(Giuseppe Di Maio) – Alika era un poveraccio male in arnese con la stampella. Filippo aveva e ha problemi psichici, economici, ma soprattutto sociali. Quando gli faranno la perizia psichiatrica il risultato non sarà solo una delle malattie del DSM, ma la stupidità. Si arrampica sugli specchi: ha insultato la mia fidanzata, perché quel poco di coscienza che si ritrova ora gli fa temere per sé. Gli inquirenti hanno escluso il movente del razzismo. Oh bella! E se Alika non fosse stato nero, povero, dal folklore lievemente invadente, era possibile che un ipotetico altro malcapitato, sarebbe stato ucciso? Certo che no. Sono gli ingredienti che Alika assommava che hanno scatenato la furia di Filippo.

La disuguaglianza di classe dell’ambulante nella coscienza di F. Giuseppe Ferlazzo ha affievolito i suoi diritti civili, ha diminuito la tensione morale e il rispetto dovuti, ha cancellato il tabù della violenza su un essere umano. Nella sua mente il nigeriano è stato equiparato a uno schiavo che si permette di chiamare “bella” la donna del padrone. Ebbene, questo è esattamente ciò che succede nel razzismo e nel mobbing: vale a dire la totale sottrazione dei diritti fondamentali di un individuo, di modo che non possa più costituire un elemento di competizione sociale.

Ma ciò che mi ha dato più fastidio in tutta la vicenda, è la pletora della cancel culture buonista che si è levata subito dopo a reti unificate. Noi Italiani non siamo razzisti, ed è razzista e fascista chi non condanna esplicitamente l’accaduto, ha cantato il coro. Poi resta da spiegare come mai, tanta gente che ha persino filmato il fattaccio (dimostrando di avere ben capito che si stava commettendo un delitto), è stata incapace di intromettersi e interrompere l’aggressione. La raccapricciante neutralità dei passanti attesta che siamo un popolo ormai privato di gran parte dei tradizionali strumenti morali, e della capacità politica di reagire a un’ingiustizia. Siamo un popolo che non interviene, e che sfoga sui social il proprio rancore.

Il pensiero dominante e conservatore vuole che il Mediterraneo sia un’autostrada, ma a naso e “a pancia” troppa gente teme per se stessa, per la propria casa, per il proprio lavoro. Le furie antirazziste relegano però gli Alika nelle periferie e nel degrado di quartieri che già stentavano a sopravvivere. Non se li portano sotto casa, non finanziano di persona il loro inserimento sociale. Anzi, più abbassano il muro delle frontiere nazionali, più alzano quello della proprietà privata e dei diritti acquisiti a discapito di un popolo destinato a dover condurre la sua lotta di classe non con loro, ma con i miserabili della terra. Le furie conservatrici pretendono diritti politici per i figli di Alika, ma mai investirebbero un solo centesimo per consentire loro di insidiare anche i propri benefici. Insomma, siamo il solito carcere falso e retrivo.

Un pulman passa per i quartieri residenziali di Bruxelles, sale un nero nel suo abito tradizionale: bonjour monsieur, dice l’autista. Bonjour à vous monsieur, risponde il congolese.