(Massimo Gramellini – corriere.it) – L’annuncio che il buco dell’ozono si sta chiudendo ha riportato a galla i miei vent’anni, quando il buco dell’ozono era la paura del momento. Ricordo un articolo che spiegava in modo inesorabile come il futuro ci avrebbe riservato l’aumento delle malattie della pelle e l’estinzione dei poveri coccodrilli. Perciò la meraviglia di questa notizia è duplice: mentre si ricompatta il manto dell’ozono, si strappa finalmente quello della rassegnazione che ci ha avvolto negli ultimi tempi. Non è vero che qualunque sforzo sia inutile e qualunque esito casuale, né che la vita assomigli a un treno senza guidatore lanciato a fari spenti nella notte. Allora le aziende produttrici rinunciarono subito ai famigerati clorofluorocarburi, capaci di bucare lo strato di ozono che si interpone tra noi e i raggi del sole, e a distanza di quarant’anni quella scelta ha dispiegato i suoi benefici effetti. Quindi non solo è possibile cambiare, ma cambiare serve davvero a qualcosa.

A una condizione, però. Il protocollo di Montreal del 1987, sottoscritto da quasi tutte le nazioni del pianeta, non si limitò a mettere al bando le sostanze chimiche dannose, ma concesse all’Onu gli strumenti per controllare il rispetto dell’accordo e sanzionare i trasgressori. La prossima volta che qualcuno mi dirà che non si può fare più nulla per fermare la catastrofe ambientale in corso, gli risponderò: forse si potrebbe copiare quel che si fece allora.