Don Luigi Ciotti: “Antimafia è una parola che andrebbe messa in quarantena”

(Anticipazione da Oggi) – In un’intervista a OGGI, in edicola da domani, don Luigi Ciotti, fondatore di Libera contro le mafie, rivela: «Ero a Palermo quel 23 maggio 1992, il giorno tremendo di Capaci. Dovevo parlare di droga con gli insegnanti delle scuole. I segni della vita sono importanti. Da lì non me ne sono più andato».

E spiega come decise di «tradurre in responsabilità e impegno il sacrificio di quelle vite». Racconta anche della scelta di Gian Carlo Caselli, che andò da lui al centro Abele a Torino per dirgli: «Io faccio domanda per la Procura di Palermo. Lascio qui la famiglia, mia moglie, i figli. Se puoi, dagli un’occhiata…».

A trent’anni dalla strage, dice don Ciotti, «la memoria di Giovanni, come quella di centinaia di altre vittime innocenti delle mafie, è uno stimolo prezioso ma anche esigente. Non basta ricordare».

Ma avverte: «Vedo il rischio che parole come legalità o antimafia si riducano a un concetto astratto di cui qualcuno ci ha rubato la sostanza… La parola antimafia sarebbe da mettere in quarantena. Non è una carta d’identità: l’antimafia è un fatto di coscienza, con atti conseguenti… Qualcuno ne ha anche fatto il cavallo di Troia per il malaffare».

Categorie:Cronaca, Interno, Mafia

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1 reply

  1. 👏🏽
    Le parole vengono svuotate di senso, il significato viene stravolto e persino la storia viene modificata e sistematicamente distorta.

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