Dal fu Cioni Mario al Festival: Benigni s’è spento (da solo)

Giusto una settimana fa, Roberto Benigni riceveva ovazioni nella serata inaugurale del Festival di Sanremo. Già questa notizia dovrebbe essere inquietante per Benigni, perché a inizio carriera quello stesso pubblico destrorso […]

(di Andrea Scanzi – Il Fatto Quotidiano) – Giusto una settimana fa, Roberto Benigni riceveva ovazioni nella serata inaugurale del Festival di Sanremo. Già questa notizia dovrebbe essere inquietante per Benigni, perché a inizio carriera quello stesso pubblico destrorso e nazionalpopolare non lo avrebbe mai osannato così tanto. Benigni però non si pone il problema. Al contrario: cerca ogni giorno di disinnescare interamente se stesso, riuscendoci in pieno. Con Benigni siamo molto oltre il sempiterno “si nasce incendiari e si muore pompieri”, e non potrebbe essere diversamente per un comico che a trent’anni prendeva in braccio Berlinguer e a sessantacinque Mastella. Benigni e i suoi esegeti, a questo punto, ci ricorderebbero che non si può essere Cioni Mario per sempre, laddove il Cioni Mario era uno dei suoi primissimi personaggi (su testi di Giuseppe Bertolucci): sboccato, iconoclasta, scorretto, esilarante, ingestibile e irresistibile. A settant’anni, verosimilmente, Benigni metterebbe malinconia se riproponesse quella satira estrema e scapigliata. Vero. Al tempo stesso, tra il tutto e il niente sarebbe forse lecito cercare una via di mezzo. Invece no: dopo avere raggiunto la vetta – baciata dagli Oscar – de La vita è bella, film struggente e riuscito al netto di quel finale anti-storico e furbescamente americanizzante che mai gli perdonò Mario Monicelli (lui sì, irriverente sino alla fine), Benigni si è spento da solo. È diventato un divulgatore tecnicamente bravissimo (sul palco sa essere sublime), ma del tutto annacquato. Rassicurante. Spuntato. Esangue. Paraculo. Da “Berlinguer ti voglio bene” a “Renzi ti stimo un sacco”. Se Carlo Monni fosse ancora vivo, lo coprirebbe di parolacce da qui al 2030. Se Dario Fo fosse ancora con noi, gli ricorderebbe una volta di più che il satirico non può mai e poi mai diventare turibolo dei potenti. Ma né l’uno né l’altro ci sono più, e nel magico mondo della retorica italiana Benigni è da tempo diventato uno dei tanti intoccabili nostrani.

A Sanremo, Benigni ha mostrato tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Tre, soprattutto. Il primo è la continua overdose di retorica iperbolica e ridondante di cui è permeato ogni suo monologo. Tutto, nei suoi interventi, è esageratamente bello, melassoso e ampolloso. Benigni si compiace del barocco e se ne frega del minimalismo. Se la retorica volasse, l’uomo più amato da Lucio Presta sarebbe un Boeing. Il secondo difetto è l’incoerenza. Benigni, a Sanremo, è tornato a celebrare la Costituzione più bella del mondo. Bene bravo bis: ma è lo stesso Benigni che il 4 dicembre 2016 votò “sì” alla vomitevole schiforma Boschi-Verdini? Nel 2016, folgorato dal suo amicone Renzi (un politicante qualsiasi che il primo Benigni avrebbe scorticato a suon di inni del corpo sciolto e vaffanculo), prima disse che avrebbe votato sì. Poi che avrebbe votato no. Quindi garantì a Repubblica che avrebbe votato sì, perché la riforma – per quanto scritta male – era comunque meglio di niente. Ecco: celebrare la Costituzione dopo avere appoggiato sei anni e mezzo prima chi voleva sventrarla, è un po’ come definirsi vegani dopo aver mangiato dodici bistecche di Chianina di fila. Benigni non è credibile – ecco il terzo punto debole della sua performance sanremese – neanche quando insiste sulla bellezza dell’articolo 21 della Costituzione. Certo che è un articolo bellissimo: ma – di nuovo – è lo stesso Benigni che querelò nel 2017 Report, Rai, Sigfrido Ranucci e Giorgio Mottola, “rei” di avere firmato e mostrato un’inchiesta a lui (e alla moglie) sgradita? Benigni è ormai un retore disinnescato che predica troppo e razzola malino. Peccato.

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4 replies

  1. Un buffone.
    Lo è sempre stato ed è il suo mestiere tra l’altro.
    Quello che dice per me conta 0 e vedo che sempre più persone cominciano a capire (direi finalmente) cosa ha combinato il PD in Italia.

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    • Cmq io sono sempre stato dell’idea che Benny fosse un gran paraqulo. E ho sempre preferito Nuti (poveraccio, tra l’altro, che destino infame per lui e non per il cocainomane dedito alla Commedia).

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