(Francesco Erspamer) – Piccolo supermercato di paese, giovane mamma con bambina vivace e curiosa di tutto, poca spesa; ma alla cassa «sì grazie, mi dia il sacchetto», di plastica si intende, per la comodità di arrivare all’auto parcheggiata a venti metri di distanza. Lo noto perché poche ore prima avevo letto l’ennesimo allarme degli scienziati, che particelle di plastica sono state trovate nella neve fresca in Antartide, dunque sono ovunque, nel disinteresse generale, anche di coloro che si sentono ambientalisti ma solo se non comporta rinunce; anche di genitori affettuosi che per evitarsi un piccolo fastidio contribuiscono alla devastazione del mondo che lasceranno ai loro figli.

A questo ha portato il dogma neoliberista del consumismo e dell’edonismo individuale come condizioni normali e “dovute” dell’esistenza, come se la vita e la felicità fossero dei diritti (non è un caso che lo proclami il documento fondativo degli Stati Uniti) e non perenni processi di maturazione attraverso sacrifici, collettivi e soprattutto personali. Ah, i «diritti»: parola che aveva senso quando indicava un obiettivo ideale e sociale per approssimarsi (e solo approssimarsi) al quale occorreva aggregarsi, lottare, privarsi di qualcosa di concreto a vantaggio degli altri e dei posteri, pertanto da giustificare in termini di bene comune e transgenerazionale; e non invece una condizione astratta, stabilita una volta per tutte da chi rinnegando e cancellando il passato fa del futuro una banale proiezione del proprio presente, e che si riempie la bocca di valori «universali» o, peggio, «umani» in modo da non doversi, appunto, sacrificare.

Non si ha diritto a nulla senza sacrificio e senza disciplina; si hanno solo necessità, reali o presunte, le prime imposte dalla natura, le seconde da chi ha (o vuole avere) potere e ricchezza e intende conservarli per sé.