(Francesco Erspamer) – Non ho idea di cosa si siano detti Conte, Grillo, Zingaretti e Draghi nei giorni scorsi, prima di iniziare le consultazioni ufficiali, e questo mi fa piacere. Stanno facendo politica, non uno spettacolino a esclusivo uso e consumo dei media, alla Renzi o alla Salvini – quei facili slogan e cazzate ormai indispensabile ai drogati di breaking news per mantenere tutto a livello di emozioni personali, di sfoghi, in modo da tenersi lontani dalla ben più ardua fatica dell’impegno e dalle rinunce imposte da una lotta davvero collettiva. Ovviamente dipenderà dai risultati concreti ma questi primi passi mi confortano: forse il M5S in questi tre anni di governo ha finalmente imparato a manovrare, trattare, negoziare; forse non ripeterà gli errori commessi in passato.

Potrebbe essere un’occasione: i giornalisti per esempio sono spiazzati; dare pregiudizialmente dell’incompetente ai pentastellati gli faceva guadagnare punti presso i loro padroni, ma che fare adesso che potrebbero essere determinanti per Draghi, ossia per l’uomo proposto dagli Elkann e dalla Confindustria e gradito al New York Times? Alcuni di loro pensano di cavarsela attaccando Di Battista, sia per non essere un fan di Draghi, il che gli vale la patente di irriducibile e contestatore professionista (che peraltro a me paiono complimenti in un’epoca di conformisti e yes-men), sia perché pur argomentando i suoi timori non dà in escandescenze e non minaccia uno scisma, il che gli vale l’accusa di incoerenza: “non si sa bene cosa vuole”. Appunto. Quando i giornalisti non sanno bene cosa un politico vuole, vuol dire che la politica la stanno facendo i politici e i partiti, non i media e le multinazionali. In questo senso Di Battista ha insegnato molto al M5S: con le sue critiche e la sua lealtà, con il suo idealismo che al momento opportuno sa accettare la realtà. Un vero politico, prezioso in questa fase di passaggio alla maturità, per alcuni traumatico. Se l’intero Movimento sarà a sua volta capace di fare autocritiche e compromessi senza perdere coesione e entusiasmo, se riuscirà ad agire in modo machiavellico senza abbandonare i propri ideali (come Machiavelli stesso, del resto), allora quella di questi giorni potrebbe diventare una svolta positiva. Tutto sta a non farsi fregare, soprattutto all’inizio: patti chiari (ossia garantiti e presto seguiti dai fatti, non vuote promesse), legislatura lunga. Per questo io includerei fra le condizioni (magari segrete) un canale Rai per il M5S, come si è sempre fatto e come è democratico per il partito con più rappresentanti in Parlamento.

Il premio per Draghi potrebbe essere il Quirinale, l’anno prossimo; ma solo se avrà lavorato per l’Italia e non per Goldman Sachs o per la Banca Centrale Europea, solo se avrà aiutato il paese a risollevarsi mantenendo o ancor meglio ritrovando la sua identità e dignità invece di attuare le privatizzazioni e la macelleria sociale sognate dai trumpisti de noantri e dai profeti dello sviluppo selvaggio. Ci sono dei rischi, naturalmente, ma ci sono in tutti i casi; e possono venire sensibilmente diminuiti da un’accorta azione politica. Un governo Draghi che avesse una sicura maggioranza, includesse Conte e altri grossi nomi pentastellati e usasse il Recovery Fund esclusivamente a favore delle piccole e medie imprese italiane e dello Stato, potrebbe essere una soluzione praticabile. Niente di meno però: nessun Monti bis, nessuna concessione al liberismo di Salvini, nessun cedimento ai ricatti di Renzi.

È possibile? Non so cosa aspettarmi ed è una sensazione piacevole: è vero che c’è ancora spazio per sprofondare ulteriormente nel qualunquismo liberista però c’è anche qualche segnale di un ritorno della politica e la politica, dopo trent’anni di berlusconismo e di gossip mediatico, è l’unica speranza che abbiamo. I prossimi giorni saranno decisivi e occorrerà avere e dimostrare sangue freddo, lucidità, compattezza, reagendo agli scenari che si paleseranno senza ingenuità, senza illusioni, senza preconcetti.