
(ANSA) – Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano (Tp) è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. E’ quanto apprende l’ANSA da fonti qualificate.
(lastampa.it) – Arrestato Matteo Messina Denaro. Noto anche con i soprannomi “U siccu” e “Diabolik”, mafioso italiano, legato a Cosa nostra, considerato tra i latitanti più pericolosi e ricercati al mondo. «Figlio d’arte» , il padre, «don Ciccio» fu capo della mafia trapanese, ha trasformato Cosa Nostra strappandola alla tradizione del feudo per catapultarla nel mondo delle imprese.
A soli 47 anni, è rimasto l’unico in grado di gestire l’immenso territorio che racchiude il suo mandamento: Trapani, Alcamo, Mazara e Castelvetrano. Un potere destinato ad esercitare influenza anche a Palermo, dove lo tsunami investigativo ha sderenato l’organizzazione criminale.
(ANSA) – Secondo quanto si apprende, Matteo Messina Denaro, boss latitante da 30 anni, sarebbe stato arrestato all’interno di una clinica privata di Palermo. Il blitz è stato coordinato dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido
(Adnkronos) – Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato mentre era in day hospital alla clinica MADDALENA di Palermo.


Messina Denaro, il capo della nuova mafia ricca e invisibile

di Lirio Abbate – 23 MAGGIO 2022
Oggi la nuova mafia ha il volto di Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande boss corleonese libero, ricercato da quasi trent’anni, uno stragista legato a Salvatore Riina, che dal 1994 ha però cambiato linea criminale, inabissandosi e rendendosi invisibile a tutti. Infiltrato nell’economia legale, inquina l’imprenditoria nazionale, gestisce la politica locale e regionale dove si assegnano gli appalti milionari. Se vogliamo capire cosa è oggi la mafia, dobbiamo guardare a questo “picciotto” trapanese che è diventato miliardario, e potente. Tutti lo temono. Sappiamo che c’è, ne sentiamo la puzza, ne seguiamo le tracce, vediamo le conseguenze della sua azione nefasta sul territorio, ma non si riesce ad afferrare, a toccare, a descriverlo, a fotografarlo. Ha la stessa dimensione di come è adesso la mafia in Italia.
“U Siccu”, come lo chiamano, era uomo di fiducia di Riina, e alleato al clan palermitano di Brancaccio di Giuseppe Graviano. Sono i gemelli diversi, protagonisti della stagione di sangue durata 22 mesi a partire dal 23 maggio 1992 fino al gennaio 1994, quando Graviano è stato arrestato a Milano e Messina Denaro da quel momento è scomparso nell’ombra, custodendo i segreti del capo dei capi, dell’archivio che aveva nel suo covo, e dell’eredità di legami con la zona grigia che ha dialogato e fatto affari con Riina. Legami e contatti ancora preziosi per Cosa nostra.
Dunque, chi è oggi “‘u Siccu”? E cosa è oggi la mafia? Lui è uno che ha accumulato tanto denaro da non doverlo più contare. È diverso dagli altri padrini corleonesi. Ha creato un welfare mafioso che gli consente di amministrare potere sulla società. Anche se i tempi sono cambiati in Cosa nostra: ci sono le critiche per una gestione personalistica e si registrano le lamentele di affiliati, o dei detenuti, che non vengono ricompensati economicamente.
Sono stati buoni e zitti dopo le bombe del 1993. Anni di tregua e di “invisibilità”. La linea di “‘u Siccu”, che formalmente non è il capo di Cosa nostra ma del mandamento di Castelvetrano e della mafia trapanese, punta a fare meno rumore possibile per tutelare gli interessi economici dell’organizzazione. E soprattutto i suoi. La mafia è un sistema di vasi comunicanti. È necessario mettere insieme il patrimonio di conoscenze e analisi se si vuole osservare il vero volto della mafia di oggi. Il primo passo è studiare come i boss “dentro” tentano di comunicare con quelli che stanno “fuori” e con tutto l’ambiente da cui provengono.
I collegamenti con la politica e con l’impresa fanno parte di quello che possiamo definire il capitale sociale della mafia. Per Cosa nostra, come lo è per la ‘ndrangheta, è una caratteristica propria. Nel 1900 Luigi Sturzo scriveva: “La mafia stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; la mafia oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini creduti fior d’onestà ad atti disonoranti e violenti”.
Lo stesso concetto, lo stesso meccanismo di potere, viene spiegato più di un secolo dopo dal mafioso Nino Giuffè, che ha collaborato con la giustizia, e ha detto ai pm che “nel mondo ci sono vari poteri: imprenditoriale, economico, politico. Per funzionare devono essere tutti collegati tra loro. Perché altrimenti il marchingegno non funziona. È l’unione che fa la pericolosità”. Sturzo e poi Giuffrè, distanti per formazione e coscienze, danno lo stesso senso di quanto i meccanismi di potere delle mafie siano immutati da secoli.
Oggi ci sono vasti territori del Paese permeato dai clan che mettono in pratica il metodo mafioso, cioè la capacità di ricorrere alla violenza per creare assoggettamento, intimidazione, omertà, per il raggiungimento di fini sia leciti sia illeciti, e la consapevolezza in un certo ambiente circostante, che non deve necessariamente essere geografico, cioè il territorio, ma può essere sociale, come quello riscontrato in diverse regioni del Centro e del Nord, per creare omertà e soggezione nell’interlocutore e nell’ambiente circostante. Puntano al potere economico. Ai soldi pubblici. All’arricchimento illecito. I grandi flussi finanziari dei mafiosi vanno spesso pure all’estero.
C’è un’intercettazione, che risale alla caduta del Muro di Berlino, in cui un mafioso dice a un altro di investire nella Germania dell’Est e non solo, in qualsiasi settore. Ecco, quell’intercettazione vale come esempio della capacità di Cosa nostra di cogliere i mutamenti. Lo stesso avviene con le attività dei Paesi off shore. I boss puntano dove ci sono soldi: un tempo nei terreni, nell’edilizia, oggi nell’energia e nei rifiuti. Negli ultimi anni anche in piccole cose: magari non si tratta di grandi affari ma permettono di incassare cifre utili per i bisogni delle varie famiglie.
La mafia, pur continuando a perseguire lo sfruttamento parassitario della ricchezza sociale a mezzo della violenza, è ormai pienamente integrata nell’economia ufficiale, rendendosi meno individuabile e contrastabile. È la linea che Messina Denaro ha tracciato e le mafie stanno seguendo.
(ANSA) – Matteo Messina Denaro si era recato nella clinica privata dove è stato arrestato “per sottoporsi a terapie”. Lo dice il comandante del Ros dei carabinieri Pasquale Angelosanto dopo l’arresto del boss compiuto dagli uomini del raggruppamento speciale assieme a quelli del Gis e dei comandi territoriali.
Restano quattro “primule rosse” ricercate dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro
Ancora liberi Giovanni Mottisi, killer di Riina, il camorrista Renato Cinquegranella, Attilio Cubeddu nella lista di «most wanted»

(lastampa.it) – Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro – «U siccu», il super boss della Cupola – restano in cinque. Pericolosi e probabilmente con i connotati completamente cambiati. Sono i latitanti più pericolosi «scomparsi nel nulla» nonostante siano i più ricercati d’Italia. A braccarli da anni, polizia, carabinieri, antimafia, anticrimine, informatori, finanza, cani anti droga. Sui loro passi, a volte, persino gli agenti di pool internazionali. Ma nulla… Di questo mafioso mafiosi, due camorristi e due criminali comuni, non c’è traccia. Volatilizzati da anni. Chi sono? Ce lo racconta il Viminale che ha reso pubblico il report, della direzione centrale della Polizia criminale, «Latitanti di massima pericolosità». Si tratta di Giovanni Motisi, Renato Cinquegranella, Pasquale Bonavota e Attilio Cubeddu. Primule rosse inserite nella lista dei «most wanted».
«U pacchiuni», Il killer di Riina
Altro imprendibile (finora) è Giovanni Motisi, detto «u pacchiuni», «il grasso», 59 anni, palermitano doc, ricercato dal ’98 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage. Ha l’ergastolo da scontare, il killer di fiducia di Toto’ Riina, secondo un collaboratore di giustizia era presente anche quando si parlò per la prima volta di ammazzare il generale Dalla Chiesa. Nel ’99, durante la perquisizione della sua villa di Palermo, spunta una fitta corrispondenza tra lui e la moglie Caterina, bigliettini recapitati da ‘postini’ fidati assieme a vestiti e regali. Ed è dello stesso anno l’ultima «apparizione» sicura in Sicilia di «u pacchiuni», alla festa di compleanno della figlia: nelle foto ritrovate diversi anni dopo risaltano le pareti coperte con lenzuola bianche per non far riconoscere il posto. Da allora, più niente o quasi tanto da alimentare il sospetto – ricorrente nelle grandi latitanze – che Motisi possa essere morto. Un’altra ipotesi è che abbia cercato, e trovato, riparo in Francia.
Il cattivo dell’Anonima sequestri
Attilio Cubeddu, nome storico dell’Anonima sequestri sarda, nasce ad Arzana, in provincia di Nuoro, nel 1947 e dopo diversi reati commessi da giovanissimo si scopre una vocazione per i rapimenti: partecipa tra gli altri a quelli Rangoni Machiavelli, Bauer e Peruzzi, fino all’arresto del 1984 a Riccione. La condanna a 30 anni sembra l’inizio della fine, ma lui si comporta da detenuto modello e riesce ad ottenere diversi permessi premio: da uno di questi, nel gennaio del 1997 per vedere moglie e figlie, «dimentica» di rientrare. È da allora che si materializza solo nei giorni del sequestro Soffiantini, di cui è implacabile carceriere («il più cattivo di tutti», secondo l’imprenditore bresciano) e che polizia e carabinieri cercano inutilmente ovunque: in Corsica, in Spagna, in Germania, in Sud America e, naturalmente, in Sardegna, dove secondo alcuni avrebbe trascorso gran parte della sua latitanza, protetto da un network di fiancheggiatori. Negli anni si è fatta strada l’ipotesi che in realtà sia morto, ucciso da un complice per una storia di soldi. Nel dubbio, anche per lui la caccia resta aperta.
Il camorrista della Nuova famiglia
Boss della camorra, classe 1949, di Renato Cinquegranella si sono perse le tracce dal 2002. Ricercato per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro, originariamente legato alla Nuova Famiglia, storica rivale della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, di lui resta solo una vecchia foto sgranata in bianco e nero, calvizie incipiente, occhiali, baffi neri e sguardo fisso nell’obiettivo. Un volto come tanti, eppure il suo nome compare nelle cronache giudiziarie di due dei delitti che più hanno scosso Napoli: l’omicidio di Giacomo Frattini, alias «Bambulella», soldato della Nco, torturato, ucciso e fatto a pezzi nel gennaio dell’82; e il massacro del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, «firmato» nel luglio dello stesso anno dalle Brigate Rosse. L’episodio confermò l’esistenza di un «patto scellerato» tra le Br e i capi-zona della camorra del centro di Napoli. Dal dicembre 2018 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, finora senza esito.
Grande governo Meloni!
CI voleva proprio!
"Mi piace""Mi piace"
Vabbè, mi ricorda l’arresto di Riina. Ora Messina. Chi decide il momento di quando e come disfarsi di ricercati famosi sono i nuovi vertici della mafia. Come nel caso Riina non troveranno nascondigli segreti, documenti e altro. Prima ripuliscano poi fanno la soffiata al momento giusto.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Volete vedere che ora tra le pieghe della riforma Cartabia i suoi avvocati troveranno un cavillo per farlo uscire dal carcere?? Tutto è possibile nel paese del sottosopra! Persino che il quotidiano Il Riformista lanci una petizione a favore di una pena alternativa al carcere, oltre all’abolizione del 41 Bis.
Tra gli altri, l’uomo di Arcore e l’Emerito saranno un filino preoccupati?? Qualunque cosa dirà (se lo dirà) sulle stragi, immagino la risposta dei soliti noti, giornaloni compresi: “Intanto dobbiamo essere garantisti con tutti, e poi… siamo sicuri che la confessione di un criminale sia attendibile?? Quello lì per scagionarsi sarebbe capace di incolpare chiunque!!!”.
Siòre e siòri, venghino venghino, accomodatevi. Lo spettacolo sta per iniziare!
"Mi piace""Mi piace"
Evidentemente le cure di cui necessitava cominciavano a non essere più accessibili, da latitante… poco male per lui, lo attende una suite con sbarre finte, e con tutti ai suoi piedi… 🤮
"Mi piace"Piace a 2 people
Arresto FUFFA, le scimmiette ammaestrate della stampa “igenica” italiana grideranno al grande colpo inferto alla Mafia, e a noi toccheranno pure le costosissime cure di un MATRICOLATO MORIBONDO IN FIN DI VITA..
"Mi piace""Mi piace"
Preso proprio dopo la schiforma della giustizia… aoooo… a tempo!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Scommetto che si è presentato in clinica con tanto di tessera sanitaria e C.F . per chiedere l’esenzione al pagamento in quanto struttura accreditata…hahahaha… evvai al nuovo capo(già eletto).
"Mi piace""Mi piace"
Si congratulano tutti.
Ma a Novembre uscì un articolo sul fatto in cui si diceva che era malato e voleva farsi arrestare
https://www.ilfattoquotidiano.it/2022/11/14/messina-denaro-aveva-un-palazzo-a-venezia-oggi-e-malato-e-pronto-a-farsi-arrestare/6872597/
Mi sa che avete ragione sul fatto delle cure
"Mi piace"Piace a 3 people