
(di Marcello Veneziani) – Lo Stallo. Sei regioni hanno votato nelle ultime settimane e in tutte e sei sono state confermate le maggioranze uscenti: dove si sono presentati i governatori uscenti sono stati confermati, dove c’erano nuovi candidati hanno vinto comunque le coalizioni che reggevano i governi precedenti. Parità assoluta e continuità totale. Anche sul governo centrale non si intravedono mutamenti: la Meloni governa stabilmente e saldamente da anni, la durata è assicurata, non si intravedono rischi e insidie particolari e le proposte di riforma dei meccanismi elettorali sembrano fatte apposta per garantire ulteriormente la durata. Il governo non sale e non scende nella percezione della gente e nei relativi consensi; la sua azione non sembra registrare passi avanti o passi indietro significativi, non c’è né la caduta né la volata. Anche il paese resta in una situazione di sostanziale continuità, non ci sono né i cambiamenti salvifici che annunciano le truppe governative né i peggioramenti catastrofici che annunciano le truppe di opposizione. A ogni dato negativo corrisponde qualche dato positivo, parità quasi perfetta. Anche all’opposizione non si intravedono novità: il tema è da anni sempre lo stesso, il campo largo, ovvero l’alleanza della sinistra coi 5Stelle, che si fanno sempre più esili. Ma nemmeno quell’intesa fa passi avanti o passi indietro: quando serve e quando sono candidati i grillini, viene adottata l’alleanza, quando genera difficoltà e divergenze, viene disdetta o sospesa.
Come le processioni antiche di paese, a ogni passo avanti corrisponde un passo indietro. Non siamo nemmeno in una fase di crescita delle forze radicali e ribelli, dei movimenti antisistema; sono piccole, marginali, sacche fisiologiche, nulla di significativo o di minaccioso per la stabilità degli assetti.
Siamo in una fase di stallo, non c’è che dire. Stallo generale. L’unico piccolo movimento che si avverte è lo sgocciolio dai tubi elettorali, ovvero la perdita costante di flussi dai canali della democrazia e dalle urne. Goccia dopo goccia, il bacino elettorale si restringe e la bacinella che raccoglie il non voto si riempie, e trabocca. È l’unico ticchettio di vita che proviene dai paraggi della politica. La maggioranza assoluta degli italiani non va a votare, a nord, come a sud e al centro, e a sinistra come a destra come al centro, sia quando è nell’aria la vittoria della sinistra sia quando si prevede la vittoria della destra. Forse alle elezioni politiche il richiamo sarà un po’ più forte, perché più forte è la contrapposizione, e dunque agirà la molla negativa più che la molla positiva e si andrà a votare per impedire che vincano loro; così, almeno la soglia della metà dei votanti potrà essere varcata. Ma resta il problema della vasta defezione o disaffezione di massa, divenuta ormai strutturale, non occasionale. Per la verità anch’io da tempo mi sento in sintonia con la maggioranza assoluta degli italiani, nutro un forte disinteresse per la politica, di cui mi occupo saltuariamente e il minimo indispensabile, sfuggendo ai dibattiti e ai talk show politici; non è nemmeno un rifiuto polemico o conflittuale verso alcuno, non mi sento deluso né tradito perché so come vanno le cose; ma avverto un senso di estraneità, lontananza, e la sensazione che la politica non affronti né i temi veri della vita reale e sociale, né i temi ideali e civili che un tempo appassionavano. Ovvero non tocca né gli interessi né le motivazioni. Nè la pancia né il cuore; la testa non ne parliamo. E per certi versi non me la prendo nemmeno con la politica: siamo in un’epoca in cui il potere si è trasferito altrove, in processi, procedure e decisioni che superano la politica, i governanti e i confini nazionali.
Tornando invece alla politica nostrana, venivamo da una stagione politica caratterizzata da cicli politici sempre più brevi, mai più di un triennio: così fu la parabola veloce di Matteo Renzi che in un primo tempo sembrava destinato a una lunga premiership, così è stata la parabola di Giuseppe Conte nei due opposti format governativi, così fu la parabola di Mario Draghi e dei tecnici, per indicare le leadership di governo più significative e più diverse dopo il tramonto dell’era Berlusconi. Da alcuni anni, la politica sembrava aver accorciato il ciclo biologico delle leadership e accelerato la parabola dell’ascesa e del declino nei consensi. Con la Meloni al governo è stato invece superato senza scosse il triennio e la percezione è che durerà a Palazzo Chigi fino a fine legislatura; e se ora si dovesse votare vincerebbe ancora lei, col centro-destra. Se non intervengono colpi di scena, di testa o di coda della presente legislatura, il quadro non sembra per ora destinato a cambiamenti neanche nelle prossime elezioni, tra due anni. Altro che vento cambiato, “la riscossa che parte dal sud” o da chissà quale nuova alleanza: se pensate che il cambiamento parta da Fico a Napoli, siete alla frutta, per giunta fuori stagione. Non spira nessun vento, l’aria è stagnante, domina lo stallo, a parte erosione del popolo elettorale goccia dopo goccia.
Per il centro-destra, per la Meloni, permangono semmai alcuni punti critici che non sono comunque di oggi: due regioni che sono state da sempre sensibili alla destra, Campania e Puglia, sin dai tempi del referendum sulla monarchia, e poi ai tempi di Lauro e delle amministrazioni di centro-destra, poi guidate a lungo dai democristiani, sono ormai da molti anni nelle mani del centro-sinistra. E la destra non riesce a esprimere in tutto il sud leadership regionali e anche nazionali. Le candidature che vengono proposte sono sempre poco convincenti, poco autorevoli, poco efficaci. Però bisogna anche dire che nel computo generale, anche sul piano amministrativo, le regioni sono in prevalenza guidate dal centro-destra. Lo stesso, invece, non vale per i capoluoghi di regione, a partire da tutte le grandi città in mano alla sinistra. Sono punti critici, ma non mi pare di intravedere pericoli mortali.
Il consenso verso la Meloni non è in crescita, in decrescita e nemmeno in una fase di slancio e di fiducia; ma in caso di competizione elettorale, il confronto con la sinistra e il rischio di un governo di sinistra, e di un’armata Brancaleone, riattiverebbe comunque la scelta in favore della Meloni & Brothers. Meglio poco che niente, meglio fermi che indietro. Intanto, però, nonostante qualche siparietto polemico, qualche comizio ad alta voce, qualche piccola guerra di passaggio tra le tifoserie, viviamo il tempo dello Stallo. Gli uni lo chiameranno stabilità, gli altri lo chiameranno staticità, ma siamo comunque allo stallo. Tu chiamala se vuoi stagnazione.
Questo signore, evidentemente, non va mai a fare la spesa, non paga le bollette, non fa caso alle tasse. Non si è accorto che il costo del gas è triplicato rispetto al 2024, che i prezzi sono aumentati del 15% (si chiama inflazione), che il peso tributario è maggiore. Altro che stasi. Forse immagina ancora che quel termine si riferisca alla polizia politica della non rimpianta DDR ( che ci ha lasciato con il suo regime comunista il 26% di elettori neonazisti).
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