Nel decretone di maggio meno sussidi e tasse più contratti a termine

Il governo ha solo 3,5 miliardi da spendere. Addio al reddito di cittadinanza per gli occupabili. Salvini chiede un ritocco alle pensioni minime, Meloni e Giorgetti scettici: mancano le risorse

(ALESSANDRO BARBERA – lastampa.it) – Il Consiglio dei ministri per approvare il decretone sul lavoro atteso da settimane (bozza in circolazione, 160 pagine) avrebbe dovuto essere nel primo giorno utile dopo il ponte del 25 aprile. Poi Giorgia Meloni ci ha ripensato e ha imposto una data più suggestiva: il primo maggio. E così, mentre a Piazza San Giovanni saranno in corso le prove del tradizionale concertone organizzato dai sindacati, i ministri saranno a Palazzo Chigi per il provvedimento più importante dall’inizio dell’anno. Dentro ci saranno almeno tre cose, tutte rilevanti: la riforma del reddito di cittadinanza, un piccolo (e nuovo) taglio delle tasse in busta paga ai lavoratori dipendenti, la liberalizzazione dei contratti a termine. Matteo Salvini vorrebbe aggiungere a questo menù già ricco una quarta portata: un ritocco all’insù (dopo quello di Natale) delle pensioni minime. Partiamo da questo, che è la questione più dibattuta all’interno della maggioranza.

Nell’audizione della scorsa settimana in Parlamento, il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti aveva detto esplicitamente che il decretone avrebbe concentrato tutte le risorse sul taglio delle tasse in busta paga. Il perché è semplice: a disposizione ci sono tre miliardi e mezzo, la cifra appena sufficiente a garantire (di qui a dicembre) un aumento del netto in busta paga ai redditi più bassi. Le cifre che circolano varrebbero 15 euro in più (medi) al mese per redditi annui fino a 25mila euro. Fonti del Tesoro garantiscono che il taglio potrebbe essere anche più cospicuo, purché le risorse vengano concentrate su una misura. Il taglio dei reddito di cittadinanza garantirà nuove risorse, ma non subito. Per il momento Giorgetti deve mostrarsi particolarmente prudente: l’aumento dei tassi di interesse non è finito e mai come ora il governo sui conti pubblici non può permettersi fughe in avanti. Ecco perché l’aumento delle pensioni minime è in forse: se il governo decidesse di dividere il poco a disposizione fra lavoratori e pensionati, non lo noterebbero né i primi, né i secondi. Nei contatti coi colleghi di partito Giorgetti si è mostrato molto laico, salvo avvertire del rischio «polverizzazione». Del resto Salvini ha gettato il sasso nello stagno, ma l’idea non sembra appassionare nemmeno Forza Italia, che pure aveva insistito per il ritocco ai pensionati introdotto con l’ultima Finanziaria. «La riduzione del cuneo fiscale salirà dal 3 al 4 per cento», diceva ieri il capogruppo alla Camera Paolo Barelli, avallando dunque l’ipotesi (preferita anche dalla premier) di concentrare questo intervento sugli stipendi falcidiati dall’inflazione. Per inciso: se anche i 3,5 miliardi andranno per intero a ridurre il costo del lavoro, in autunno occorrerà trovare altrettanto per garantirlo nel 2024. E non essendoci margine per altro deficit, bisognerà cercare le risorse da aumenti di entrate o tagli alla spesa.

L’altra gamba del decretone del primo maggio – forse quella politicamente più rilevante – sarà una maggiore liberalizzazione dei contratti a termine, oggi vietati allo scadere dei due anni. Nel primo anno la liberalizzazione è completa e non occorrerà alcuna causale. Fra il primo e il secondo anno nelle aziende ci saranno tre strade possibili: esigenze previste dai contratti collettivi, di natura organizzativa o per sostituire altri dipendenti.

Infine c’è la riforma del reddito di cittadinanza, sul tavolo del ministero del Lavoro da mesi. Tramontata l’ipotesi del «Mia» (Misura per l’inclusione attiva), l’ultima bozza divide il reddito in tre parti: «Gil» (Garanzia per l’inclusione lavorativa), «Gal» (Garanzia per l’attivazione lavorativa) e «Pal» (Prestazione di accompagnamento al lavoro). La «Gil» è lo strumento che confermerà il reddito a chi non è occupabile: potrà essere chiesto dalle famiglie con almeno un minorenne a carico, un over sessanta o un disabile e un reddito Isee (l’indicatore della ricchezza complessiva) non superiore ai 7200 euro l’anno. L’assegno in questo caso varrà fino a 500 euro al mese. Il «Gal» è la misura che interesserà i cosiddetti «occupabili» fra i 18 e i 59 anni in povertà assoluta. Lo potranno ottenere per massimo un anno, senza rinnovo, e varrà fino a 525 euro a famiglia. Il terzo strumento del nuovo reddito (la Pal) è in realtà transitorio: sono i soldi che verranno concessi agli «occupabili» che hanno avuto il reddito nei primi sette mesi di quest’anno ed hanno sottoscritto il «patto per il lavoro»: dal primo settembre avranno diritto ad altri 350 euro. —

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