L’amica di Trump

ANTONIO DI SIENA

Ripropongo in forma sintetica il sunto di un lungo post scritto all’indomani dell’elezione di Trump. Con l’auspicio che ciò che era chiaro da tempo a taluni diventi chiaro a tutti.

1. Gli USA sono un impero in rapido declino, socioeconomico, militare, egemonico. Una condizione inaccettabile per un popolo messianico, che crede di essere letteralmente “in missione per conto di Dio” e per questo ha generato l’ultimo anticorpo: Trump. Un declino inesorabile di cui l’élite al potere (che non è né Dem nè Repubblicana, bensì unicamente americana, nel senso che ragiona in ottica di mero interesse imperiale) è perfettamente consapevole.
2. Il declino imperiale USA coincide con il declino della sua intera sfera di influenza (in primis l’Europa ma per certi versi anche Israele), ovvero l’Occidente tutto.
3. Dal punto di vista del potere americano (da non confondere con chi esercita transitoriamente il potere politico) l’unica strada per invertire la tendenza è la guerra. Ce lo insegna la loro storia, ma soprattutto una ragione banale e troppo spesso dimenticata: il capitalismo si è sempre comportato così difronte alle crisi sistemiche. Distruggere parte della produzione e delle forze produttive per produrre nuova ricchezza. Un sistema collaudato che ci è già costato due guerre mondiali. L’unica cosa ad essere cambiata è la strategia: caotica e palesemente più aggressiva e sfacciata quella democratica (non a caso i Dem vanno da tempo a braccetto con i Neocon un tempo fedeli a Bush Jr); apparentemente più chirurgica, mimetica e ragionata” quella del nuovo corso Repubblicano.
4. A riprova di ciò, il tentativo di dialogo con Mosca che assomiglia fin dal principio alla tecnica del bastone e della carota. Un tentativo non tanto di “de-escalare” il conflitto, ma unicamente di sfilare gli USA. Delegando la gestione del fronte euroasiatico agli stati cliente, l’Unione europea. Non a caso a Washington nessuno si sogna di “sciogliere la NATO”, ma di scaricarne i costi (certamente economici ma perché no anche umani) sui sedicenti “alleati”.
5. Gli USA infatti devono concentrare tutte le loro risorse, belliche, energetiche, economiche eccetera sull’unico pezzo di mondo che gli è sempre interessato davvero: il Pacifico. Basta aprire un libro di scuola di terza media per averne la conferma. Una dottrina talmente prioritaria al punto da arrivare, in passato, a ritrovarsi addirittura alleati di Stalin per poter operare liberamente in quel contesto.
6. Il problema è che nel Pacifico oggi non c’è il Giappone, ma la Cina. Un drago vero, non una tigre di carta. Una potenza centripeta dalla forza apparentemente inarrestabile. La sua ascesa, per gli USA, non equivale soltanto a perdere l’egemonia sull’ordine internazionale. Significa sparire proprio come nazione. Una nazione che è potuta prosperare internamente sfruttando tutto ciò che controllava fuori. Se quello che c’è fuori non garantisce più di foraggiare un sistema costosissimo – pur senza welfare state e sostanzialmente privo di un patto sociale degno di tale nome – allora la già fragilissima coesione interna salta letteralmente per aria. Minacciando direttamente (e concretamente) il potere stesso del ceto dominante.
7. Ma se non si può sfidare apertamente la Russia, figurarsi farlo con la Cina. Ecco perché di fronti non ne bastano due, ne servono tre. E qui entra in gioco Israele. Serve infatti impantanare anche la Cina. Non direttamente, con un conflitto per procura, ma drenando parte della sua linfa vitale. E incendiandiare il medioriente, pilastro fondamentale per lo sviluppo dei BRICS, è la cosa più logica.
8. La prospettiva di affermazione di un nuovo ordine internazionale ha quindi prodotto un vero e proprio sciame sismico, potente e tutt’altro che innocuo. Innescando dinamiche di “protezione” automatiche, quasi “naturali”, e totalmente sottratte al potere dei singoli governi. La recente tendenza del capitalismo occidentale a trasformarsi (ovviamente in via temporanea) in economia di guerra è un fatto talmente lampante che non dovrebbero servire ulteriori dimostrazioni. E non sono eventi da cui si torna indietro tanto facilmente.
9. Per tali ragioni, la guerra mondiale sembra del tutto inevitabile. Non sarà domani, non sarà identica alla seconda (così come quella fu diversissima dalla prima), ma sarà. Certamente più mimetica, frammentata, meno lineare e quindi meno prevedibile, nella consapevolezza generale che l’alternativa sarebbe l’Armageddon.
10. Sembra peggio ma forse non lo è, perché nel contesto di una “guerra-puzzle” ogni tassello è fondamentale per la sua riuscita. E impedire che si incastrino tutti i pezzi può far fallire l’intero progetto. Ora, i tasselli del Pacifico sfuggono totalmente al nostro “controllo”. Ma gli altri due, per ragioni meramente etniche e geografiche, ci vedono direttamente coinvolti. Come cittadini, come popoli e come potenziale carne da cannone. Quindi sta a noi incrinarli. Nella consapevolezza che se non lo facciamo noi non lo farà nessun altro. Perché le guerre le fermano i popoli. Oppure le subiscono. Fine
11. Post originale qui https://www.facebook.com/share/16QSzWheja/?mibextid=wwXIfr

"Mi piace"Piace a 1 persona