(di Marcello Veneziani) – Se fossi Mattarella stasera cambierei registro nel messaggio di fine anno rivolto agli italiani. Dopo undici anni di discorsi sulla stessa linea se non sullo stesso copione, vale a dire il patriottismo della Costituzione, la repubblica antifascista nata dalla Resistenza, l’Italia come concessionaria locale dell’Unione europea e lo Stato nazionale come un franchising del marchio Ue-Nato, cercherei di dire qualcosa di nuovo e di diverso, da un punto di vista generale. Non tornerei al patriottismo nazionale e non mi fermerei dentro i nostri confini, ma mi soffermerei su un’altra prospettiva più universale: l’umanità è in pericolo, rischia di perdersi e non poter tornare più indietro. Non si tratta della minaccia nucleare o ambientale, delle guerre e delle autocrazie imperanti ma di qualcosa di più radicale e perfino più tangibile: la disumanizzazione del mondo.

Cosa sta succedendo? In una sola espressione, la sostituzione dell’umanità e della realtà, con il silenzio della politica e dei poteri istituzionali e il balbettio della cultura. I fattori di pericolo sono sostanzialmente quattro ma il pericolo maggiore viene dal loro intrecciarsi e accumularsi.

Il primo fattore di rischio, come ben sappiamo, è la tecnologia che si trasforma da strumento in scopo, da serva in padrona, ed esautora l’umanità, l’intelligenza e il lavoro umano. Lo temiamo da anni, ma ora sta accadendo sul serio con un’accelerazione che toglie il respiro e non ci dà il tempo di comprendere e di metabolizzare. L’automazione sta espiantando l’umano, lo rende superfluo, lo atrofizza, si sostituisce in tanti processi non solo pratici e meccanici ma anche intellettivi. L’avvento dell’intelligenza artificiale, senza contrappesi, anticorpi, capacità di governare i suoi processi, sta spodestando con una rapidità e una vastità impressionanti tutto ciò che un tempo atteneva all’umano, passava dal lavoro umano, dall’elaborazione e dalla ricerca intellettuale, dall’esperienza vitale.

Il secondo fattore di pericolo è la finanziarizzazione totale e globale dei processi economici e produttivi. Non conta più produrre oggetti, mezzi, servizi utili all’umanità, e guadagnare legittimamente attraverso la loro commercializzazione; quel che conta in ultima istanza sono i dividendi finanziari e la trasformazione di aziende un tempo industriali in società finanziarie. La realtà si allontana, il profitto si separa dai beni e si unisce alla speculazione del capitalismo finanziario; il mondo è sottoposto a una grande bolla finanziaria, aumentando i rischi che esploda, come è già accaduto in passato, ma con effetti ancora maggiori quando aumenta la dipendenza dell’economia dalla finanza, dai tassi d’interesse e dal debito. Anche le cosiddette startup diventano solo imprese temporanee che appena hanno successo sul mercato, vengono subito cedute ai gruppi finanziari, servono solo per trasferire capitali e affrettare e ingrandire i ricavi.

Se i giganti della tecnologia sono governati da holding finanziarie cresce la loro carica disumana, perché i loro primari se non esclusivi interessi sono legati all’espansione rapida dei profitti e non alla validità dei prodotti.

A questi due fattori strutturali si aggiungono altri due fattori concomitanti che sorgono da motivazioni e pulsioni psicologiche. La prima è la volontà di potenza, ovvero l’uso di apparati tecnologici, militari, farmaceutici o di altro tipo per esercitare il dominio sulle masse e sugli stati. La volontà di potenza è evidente nei regimi autocratici ma è implicita anche in molti governi che hanno ancora l’aspetto di democrazie e di regimi liberali. Dietro il desiderio di supremazia, dietro la pulsione alla guerra e alla dominazione, c’è la volontà di potenza; non da oggi, da sempre; ma oggi dispone di quei nuovi mezzi tecnologici e persuasivi, oltre la forza e le armi. La volontà di potenza è incline a considerare l’umanità come mezzo anziché come fine, per dirla con Kant; cioè ha un potenziale di disumanità che calpesta con indifferenza gli altrui diritti, la vita e la sofferenza degli altri.

Infine, il rischio della disumanizzazione proviene dalla perdita dell’umanesimo e dell’intelligenza critica, della cultura e della civiltà. La crescita senza freni e contrappesi della tecnologia o del profitto finanziario fanno terra bruciata di tutto quanto richiama umanesimo e intelligenza, cultura e identità, tradizione e storia, educazione e civiltà. Che diventano ingombri di cui liberarsi, pietre al collo e inciampi del passato, inutili orpelli di epoche ancora pervase dal senso religioso, estetico, storico, morale e culturale. La barbarie benestante di oggi, l’inciviltà di ritorno, il ripudio di ogni sapere che non abbia una rapida utilità pratica e finanziaria, è sotto gli occhi di tutti.

Questi quattro fattori sono oggi, nel loro combinarsi e potenziarsi reciproco, i maggiori pericoli per l’umanità. Se ancora ne parliamo è perché evidentemente il mondo non va in una sola direzione e la storia non è mai scritta in anticipo. È una sfida aperta da giocare.

A chi detiene il ruolo super partes di garante e arbitro della Res publica, di rappresentante e guida autorevole delle istituzioni, tocca la responsabilità di tenere svegli i cittadini a partire dalle classi dirigenti e coloro che detengono poteri decisionali e discrezionali. Certo, sono scenari in cui la politichetta non c’è più, le piccole contrapposizioni urlate e inconsistenti contano davvero assai poco; si tratta di oltrepassare la politica o predisporre lo sguardo alla Grande Politica, oltre i contingenti flussi elettorali e le ordinarie gestioni del presente. Per un presidente avanti negli anni e nel suo doppio mandato, c’è una ragione in più per porre questi problemi. E da presidente della repubblica italiana dovrà calare poi questa visione generale della nostra epoca nella specifica realtà nostrana. In un paese che ha fatto per secoli della cultura e della civiltà, dell’intelligenza e della creatività, la fonte della sua principale ricchezza e prestigio nel mondo. L’Italia non può abdicare in favore della tecnica e della finanza, della supremazia della forza e del disprezzo per l’umanesimo, rinunciando alla sua stessa identità e “missione”. Lo stesso discorso, allargandosi, vale per l’Europa e per la sua presenza sulla scena del mondo.

Questo appello proietterebbe lo sguardo del Capo dello Stato sul futuro, allontanandosi dal consueto fraseggio in uso nel teatrino pubblico.

Coraggio Presidente, abbandoni almeno una volta il ruolo di custode del potere costituito e delle ovvietà istituzionali e volga lo sguardo a qualcosa di più grande e nascente, più pericoloso e più reale, che tocca realmente l’umanità tutta e gli italiani uno per uno. Allunghi la vista, innalzi lo sguardo.