
(di Chiara Saraceno – repubblica.it) – Per sostenere la scelta di avere un figlio e soprattutto di averne più di uno non basta affidarsi unicamente o prevalentemente ad un solo strumento. Dati di ricerca sui diversi paesi sviluppati indicano che occorre un sistema integrato di misure che rendano sostenibile questa, libera, scelta, in termini sia economici sia dell’equilibrio complessivo dei progetti di vita individuali e familiari.
Ciò significa agire su più fronti. Innanzitutto, ovviamente, occorre fare in modo che i potenziali genitori, cioè le generazioni in età fertile, in giovani innanzitutto, abbiano la ragionevole certezza di un reddito adeguato nel medio-lungo periodo, quindi di una occupazione compensata decentemente e/o di ammortizzatori sociali efficaci in caso di perdita o di riduzione della stessa. In un paese in cui il divario occupazionale è ampio non solo tra uomini e donne, ma anche tra madri e non madri e in cui ogni anno il 20 per cento circa delle occupate esce dal mercato del lavoro a causa della maternità, occorre anche contrastare le discriminazioni di genere nel mercato del lavoro, sostenere la negoziazione per orari di lavoro che favoriscano la conciliazione con gli impegni familiari (anche per gli uomini), retribuire meglio i congedi parentali, ampliare e rendere il più possibile universali e finanziariamente accessibili i servizi per l’infanzia e il tempo pieno scolastico. Ciò costituirebbe anche un investimento sulle nuove generazioni che ne ridurrebbe il costo per le famiglie. Renderebbe anche chiaro che non si tratta solo di riempire vuoti demografici, ma di creare buone e pari opportunità nella crescita, a prescindere dalla famiglia in cui si nasce.
I trasferimenti economici diretti sono certamente utili e persino doverosi. A parità di reddito, infatti, chi ha figli sostiene maggiori costi. Non si tratta di una scelta di consumo come un’altra, perché incide sugli equilibri sociali ed economici del paese nel medio e lungo periodo. Ad esempio, la bassa fecondità delle coorti che si sono succedute negli ultimi quarant’anni ha prodotto uno squilibrio quasi irreversibile nel bilancio pensionistico, non compensabile solo con l’innalzamento dell’età alla pensione e una maggiore occupazione femminile. Richiede anche l’immissione di forza lavoro straniera, a tutti i livelli di qualificazione, che riempia anche i buchi lasciati nel mercato del lavoro da chi va in pensione. Anche se ha esiti di lungo periodo, l’assunzione della responsabilità di mettere al mondo e far crescere uno o più figli va quindi sostenuta riducendone i costi. La questione è farlo nel modo più equo possibile, oltre che integrato con le altre misure. Certamente non a scapito di queste. L’introduzione dell’assegno unico in Italia è stato un importante passo avanti, uscendo da un approccio frammentato e talvolta iniquo, che spesso lasciava fuori le famiglie e i minorenni più poveri. Era il caso delle detrazioni fiscali per i figli a carico che, come tutte le detrazioni, erano del tutto irrilevanti per gli incapienti o comunque per chi aveva un’imposta molto modesta. Al di là dell’enorme costo che avrebbe la proposta di Giorgetti in termini di mancati introiti fiscali, con effetti dirompenti sulle altre parti del sistema di welfare (sanità, servizi per l’infanzia, scuole), colpisce quindi l’intenzione di tornare, in modo ancor più radicale, alla situazione pre-assegno, per altro senza eliminare quest’ultimo. Se si vuole intervenire sui trasferimenti diretti, meglio sarebbe rafforzare l’assegno, rendendolo anche un po’ più universale nell’importo.
Le evidenze empiriche a livello internazionale indicano anche che le politiche sono tanto più efficaci quanto più sono, non solo generose, ma chiaramente leggibili e continuative. Cambiarle ogni volta che cambia il ministro o la maggioranza governativa non consente di integrarle nel proprio progetto di vita e crea sfiducia.
Al di là del progetto futuribile sulla maxi detrazione fiscale e delle enunciazioni della premier a favore dell’occupazione femminile, purtroppo il quadro che si presenta ai potenziali genitori è invece di un’aumentata incertezza, non solo a causa del quadro economico, ma per la disattenzione, quando non ostilità, verso elementi essenziali del pacchetto di misure che sarebbe necessario per effettuare scelte responsabili di fecondità, come ha segnalato anche Valentina Conte su questo giornale.
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Bisogna scopare!!!!
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