Per 226 pugni di dollari

(Massimo Gramellini – corriere.it) – Sundar Pichai, il ceo della società che controlla Google, nel 2022 ha guadagnato 226 milioni di dollari.

Pichai sarà sicuramente il più formidabile manager del globo, e poiché oggi è un giorno di festa e siamo tutti più buoni, voglio illudermi che non ci sia alcun nesso tra l’entità dei suoi compensi e il recente licenziamento di dodicimila persone nell’azienda da lui guidata. Resta quel dato abnorme, disarmonico e potenzialmente foriero di disastri, come tutte le cose disarmoniche e abnormi.

Da Platone a Olivetti, le menti più sagge di ogni epoca si sono sempre poste il problema di stabilire una relazione non sproporzionata tra lo stipendio dei capi e quello dei sottoposti: sette a uno, dieci a uno, dodici a uno.

Non è certo un sintomo di comunismo, semmai di capitalismo intelligente, attento a evitare gli eccessi per puntellare la sua miglior garanzia di durata: l’esistenza di un ceto medio che si senta parte del sistema e perciò abbia qualcosa da perdere da un suo eventuale crollo. Invece negli ultimi decenni quella relazione è diventata di mille, diecimila, centomila a uno: a volte anche a zero. Il meccanismo dei premi in azioni, magari collegati a tagli di personale, ha preso il sopravvento, contribuendo a creare una ristrettissima Superclasse di semidei che tiene per sé tutte le fette della torta, non lasciando più alla massa impoverita neppure le briciole. E la storia ci insegna che le aristocrazie dominanti si sono sempre estinte in seguito a un’indigestione.

2 replies

  1. la demo(nio)crazia del nostro tempo fa un’altra vittima eccellente

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  2. Carissimo Gramellini, il capitalismo è questo, non c’è capitalismo buono o cattivo esiste la lotta di classe tra ricchi e poveri.

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