizione, insorgono indignati se i russi dicono che l’Italia è contro di loro, come i nostri stessi presidenti e ministri hanno dichiarato. Assumetevi le responsabilità di quel che dite, anziché scandalizzarvi se ne traggono le conseguenze e vi rispondono a tono.

Ci sembra di vivere dentro una maionese impazzita, ciascun ingrediente va per conto suo. E il risultato è immangiabile.