(Massimo Gramellini – corriere.it) – Marco Rizzo è uomo d’onore (oltre che tifosissimo del Toro, quindi di animo nobile per definizione), però questa pagliacciata della «provocazione dadaista» su Gorbaciov, come la chiama lui, se la poteva risparmiare. Nel dibattito pubblico ridotto a un ruttodromo e solcato da odiatori e infelici di ogni risma, resisteva un ultimo tabù: il silenzio davanti alla scomparsa di qualcuno che ti sta sonoramente sulle scatole. Rizzo è il primo personaggio pubblico ad avere violato questa clausola minima di umanità. Nessuno pretendeva ipocrite beatificazioni a tempo scaduto, solo un dignitoso arrestarsi di fronte al mistero della morte. Rizzo poteva persino insinuare a cadavere ancora caldo che Gorbaciov fosse stato un agente della Cia o un utile idiota al soldo delle multinazionali, ma nel mondo in cui mi piacerebbe vivere non avrebbe mai detto quello che invece ha detto per pura smania di visibilità, e cioè di avere tenuto idealmente in fresco una bottiglia di bollicine per oltre trent’anni, in attesa del luttuoso annuncio che gli avrebbe dato l’occasione di stapparla.

Anche perché Rizzo non festeggerebbe mai la morte di un militante di estrema destra
 (con alcuni di loro si è appena alleato alle elezioni). Come spesso capita ai massimalisti di sinistra, da Robespierre in giù, il suo odio politico lo riserva più volentieri a quelli della sua stessa parte che, per il fatto stesso di preferire le riforme graduali alla rivoluzione permanente, non considera avversari ma traditori.