Roberto Scarpinato: “Liste sporche, la ‘Cartabia’ è da rifare”

SENATORE M5S – L’ex magistrato: “Cancellare la Severino? Coerente con la deregulation dei reati dei colletti bianchi”

(DI ANTONELLA MASCALI – ilfattoquotidiano.it) – Il senatore Roberto Scarpinato, M5S, presenterà un’interrogazione al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per sapere se intende porre rimedio a una delle tante conseguenze critiche della riforma Cartabia.

Cosa sta succedendo?

Non si ha il tempo di provare a tappare alcune delle falle più gravi della riforma, che se ne scoprono altre. Come l’intervento a gamba tesa sulla legge Severino per consentire a condannati definitivi, per reati contro la Pubblica amministrazione e altri reati, di candidarsi alle elezioni.

Si spieghi.

La legge Severino ha previsto l’incandidabilità alle elezioni della Camera, Senato e Parlamento europeo, nonché l’impossibilità di ricoprire incarichi di governo, nei casi di condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per delitti contro la Pubblica amministrazione, nonché per i delitti per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. La legge dispone che l’incandidabilità opera anche nel caso in cui la sentenza definitiva sia emessa a seguito di patteggiamento della pena (art. 444 del c.p.p.). L’articolo 13 dispone, inoltre, che l’incandidabilità sussiste per una durata non inferiore a sei anni anche se con la sentenza di condanna non è stata irrogata la pena accessoria della interdizione temporanea da pubblici uffici. La Corte costituzionale con giurisprudenza costante ha chiarito, infatti, che l’incandidabilità non ha natura di sanzione penale, ma è una misura finalizzata a tutelare l’oggettiva onorabilità e credibilità delle istituzioni.

Cosa è cambiato?

La riforma Cartabia ha stabilito, invece, che la candidabilità può essere oggetto di negoziazione tra le parti in sede di patteggiamento della pena (ai sensi dell’art. 444 c.p.p), nel senso che l’imputato può subordinare la sua adesione al patteggiamento alla condizione che non gli sia inflitta la pena accessoria della incandidabilità. Ma poiché anche in assenza di pena accessoria la legge Severino prevede l’incandidabilità, la riforma Cartabia per invogliare i patteggiamenti ha modificato l’art. 445 del c.p.p. stabilendo che la sentenza di patteggiamento produce effetto pure al di fuori dell’ambito penale, abrogando così la norma Severino che prevede comunque l’incandidabilità. Si tratta di un intervento a mio parere indebito perché nello sconfinare dal diritto penale al campo del diritto pubblico svilisce un bene di rilevanza costituzionale – l’incandidabilità a tutela della credibilità e rispettabilità delle istituzioni – a merce di scambio in sede processuale per mere finalità deflattive dei carichi penali. Un altro colpo alla credibilità dello Stato.

Lei ha appena depositato una proposta di legge in merito. Ce la illustra?

Chiedo che venga ripristinato l’articolo del codice di procedura penale modificato dalla riforma Cartabia in modo che si torni all’incandidabilità anche per chi ha patteggiato, come prevede giustamente la legge Severino.

Ma il ministro Nordio vorrebbe cancellare la Severino…

Mi pare coerente al disegno di deregulation dei reati dei colletti bianchi, abuso di ufficio, traffico di influenze, vari reati tributari, mediante la depenalizzazione e la limitazione in questa materia dei poteri di intercettazione dei pm, mediante la recente esclusione dal novero dei reati ostativi ai benefici penitenziari, in assenza di collaborazione, del reato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione.

Il superamento della legge Severino per chi patteggia non è l’unica conseguenza negativa della riforma Cartabia…

In Commissione Giustizia del Senato c’è il disegno di legge diretto a ripristinare la procedibilità di ufficio per tutti i reati per i quali sia contestata l’aggravante del metodo mafioso o della finalità del terrorismo. L’ex ministra ha infatti declassato una lunga serie di reati come il sequestro di persona, le lesioni personali gravi, la violazione di domicilio, a reati perseguibili non più d’ufficio ma solo a querela. Una sorta di strisciante e occulta trasformazione del contrasto alle mafie da affare di Stato a questione personale delle vittime. Ma non è finita.

Racconti.

Sino al dicembre del 2022 la legge precludeva per reati gravi, tra i quali i reati di mafia, la possibilità di patteggiare in appello la pena inflitta con la sentenza di primo grado, ottenendo una sua riduzione. La riforma Cartabia ha abolito ogni preclusione. Oggi un mafioso condannato per estorsione a 8 anni può concordare una riduzione a 6 rinunciando ad alcuni motivi di appello, pena che grazie al beneficio della liberazione anticipata si riduce ulteriormente a 4 anni e 6 mesi, che decorrono dall’arresto. Vedere rimessi in libertà, dopo così breve tempo, mafiosi che tornano a spadroneggiare nei quartieri, viene percepito come gravemente demotivante da commercianti e imprenditori che hanno trovato il coraggio di denunciare. Se non vogliamo correre il rischio di un crollo di fiducia da parte di tanti nello Stato, occorre ripristinare la preclusione al concordato in appello per reati di mafia e altri gravi reati.

Cosa pensa dell’azione disciplinare promossa dal ministro della giustizia Nordio a carico dei giudici di Milano che avevano concesso i domiciliari ad Artem Uss, poi evaso?

Il decreto legislativo del 2006 che ha introdotto il codice disciplinare per i magistrati prevede una rigida tipizzazione degli illeciti disciplinari per evitare un abuso strumentale e politico dell’azione disciplinare diretto a condizionare indebitamente la libertà di decisione dei giudici. Per questo motivo è escluso che i titolari dell’azione disciplinare possano sindacare il merito delle decisioni, censurando quelle sgradite. L’azione disciplinare è consentita solo nel caso di violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile (per esempio applicazione di una legge abrogata) o nel caso di travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile. Nessuna di queste ipotesi è configurabile nella decisione dei giudici della Corte di Appello di Milano. Per cui l’azione disciplinare promossa dal Ministro costituisce a mio parere una torsione autoritaria dei suoi poteri che dimostra la scarsa considerazione che egli ha del valore costituzionale della indipendenza della magistratura ed anticipa la volontà dello schieramento politico di cui è espressione di riportare indietro l’orologio della storia ai tempi pre-costituzionali nei quali il potere politico aveva a disposizione vari strumenti per condizionare la magistratura.

4 replies

  1. La cancrena avanza inarrestabile nel piede dentro lo stivale.
    Il paese è senza speranza, va resettato da zero.
    Ormai troppi posti chiave sono stati occupati da corrotti e ricattabili, e la guarigione è impossibile.
    L’unica è amputare.

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    • @ Fabrizio a questo punto ,concordo con te, occorre l’amputazione…ma qua non si muove paglia… sarà il caso di svegliarsi e fare qualcosa di concreto…visto che neppure alle elezioni gli italiani si sono svegliati?
      Il sottogoverno è sempre stato appannaggio della DX.. subito dopo la guerra!
      Ora le pantegane sono venuti fuori…di questo dobbiamo pure ringraziare la DC..vedi il tentativo tambroni,gli attentati neri, le BR che di rosso avevano poco e la burocrazia dei ministeri in mano ai nostalgici.
      E’ possibile azzerare tutto?Non credo fattibile, visto che abbiamo un ministro della guerra,un ministro dell’economia che fa l’occhiolino ai benestanti e la non lotta ai malavitosi quando gli si allevia il 46Bis e si permette sia la concussione,il falòso in bilancio che l’evasione per necessità!

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      • La cittadinanza è mantenuta in coma farmacologico dalla disinformazione pubblica e privata.
        Chi si informa attivamente si accorge di quello che succede, ma come in un incubo non può fare nulla.
        Unico lato positivo è che non si annoia.
        Per muovere la massa dei cittadini ci vuole molto tempo, poi però quando si muove ci vorrà molto tempo prima di riuscire a fermarla.

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