La bozza del decreto. La vince Calderone. Il sussidio rimane pure per i single, 350 euro per 12 mesi agli occupabili. Il governo Meloni ha cambiato ancora una volta il nome alla misura che smantellerà il Reddito […]

(DI ROB.ROT. – ilfattoquotidiano.it) – Il governo Meloni ha cambiato ancora una volta il nome alla misura che smantellerà il Reddito di cittadinanza. Alcune settimane fa doveva essere “Misura per l’inclusione attiva” (Mia); poi, nei giorni scorsi, era diventata la “Garanzia per l’inclusione” (Gil). Nell’ultima bozza del decreto che sarà approvato dopodomani, assume un’altra denominazione: “Assegno per l’inclusione”. Questo sul piano della forma. Su quello della sostanza cambia invece poco, a parte qualche dettaglio. In particolare, sull’ipotesi di togliere del tutto il sussidio ai cosiddetti “occupabili” sembra averla spuntata la ministra Marina Calderone: alle persone ritenute “avviabili” al lavoro, insomma, andrà un sostegno da 350 euro al mese per un anno al massimo. Ne esce sconfitta, ad oggi, l’ala oltranzista che voleva una rimozione totale. Anche l’aiuto per i cosiddetti “occupabili” cambia però nome rispetto alle prime bozze: non più “Prestazione di avviamento al lavoro” (Pal), ma “Strumento di attivazione”.
Riassumendo: finora la “riforma” del Reddito di cittadinanza ha visto una girandola di sigle e acronimi, ma pochi movimenti sui contenuti. L’impianto resta lo stesso: l’obiettivo è semplicemente tagliare la platea di famiglie povere da aiutare. L’Isee massimo sarà 9.360 euro, lo stesso previsto dal Reddito di cittadinanza. L’ipotesi iniziale di abbassarlo a 7.200 sembra quindi tramontata. Tuttavia, la riduzione dei beneficiari avverrà attraverso l’inasprimento degli altri requisiti: potranno ricevere l’assegno solo i nuclei con minori, anziani con più di 60 anni e disabili.
L’importo massimo sarà di 500 euro al mese, con un eventuale integrazione per il contributo all’affitto da massimo 280 euro. La cifra poi aumenterà al crescere dei componenti del nucleo: la scala di equivalenza prevede 200 euro in più per ogni maggiorenne, 75 euro in più per il primo minorenne e 50 euro per tutti gli altri. Il Reddito di cittadinanza prevedeva invece 100 euro per ogni minorenne. L’altro taglio avverrà tramite la riduzione della durata: dopo i primi diciotto mesi di fruizione, infatti, potrà essere nuovamente richiesto se permangono i requisiti, ma la seconda volta durerà dodici mesi (Rdc invece continuava a durare 18 mesi anche al secondo ciclo).
I beneficiari dovranno partecipare a un progetto di inclusione e non è detto che questo non preveda la ricerca del lavoro: nel caso saranno obbligati ad accettare offerte di lavoro che prevedano l’assunzione anche per un solo mese e con orario al 60% del tempo pieno. Ecco perché risulta molto fuorviante in realtà sostenere che l’Assegno per l’inclusione andrà solo ai non occupabili. La vera distinzione, quindi, è solo tra persone che hanno disabili, minori o anziani in famiglia e persone che non ne hanno: queste ultime, come detto, comunque non rimarranno senza sussidi.
Quanto poi ai tentativi di frange della maggioranza di togliere ogni sostegno ai single e alle coppie senza figli minorenni, alla fine ha vinto la linea portata avanti dalla ministra Calderone, molto preoccupata dall’idea di penalizzare centinaia di migliaia di persone. Quindi viene confermato il sussidio da 350 euro al mese per le persone che vorranno essere coinvolte in un percorso di avviamento lavorativo. La prestazione, come detto, si chiamerà “Strumento di attivazione” e potrà durare un anno al massimo.
Il provvedimento che manderà in pensione il Reddito di cittadinanza è quindi pronto. Rispetto alle intenzioni abolizioniste urlate in campagna elettorale e nei primi mesi di governo, la sforbiciata sembra più lieve. Alla prova dei fatti, il governo Meloni ha voluto tenere fede all’impostazione punitiva nei confronti dei poveri, ma il timore di un profondo malcontento sociale – in frange della popolazione che ultimamente secondo i sondaggi hanno mostrato simpatie per la destra – ha tenuto ferma la mano dell’esecutivo.
La mossa arriverà simbolicamente il Primo Maggio, giorno in cui si celebra la festa dei lavoratori e sarà associata a un intervento – sempre contenuto nel decreto – che ridurrà le tutele del decreto Dignità rendendo più semplice la creazione di precariato da parte delle imprese.
Su noti che GIL era anche la gioventù italiana del littorio.
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