
(MARIA LAURA RODOTÀ – lastampa.it) – Se fosse una commedia di inizio millennio (Le fate ignoranti? I fasci ignoranti, peggio delle fate?) andrebbe così: un presidente del Senato destro e stentoreo e non antipatico dichiara in tv che proverebbe “dispiacere” se sapesse che suo figlio è gay. Subito dopo apprende di aver figli/nipoti/amici colleghi di partito gay che dopo una serie di imprevisti finiscono per fare coming out. Poi litiga, poi si sente male, poi decide che il mondo è bello perché è vario, e via di finale abbastanza lieto. Nel caso di Ignazio La Russa e dei suoi discorsi a Belve (Raidue, di Francesca Fagnani) non sta andando così. La seconda carica dello Stato ha detto molte cose discutibili; e forse si è sacrificato per la sua squadra.
Perché ieri tutti parlavano delle sue frasi a effetto. Ed è stata una diversione mediatica dalle liti in maggioranza sui bonus, dal mezzo flop ucraino del/la premier, da altri esponenti di Fratelli d’Italia che dicono e fanno cose molto più fasciste. La Russa non ha detto cose – solo – fasciste; ha detto, sugli uomini gay e sulle donne belle e brutte, quel che pensa una gran parte dei vecchi maschi italiani (anche più giovani, anche vecchie femmine, ma meno), quelli dai sessanta in su, che ricordano un patriarcato indiscusso e non riescono a capacitarsi di certe stranezze. Di certe perdite di privilegi. La Russa, presidente del Senato irrituale e furbo, lo sa. È irrituale perché non è tanto una figura istituzionale super partes; e tratta come entità inferiori, soggette al suo verdetto, gli omosessuali e le donne che non rispondono ai suoi criteri estetici. È furbo perché sa che verrà giustificato. E sa di combattere al fianco di altri intellettuali di destra – Pio e Amedeo, Angelo Duro, e altri – per il diritto di insultare allegramente e per ristabilire i valori tradizionali. E non negoziabili, come il tifo.
L’interistissimo La Russa equipara un figlio gay a un figlio milanista. Certi romanisti, non si sa se più moderni o più feroci, lo preferiscono a un figlio laziale. Il che viene ripetuto infinite volte, da decenni, da gente anche molto di sinistra, e l’ammiccamento calcistico funziona a tutto campo. E La Russa lo sa. Come sa – o prova a – creare identificazione in quella maggioranza di genitori che al coming out dei figli – maschi poi- reagirebbe/reagisce con dispiacere. Molti perché «è difficile, si viene discriminati, si rischia l’infelicità». La Russa invece soffrirebbe perché lui è etero e un figlio gay «non mi assomiglia». E questo Ignazio misura di tutte le cose è anche magnanimo, pronto ad accettare un rampollo gender. Ma non basta. Gli Ignazi d’Italia vanno convinti, non lasciati agli omofobi militanti, più o meno fanatici, più o meno pretestuosi, che nella maggioranza di governo ci sono.
Ci potrebbero provare, ci provano, tante persone LGBTQ, anche quelle a rischio di discriminazioni, e di aggressioni. Mettendo inizialmente a disagio parenti, colleghi, ristoratori, albergatori, assicuratori (non serve Rosa Chemical; basta un gesto affettuoso, basta un «mio marito» o «mia moglie»). Facendo, a forza di gesti e di presenza, superare paure e idee ricevute. In altri paesi, il sostegno al matrimonio per tutti è arrivato quando in tanti hanno fatto coming out e la gente ci ha preso confidenza. E pure con serie tv come Modern Family, con il padre reazionario che a un certo punto si fa coraggio e porta il figlio all’altare e si piange tantissimo (e per favore, scrivete delle Fate ignoranti di epoca meloniana; con un fratello d’Italia alla La Russa commosso alle nozze del figlio in un comune del litorale Pontino, o in Sicilia, o ovunque; ma fate presto, prima che tutti si abituino e qualcuno pensi di vietare la propaganda gender, come è successo, con governi di destra, in qualche altro paese UE).
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