(Andrea Scanzi) – Michele Santoro, o almeno uno che gli somiglia il giusto, è tornato in tivù. Fa piacere.

Lunedì era a Otto e mezzo e due giorni dopo in un approfondimento di La7 a tratti molto toccante, impreziosito dalla presenza di un grande giornalista come Andrea Purgatori e dalla preziosa testimonianza di Fiammetta Borsellino. Con quella sua simpatia notoriamente contagiosa, Santoro – sempre più versione “Mannoni 2 La Vendetta” – ha dispensato perle di saggezza su tutto, dalle cravatte di Speranza che secondo lui non si spettina abbastanza a sua figlia che vuole abbandonare l’Italia. Son problemi grossi.

Santoro è stato un giornalista straordinario. Ha fatto cose enormi, che resteranno nei decenni. Poi, a ridosso del 4 dicembre 2016, si è improvvisato di colpo renziano. Forse per tardiva folgorazione sulla via di Rignano o forse per ottenere uno strapuntino suppletivo in Rai. Non si sa. Vederlo ridotto in quel modo fu vieppiù imbarazzante (per lui, intendo). E di sicuro ebbe persino meno fiuto politico di Bombolo Calenda, perché salì sul carro di Renzi proprio quando l’Adenauer del Valdarno cominciò a perdere ogni sfida. Financo quelle alla PlayStation contro Orfini. Spiace.

Cominciò così, per il diversamente gioviale Michele, un declino non tanto e non solo di ascolti, quanto di credibilità. Spiace.Poi, il ritorno. Nuovi sermoni (noiosi come una mietibatti spenta: Michele è sempre stato un monologhista borbottone, macchinoso, prolisso, asciugagonadi e tecnicamente pessimo). Nuove intemerate (spesso orgogliosamente ad minchiam). Vecchi regolamenti di conti (Grillo, Travaglio, la Rai: che palleeeee!). Antichi renzismi che rimangono (ripijate, Miche’!).

E un nuovo libro. Sulle stragi del ‘92. Argomento di cui Santoro ha sempre meritoriamente parlato, rischiando non poco, e che conosce bene. Per questo spiace che, per la sua narrazione, il mai sgarbato e sempre disponibile Michele si sia affidato a un pentito altamente discutibile, reputato addirittura inattendibile dalla procura di Caltanissetta. Alludo al killer Maurizio Avola, che ciclicamente suole intestarsi omicidi quasi che li scegliesse à la carte: “Ho ammazzato Pippo Fava”, “Sono stato l’ultimo a incrociare lo sguardo di Borsellino”, “Ho sconfitto Hitler con la sola forza del duodeno”. E via così. Stamani, sul Fatto, di Avola parla Claudio Fava. Figlio di Pippo e non proprio uno sprovveduto in materia. Dice: “Affidarsi ad Avola è uno sputo in faccia a ogni verità. Avola fu già protagonista nel 2008 di un libercolo in cui raccontava l’eccitazione per l’odore del sangue con la stessa ipertrofia dell’ego con cui in questo libro racconta di nuovo i suoi omicidi. S’intestò già in quella circostanza l’omicidio di mio padre Pippo, per il quale tre processi hanno indicato come autore materiale, senza ombra di dubbi, Aldo Ercolano. Ora aggiunge la sua presenza operativa sul luogo della strage di via D’Amelio, con grossolani errori però”.

E ancora: “Nella sua confusa ricostruzione, Avola riduce tutto a un tranquillizzante western tra buoni e cattivi che hanno facce stolide dei Corleonesi. Cosa non mi convince poi della sua ricostruzione del delitto di mio padre? Tutto”.

Leggo che Santoro, divenuto nel frattempo idolo degli ultrà renziani (condoglianze), tornerà in tivù. Sarebbe una bella notizia, anche perché chiudere una carriera così nobile con quell’obbrobrio accecante (nel senso dell’estetica) e clandestino (nel senso degli ascolti) di “M” sarebbe oltremodo ingiusto: un po’ come se i Led Zeppelin fossero passati da Stairway to heaven a Fiki Fiki di Gianni Drudi.

Per ora, però, la sua rentrée non pare granché esaltante. Speriamo che col tempo migliori: puoi fare di più, Micky Mannoni Santoro. Good night and good luck (cit).