Non è vincendo la Terza guerra mondiale che Washington può brillare di nuova luce, l’America globale non è possibile. Prepariamoci a convivere con una lunga stagione di caos

(LUCIO CARACCIOLO – lastampa.it) – La globalizzazione è l’ideologia dell’egemonia americana. Grandiosa utopia che promette di integrare il mondo nel mercato ed entrambi nell’America. Non negli Stati Uniti. Nell’American way of life, marchio e sostanza dell’impero a stelle e strisce. Impero non della ma per la libertà, emendamento di Jefferson a sè stesso, annuncio della vocazione espansionista coltivata dalle élite statunitensi. Mercato, mondo e benigno impero universalista compressi in equazione semplice. Identità. Santissima Trinità oggi ridotta in formula a «ordine basato sulle regole». Globale in quanto americano e viceversa. Sistema-mondo in crisi di credibilità nel suo stesso centro, di qui per estensione nel pianeta.
Crisi aggravata perché investe la più potente Chiesa moderna, la più religiosa fra le potenze. Nell’intuizione di G. K. Chesterton, beffardo spirito britannico: «L’America è l’unica nazione al mondo fondata su un credo. Tale credo è espresso con dogmatica, persino teologica lucidità nella Dichiarazione di Indipendenza». Costituzione per il mondo, data dalla nazione posta sotto la protezione del Creatore. Sequenza di sillogismi che attribuisce al popolo americano la rappresentanza dell’umanità dotata per tocco divino degli «inalienabili diritti alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità».
La crisi di una nazione così speciale apre una transizione egemonica. Fase storica senza ritorno, perché avvia il collasso di un sistema o la sua radicale trasformazione per successivi adattamenti. L’equilibrio del sistema è sfidato da tendenze erosive, fluttuazioni che ne deviano la curva e schiudono orizzonti imprevedibili. Processo che può durare generazioni o molto meno.
La transizione egemonica in corso potrebbe mutare in nuova stagione dell’impero americano, pur completamente rivisitato? Arduo ma possibile. A condizione di dotarsi di un limes. Di fare l’impero. Punto.
Ma prima serve cogliere le ragioni della crisi e adattarsi alla soglia senza tentare di forzarla. Non è vincendo la terza guerra mondiale che gli Stati Uniti possono brillare di nuova luce. Perché amministrare le macerie di Cina, Russia e chissà chi altro – noi italiani inclusi – è prospettiva poco invidiabile, posto che certo l’America non ne uscirebbe intonsa. Parrebbe ovvio. Non lo è affatto per i decisori di Washington che pubblicamente calendarizzano la guerra contro Pechino verso la fine del decennio. Né per Xi Jinping, che programma il ritorno a casa di Taiwan per il 2049, se serve con la forza. E servirà, a meno di cambio di regime in una delle due Cine o rinuncia pechinese a rischiare la pelle per rimpatriare l’isola ribelle.
Sragionamenti bellicosi che passano quali banalità nella mediosfera e vi si autoalimentano. Siamo in piena nevrosi da incertezza strategica, che nei riti di passaggio può inclinare all’idiozia del brevissimo termine. La deflazione del potere egemone genera inflazione delle paure collettive. Espressa nella tirannia delle piccole decisioni o tragedia dei beni comuni: cumulo di scelte frenetiche di soggetti singoli, fuori contesto, volte al presunto interesse immediato, che sfocia in esiti non voluti.
La geopolitica obbliga a investire nella soluzione dei conflitti, a meno di considerarne l’analisi mero gioco intellettuale. In tre punti.
Primo. La cosiddetta globalizzazione ci lascia in eredità uno squilibrio senza precedenti tra finanza ed economia reale. Come stabilito da Giovanni Arrighi nei suoi studi sulle transizioni egemoniche, le espansioni finanziarie su scala sistemica scatenano la competizione interstatale per il capitale mobile. Perciò assumono dimensioni geopolitiche. Investono tutti gli aspetti del potere, bruti e gentili. Redistribuiscono ricchezza e povertà, così stimolando la gara per il capitale liquido. Circolo vizioso. La finanziarizzazione è per l’egemone «segnale dell’autunno» (Braudel). Della soglia. Preannuncio di probabile fine regime per crollo del sistema egemonico, travolto dal caos. Tempo di gestazione del successore, se vi sarà. Il modello di Arrighi è schematico: «Dall’egemonia all’espansione, dall’espansione al caos, dal caos a nuova egemonia». Così nella transizione dall’Olanda all’Inghilterra – ovvero dalla centralità commerciale e finanziaria di Amsterdam a quella di Londra – e da questa agli Usa, retti in età alta dal trio geopolitico-finanziario-pop Washington-New York-Hollywood. Siamo lontani dalla transizione sistemica verso un nuovo ordine internazionale. L’autunno s’annuncia lungo, a meno di schianti nell’architettura a stelle e strisce o di suoi ingegnosi restauri. Conclusione: troppo disordine sotto il cielo della produzione di denaro per mezzo di denaro.
Secondo. L’impero americano cogestiva al suo zenit un universo di tre miliardi di umani, divisi in tre grandi famiglie. La sua, la sovietica e la galassia dei non allineati. Quest’ultima adibita a campo di gioco dei due imperi, dove sfogare e allenare i rispettivi bracci armati. Triade relativamente ordinata. Con i due poli a svolgere medesima funzione sistemica, usando l’altro come legittimazione di sé e partner di fatto nella manutenzione dell’equilibrio. Volto a garantire la pace fredda nel mondo dei potenti, astutamente battezzata guerra.
Oggi che siamo oltre otto miliardi e ci avviamo ai dieci previsti per fine secolo, la riduzione della complessità, misura ultima della potenza, è sartoria improba, non ricamabile con le sottili eleganze della guerra fredda. Viene da sorridere ripensando alla battuta di Brežnev a Thatcher: «Signora, noi ci battiamo per la stessa causa. La causa dell’uomo bianco». Atto di fede ormai impronunciabile e non solo a causa del politicamente corretto. I numeri indicano ai bianchi il destino di esigua minoranza non necessariamente protetta. I due imperi del mezzo secolo di Pax Americana, indissolubilmente apparentata alla Pax Sovietica in logica binaria, valgono in versione allargata forse un sesto dell’umanità, in decrescita. Conclusione: troppi umani e troppo diversi per un solo capo.
Terzo. La peculiarità dell’impero a stelle e strisce è (stata) l’attrazione del suo soft power. Musica, cinema, letteratura e arti americane seducevano persino gli avversari. Sicuramente più di quanto compiacessero gli snob europei o britannici. Oggi l’America non si piace più. Come può affascinare gli altri? Conclusione: l’egemonia dolce non è più crisma del Numero Uno.
Doloroso, ma vero: l’America globale non è possibile. Prepariamoci a convivere con una lunga stagione di caos. E a cambiare il modo in cui stiamo al mondo. L’era della beata irresponsabilità è scaduta.
Categorie:Cronaca, Editoriali, Mondo, Politica
Continuo a ritenere Lucio Caracciolo un eccellente studioso di Geopolitica. Serio, competente e con capacità di analisi obiettiva.
Quando viene criticato, anche qui, perché ( scrivendo su La Stampa) non smonta in modo “esplicito” le idiozie, le falsità, le scorrettezze della vulgata atlantista si fa un errore di metodo.
Si ritiene che uno studioso debba avere il coraggio, ai limiti dell’incoscienza, di schierarsi e denunciare.
Caracciolo non fa il “tifoso”, né vuole alimentare i “tifosi” della parte avversa alla propaganda occidentale, apparendo uno di loro o un riferimento.
Cerca di analizzare i fatti, con l’equilibrio compatibile con i tempi bui della “caccia alle streghe” dei pseudo filorussi o filoPutin. Non gli posso chiedere di più.
Il suo contributo è stato, in questo anno e più dal conflitto, quel minimo di luce competente e non obnubilata ( comprata) dal Sistema.
Altro che Fabbri ( che si è venduto ai “mentaniani” parakuli).
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Io so solamente una cosa, siamo una colonia sotto assedio, le oltre cento basi ammeri-kane che presidiano la penisola ne sono prova tangibile e il governo itaggliano deve rendere omaggio e eseguire i desiderata del viceré che ha sede presso l’ambasciata usa a Roma, pertanto siamo solamente servi della gleba senza alcuna speranza di emanciparci. Servi della pubblicità imposta a stelle e strisce con tutte le sue aberrazioni.
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A proposito di prove tangibili (di idiozia) “le oltre cento basi ammeri-kane che presidiano la penisola” in realtà sono 9:
https://www.esquire.com/it/news/a42213889/basi-americane-italia/
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Ti potevi risparmiare una figura barbina non commentando.
https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://ilfarosulmondo.it/basi-usa-italia-cifre-asservimento/&ved=2ahUKEwiaxNij-vL-AhWRYKQEHRW3CRAQFnoECBMQAQ&usg=AOvVaw2m1loAoXvt0U_RTdUzH3qj
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Ah, adesso le antenne e i centri comunicazione contano come basi? Non lo sapevo, errore mio.
Cambiando discorso, hai sentito che in Trentino c’è un kattivone che vuole ammazzare oltre un milione di orsi (per me ogni pelo conta come un orso)?
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Jonny il bello è in gran spolvero stasera: si fa le seghine con la pinzetta per i peli superflui.
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Capisco come certe cose siano fuori portata per te, ma stai attento perché l’invidia è un vizio capitale, che “diventa peccato mortale quando giunge al punto di augurare un male grave al prossimo, in quanto atto opposto all’amore fraterno” (da Cathopedia, visto che non ti piace Wiki).
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No sono lì solamente per guardare il panorama e respirare aria buona,
Sono tutte sedi senza personale militare, solo centri della croce rossa e associazioni caritatevoli, e le munizioni sono per eventuali cacce all’orso e i radar per scoprire eventuali sciami di zanzare peregrine,
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Sono abbastanza sicuro di essere stato in almeno una delle cento “basi” che probabilmente si è fumato chi ha compilato quell’elenco (v. alla voce del verbo “basare”), indovina per fare che cosa? Rullo di tamburi… momento di suspence… ci sono andato a far castagne.
Anche se non sapevo di aver violato una base Nato da solo, promettimi che adesso non mi trasformerai in un eroe, per questo.
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Sicuramente oltre alle castagne avrai anche fatto scorta di proiettili 7,62 oltre a qualche bomba a mano e qualche mim 104 patriot e relative munizioni per abbattere le fastidiose zanzare tigre che infestano il nostro territorio visto che per tua ammissione sono senza adeguata guarnigione militare e sono luoghi dove ognuno può recarsi liberamente,
Ma però ciò non spiega perché gli ammeri-cani debbono utilizzare il suolo italico per i loro marchingegni di occupazione e controllo così distanti dal loro suolo patrio visto che si allarmano e fanno intervenire i loro aerei e abbattono innocui palloni metereologici al solo avvicinarsi al loro territorio.
PS sembra che adoperino gli F16 anche per abbattere le piccole mongolfiere rilasciate in aria per festeggiare compleanni e matrimoni.
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Infatti non era quello l’intento. Però spiega molto bene i motivi che spingono qualcuno a considerare come “base ammeri-kana” perifino un’antenna sperduta sulla cima di un monte.
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Forse Caracciolo aveva un modo più semplice di dire le cose.
La globalizzazione voluta ed imposta dal capitale (Usa) è stato un fallimento: i No-Global avevano ragione.
Gli USA (Nato) dopo aver fallito tutti gli obiettivi e le guerre degli ultimi 60anni, riducono ora la spazio mondiale da controllare.
La guerra contro la Russia, l’Ucrania l’ha già persa, essa è stato un modo per isolare e tranciare i legami economici-energetici tra Europa e Asia.
Si sono delineati nuovi confini, da una parte i paesi cosiddetti occidentali, con un più stretto controllo egemonico USA e dall’altra i tre stati semi-continentali Russia-Cina-India accumunati solo dallo stesso avversario. Tutti gli altri a guardare e fare gli affari propri, se possibile.
L’Europa e l’Italia possono fidarsi di un “alleato-protettore-dittatore” che li trascina in un’altra guerra in cui la prima vittima è l’Europa stessa, sacrifica uno stato (Ucrania), dopo che il BOSS ha mollato quasi tutti i suoi alleati quando non gli conveniva più? Per di più a casa sua deve affrontare un oceano di problemi?
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Con un po di ritardo ha avvertito anche lui gli scricchiolii . E a pensare che fino a qualche editoriale fa era ancora assertore della ragione degli occidentali e della giustezza nonchè della vittoria finale degli Usa anche in Ucraina non essendovi alternativa all’ordine mondiale controllato esclusivamente dagli States .Come passa il tempo !
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Il vero dramma è che l’Italia è il paese con il maggior numero di basi militari Usa, in gran parte munite di ordigni nucleari.
Il giorno in cui un fantomatico governo a larghissima maggioranza parlamentare decidesse di rendersi un filino autonomo dalla politica suicida (per noi) nord americana… lo zio Sam non si farebbe scrupolo di farne saltare in aria il capo. Per molto meno abbiamo avuto stragi soprattutto di innocenti cittadini a causa dello zampino degli States.
Se fosse invece l’Europa o almeno un gruppo significativo di suoi paesi a darsi una mossa, l’operazione sganciamento potrebbe avere successo. Oggi gli Usa sono geopoliticamente in declino, mentre noi europei siamo già declinati. Purtroppo non tutti nella stessa misura. E’ infatti questo il problema! Vedi Germania e Francia in primis che economicamente, grazie alla tagliola dei Trattati, si stanno rivalendo sugli altri. Insomma, divide et impera!
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Il Paese con maggior numero di basi militari Usa non è l’Italia ma la Germania (che ospita anche il triplo dei militari), e quelle “munite di ordigni nucleari” sono solo due (Aviano e Ghedi), non la “gran parte”.
Inoltre, la Storia dimostra che le nostre politiche erano molto più suicide quando eravamo noialtri a deciderle.
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.” Prepariamoci a convivere con una lunga stagione di caos. E a cambiare il modo in cui stiamo al mondo. L’era della beata irresponsabilità è scaduta.” tradizione : da vecchio maggiordomo ho suggerito, invano, a quel rimbambito del mio padrone di non fare casino .Adesso mi toccherà trovarne un altro ma non sarà facile, visto che oramai sono compromesso da anni di leccaculismo. Addio bellavita!
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Biden ha il più basso consenso di sempre per un presidente, mentre Trump sale, al deep state serve uno che porti avanti la faccenda in ucraina e non lo hanno ancora trovato, chissà se alla base del pellegrinaggio di Zele c’è proprio questo clima che stia crollando tutto e cerca ancore di salvataggio, alle brutte
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