Cè una famiglia che è andata a vivere, bambini compresi, in un bosco. Accade a Palmoli, in provincia di Chieti. Come in quel delizioso libro che è Il più grande uomo scimmia del […]

(di Massimo Fini – ilfattoquotidiano.it) – Cè una famiglia che è andata a vivere, bambini compresi, in un bosco. Accade a Palmoli, in provincia di Chieti. Come in quel delizioso libro che è Il più grande uomo scimmia del Pleistocene di Roy Lewis, una sorta di “anti Fini”, lo zio Vania si rifiuta di scendere dall’albero su cui si è rifugiato e rimprovera aspramente Edward perché si è permesso di scoprire il fuoco (il mito di Prometeo, insomma) così questa famiglia si rifiuta di essere contaminata dal mondo occidentale e, soprattutto, dalle sue regole. È una sorta di “passare al bosco” di jungeriana memoria. Non è un caso, credo, che la donna di questa strana famiglia sia un’australiana, Catherine Birminghan, che presumibilmente ha avuto contatti con gli aborigeni di quel paese che vivono secondo costumi lontanissimi da quelli occidentali. Il fenomeno si apparenta, in qualche modo, a quello degli hikikomori che si rifiutano di uscire di casa e di avere qualsiasi contatto con l’esterno. Ma in questo caso non si tratta di un singolo ma di una famiglia, minori compresi, la cui educazione è affidata ai genitori o a un’insegnante privata molisana che fa home schooling.
In una lettera scritta dal legale della famiglia, insieme ai genitori, si sottolinea che “non commettiamo alcun reato nei confronti dei nostri figli crescendoli in un ambiente naturale con acqua pulita, un posto caldo e sicuro dove dormire, mangiare e giocare… la loro crescita sociale è insieme a persone che condividono i nostri valori, mentre vivono costantemente la società attraverso gite e uscite settimanali a negozi, parchi, amici e vicini”. Nonostante ciò, la Procura dei minorenni di L’Aquila ha avviato un’inchiesta che tende a togliere la patria potestà ai genitori e ha collocato i minorenni in una casa famiglia, dove andrà anche la madre. La questione è sottilissima: entro quali limiti lo Stato può introdursi nella vita privata di un individuo, in questo caso di una famiglia? Si avverte qui, sia pur in un caso estremo, quello che ho chiamato “il vizio oscuro dell’Occidente”, cioè la tendenza totalitaria a omologare tutto alla nostra cultura. Il ‘vizio’ nasce con lo scientismo settecentesco e con la ‘rieducazione’ dei “bambini selvaggi” che erano fuggiti dalla famiglia o, per un qualche caso, avevano vissuto dalla nascita in una foresta o in un altro luogo sperduto. Precursore e vittima di questo atteggiamento fu Victor, il “fanciullo selvaggio dell’Aveyron”. Questo bimbo di dodici anni, cresciuto nella solitudine dei boschi dell’Aveyron, fu, come ci avverte la relazione scientifica dell’epoca, “avvistato già nel 1797 e, più volte catturato e fuggito, ripreso definitivamente nel gennaio del 1800”. Subì vari esami da cui risultò “un essere subumano: incapace di parlare e comprendere il linguaggio degli uomini, abituato a nutrirsi di ghiande e radici, ignaro di ogni usanza civile”. Finì, da ultimo, nelle mani d’un medico umanista, fervente ammiratore di Locke e Condillac, Jean Itard, che si propose di trasformarlo in un ragazzo normale. Dopo anni di terapie, Victor non era più un selvaggio autosufficiente, ma non era nemmeno un uomo, era un ritardato e tale rimase per tutta la vita, una povera cosa intristita e umiliata, incapace ormai di badare a se stesso, oggetto di dotti studi sulle conseguenze della “deprivazione socio-culturale”, morì a quarant’anni in una dependance dell’Istituto dei sordomuti.
Ma c’è un episodio più recente (1984) quello di una bimba, presumibilmente di dieci anni, trovata nella Sierra Leone dai bravi padri Saveriani. Da quel momento tutta la medicina occidentale, ma anche sovietica (“Baby Hospital”, così era stata atrocemente chiamata, almeno al “fanciullo selvaggio” dell’Aveyron era stata dato un nome umano, Victor) si è messa in moto per ‘salvarla’. Il professor Caffo, neuropsichiatra infantile, ha scritto in una sua relazione: “La bambina non può occuparsi di se stessa, ha un comportamento anomalo”. Insomma Baby Hospital doveva essere rieducata a forza. Scrivevo, rispondendo a Caffo, in un articolo pubblicato dal Giorno del 1° marzo 1984: “La bambina non può occuparsi di se stessa ora, prima ci riusciva benissimo. Per quanto possa sembrare paradossale, era molto più essere umano nella foresta, con le scimmie, di quanto non lo sia oggi nella cosiddetta società civile dove è solo un oggetto, un ‘non-essere’ che va normalizzato a forza”. La necessità della bambina d’esser salvata è nata il giorno che l’hanno trovata, prima si salvava benissimo da sola. Secondo questa razionalità/irrazionalità di derivazione illuminista è meglio essere un handicappato a New York o a Mosca o a Milano che un bambino libero, anche se privo della parola, nella foresta. Non si poteva fare peggiore ingiuria a questa bimba che “curandola”, diventerà nella società cosiddetta civile, una minorata e un’infelice, quand’anche, e forse soprattutto, si facesse qualche progresso nella sua “risocializzazione”. È meglio essere bimba fra le scimmie, che scimmia fra gli uomini.
Vabeh Fini va per la tangente. I bambini non vivono (vivevano) nel bosco lontano dalla civiltà, ma in campagna a Terni, hanno i pannelli solari per l’elettricità, e la legna al posto del gas, e studiano privatamente, cosa legalissima, quindi sinceramente non vedo il problema. Ho un’amica che vive col marito e il figlio in una situazione similissima e non ha nessunissimo problema.
Mi ha ricordato Bibbiano e le scelte folli dei servizi sociali. I bambini non sono allevati dai lupi, ma da due genitori, sanno parlare perfettamente, e non hanno nessun tipo di privazione, che io sappia.
Lo stato interviene e li trasferisce di colpo in una scatola, immagino in città, compresa la madre che lavora coi cavalli, in una struttura gestita da altri a scopo di lucro in appalto, quindi con tutti i limiti del caso, lontani dalla libertà, dalla natura e anche dal padre.
Auguro loro che si liberino presto dai loro rapitori.
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Non è proprio così, Fabri: niente luce, elettricità, gas, situazione scoperta per via dei bambini intossicati da funghi selvatici, niente scuola, iscrizione a scuola a novembre dopo che erano stati richiamati all’ordine, niente contatti sociali…così, almeno, l’hanno raccontata.
Inoltre i bimbi sono con la mamma, il padre è rimasto a badare agli animali, così come intende continuare a fare in caso di trasferimento in Australia da parte di moglie e figli.
Io aggiungo che dopo una settimana di accuse lanciate ad assistenti sociali e giudici per la morte di ben 2 bambini uccisi dalla madre, di cui si conosceva la situazione a dir poco precaria, CAPISCO che le varie autorità preposte fossero terrorizzate dall’eventualità dell’ennesima tragedia annunciata.
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Anail il gas serve a scaldare la casa e a cucinare, cosa che puoi fare benissimo anche con la legna, nessun disagio, anzi … Per la luce non so come si regolassero (candele? Pile? Lanterne? Ci sono molti modi) L’elettricità nelle campagne i nostri nonni non ce l’avevano e vivevano comunque bene, loro fra l’altro ho letto che hanno dei pannelli solari. Per la scuola hanno una insegnante privata se non sbaglio, comunque si può fare scuola ai propri figli volendo, poi ogni tot hanno un esame, è legale. Li avranno iscritti a novembre per evitare rotture immagino, ma inutilmente. E hanno la pediatra.
Non so niente della madre che ha ucciso due figli (cronaca recente?), ma questa situazione non mi sembra presenti pericoli particolari per i bambini, e levarli alla famiglia è un provvedimento molto grave che richiede una situazione molto grave alle spalle e se non ci sono motivi ulteriori non mi spiego il provvedimento. Hai presente il trauma per i bambini? E la casa famiglia è una specie di carcere soft …
A me continua a ricordare Bibbiano.
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Cosa ne potranno mai sapere i professionisti che si sono occupati della vicenda, rispetto a chi ha a malapena leggiucchiato qualcosa in giro tra un bianchino e l’altro? Ovvio che i secondi diano lezioni ai primi.
L’importante è che sia sempre un complotto (a beneficio soprattutto dell’ego di chi si è incaricato di smascherarlo), e pazienza se a Bibbiano sono stati quasi tutti assolti (in primo grado, per ora): ovviamente, questo non significa che non sono stati commessi reati e che tutto il polverone era solo una vergognosa campagna orchestrata dalle destre, che non si sono fatte problemi a strumentalizzare perfino dei bambini, pur di gettare discredito politico sui propri avversari, a spese di tutti i soggetti coinvolti (minori compresi), al contrario: dimostra che anche la magistratura è coinvolta.
Non so niente di questo Castellana, ma interventi così sono altamente sospetti: probabilmente lavora per la famiglia australiana, che l’avrà incaricato di spalare letame sui social in modo da gettare l’ombra del sospetto sugli assistenti sociali, forse perché attivo in un’organizzazione di assistenti sociali concorrenti che aveva già messo gli occhi su quei poveri bambini, dei quali in definitiva non frega niente a nessuno (se non per l’uso strumentale che se ne può fare).
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Rieccoti puntuale a difendere l’autorità (il padre …), oh unico illuminato, e a dispensare saggezza a noi poveri bruti.
Dubbi? Nessuno, solo certezze.
Bisogna fidarsi dei professionisti, degli scienziati, della magistratura, dei servizi sociali, e soprattutto delle sentenze e del potere, infallibili, senza mai metterli in dubbio con squallidi complotti, pena l’anarchia e il rischio di ritrovarsi col culoalfreddo, non sia mai.
E subito pronto a rimettere a posto il mio ego indisciplinato, e tutti gli altri ego, e giustamente dall’alto..
Tu conosci bene evidentemente l’ambiente dei servizi sociali e annessi e connessi, e parli con cognizione di causa, si capisce subito, quindi chiedo umilmente scusa, e ti ringrazio per avermi riportato sulla retta via.
Barista, portami un’altra birra!
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No, Fabri, ben 2 madri che hanno ucciso il figlio, a pochi gg di distanza… omicidi annunciati, perché erano situazioni evidentemente sottovalutate, per cui sono partite accuse ad assistenti sociali e autorità varie. Credo che il clima creatosi abbia indotto gli elementi preposti ad essere più severi in questo caso, non foss’altro per le condizioni igieniche precarie (zero servizi igienici, acqua in casa, abitabilità), nessun vaccino obbligatorio per i bambini, ma soprattutto a causa dell’assenza di contatti sociali.
Per quanto riguarda l’istruzione, temo che non rispettassero DAVVERO le regole. Mi chiedo, visto anche che sono stranieri (anglo australiani) perché abbracciare un certo stile di vita proprio qui: negli States, ad es., potevano infilarsi in una foresta senza problemi… non so nelle loro terre d’origine, in cui magari hanno leggi ancora più severe.
Comunque non mi piace affatto la strumentalizzazione che se ne sta facendo, da Salvini a Meloni.
Se fossero morti con l’intossicazione da funghi o aggrediti da orsi o infettati da un qualsiasi germe mortale, a cui il loro sistema immunitario non era preparato etc, sarebbero partiti sicuramente in direzione contraria… specie con le elezioni alle porte.
Un capro espiatorio per raccattare qualche voto (specie tra i magistrati, 2 piccioni con una fava) lo trovano sempre… in un caso e anche nel suo esatto contrario.
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Anail ti ho scritto una lunga e dettagliata risposta che è finita in moderazione e penso non uscirà più (forse era troppo lunga?).
Cerco di riassumere.
Non so molto di questa storia, mi è sembrato non ci fossero gli estremi per togliere i bambini ai genitori (chissà se qualcuno ha parlato coi piccoli, e soprattutto se li ha capiti).
Abiti in città immagino, ma credo che le “scomodità” della campagna siano compensate da altri elementi che chi non ha familiarità con la natura tende a sottostimare. Secondo me se i genitori amano i loro figli (parlo di amore, non di cura, e non so in questo caso come siano messi) possono anche portarli a vivere in una palafitta al centro della palude, e staranno bene.
Noto che la questione, avendo destato discussioni e interesse, è stata subito riciclata come motivo di scontro fra due squadre, come già Bibbiano, cosa che non mi interessa in nessun modo.
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Guarda, Fabri, mi ero totalmente disinteressata ai fatti di Bibbiano, anche perché erano stati molto politicizzati e non mi sentivo abbastanza informata per poter maturare un’opinione.
Questa storia l’ho seguita perché, oltre all’interesse specifico per determinate problematiche, oggetto per me anche di studio, guardiamo quelle trasmissioni che si occupano di casi di cronaca (mio marito è appassionato, anche se siamo molto critici), quindi ho sentito interviste ai protagonisti, approfondimenti, pareri di giudici, psicologi ed esperti vari. Altrimenti non mi sarei sognata di intervenire, come infatti non mi pronuncio su Bibbiano.
Noto comunque che Meloni&co non si sono fatti attendere per strumentalizzare il fatto, specie in periodo elettorale, che per quegli elementi è SEMPRE, e basandosi sull’ignoranza, specifica e generale, del popppolo, nonché sulle reazioni istintive da “immedesimazione”, insite nell’animo umano…
Ps vivo in una località dell’interland cagliaritano e il mio piccolo giardino dà su una collina che si trasforma in ruscello, se piove un po’… e poi in torrente se piove più del solito…
Abbiamo avuto un’alluvione molto pericolosa tempo fa’: se avesse ceduto il muro del giardino, forse avremmo perso la casa…
Non lo considererei proprio un ambiente metropolitano, se non nel senso di “Città Metropolitana di Cagliari” 😃… certo le comodità non mancano a noi e ai nostri… gatti, per non lasciare i quali, non facciamo un viaggio da oltre 6 anni. Se avessi avuto figli, non avrei pensato mai di isolarli dal mondo di cui, prima o poi, crescendo, dovranno far parte, o perlomeno scegliere di farlo. Non basta l’amore dei genitori, che tra l’altro non ci saranno per sempre, e certi meccanismi psicologici così come le dinamiche sociali devono essere esercitati presto nella vita. Neanche nei paesini, né nel neolitico (per spostarci nello spazio e nel tempo), le famiglie e i bimbi vivevano isolati dagli altri gruppi familiari…
Perché si mandano i bambini nei nidi, all’asilo… poi a scuola? Solo per studiare? SOCIALIZZAZIONE, questo è il clou della vicenda, aggiunto agli altri fattori e sicuramente il più problematico…
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Anail non so quasi nulla della questione in effetti, e me ne sono fatto un’impressione da bar.
Io ho capito che vivono non in un bosco in Siberia o in Canada, ma in campagna, nemmeno un bosco in realtà, perchè ci sono alberi e campi e strade, a Chieti, con vicini di casa e un paese vicino, dove vanno tutte le settimane. E poi loro sono comunque in tre figlie, quindi hanno occasione di socializzare anche fra loro, non è un figlio unico con due adulti. E le condizioni abitative che ho visto sono molto migliori di quelle di minori che ho conosciuto direttamente lavorandoci, e mai allontanati dalla famiglia.
Se ho travisato ok, non guardo la tv, non ce l’ho da un secolo.
Nella mia esperienza mi pare di aver capito che la cosa più importante per un minore è l’amore dei genitori, ed è una cosa anche abbastanza rara direi, perchè chi sta male (non ama se stesso) non può amare.
Se questi due sono due disgraziati hanno fatto bene a toglierglieli, ma troppe volte ho visto trattare casi delicati con noncuranza e superficialità e fretta e menefreghismo da parte dei servizi sociali e dei tribunali dei minori, per fidarmene ciecamente.
La mancanza (o meglio la scarsità) di socializzazione da sola per me non può essere motivo di allontanamento da due genitori normali, ci vogliono motivi molto più seri e gravi. I bambini Rom, per dire, non li levano ai genitori, e secondo me fanno benissimo, perchè la cosa più grave che può succedere a un bambino è perdere i genitori, se questi gli vogliono bene.
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(continua, sempre da Cabras)
In attesa della costruzione della nuova casa a cento metri di distanza, alloggiamo per qualche tempo nella casa dei nonni, fra risalite di umidità sui muri che sarebbero sicuramente fonte di orrore per l’universo asettico della magistrata che ha deciso di strappare le bambine dalla loro dignitosissima casa rurale.
I bambini dei dintorni, anch’essi tutti “off grid”, abitano lì da più tempo di me e perciò sono tutti più abili nel distinguere ogni specie botanica, nell’arrampicarsi con agilità, nel maneggiare coltelli, ma mi insegnano a nuotare, a costruire baracche e rifugi per animali e mille altre scuse per trascorrere all’aria aperta un mare di ore. Quell’impronta esistenziale mi è rimasta anche nella vita adulta, nonostante le mille tentazioni tentacolari dei dispositivi informatici e gli obblighi che mi riconfinano dentro pseudo-connessioni che mi disconnettono dalla natura. Appena posso, sto all’aperto a lungo e finalmente respiro come voglio. Perciò conosco bene il respiro di quelle tre bambine presso le quali la Legge si è presentata con il volto più lontano dalla Giustizia.
Nulla che non sia già stato profetizzato a suo tempo da Pier Paolo Pasolini. Egli aveva capito prima di tutti che la scomparsa della civiltà contadina non era un mero fatto folklorico, e non temeva di assimilarla a un genocidio culturale: cioè la distruzione di un mondo autentico, sostituito da un’umanità standardizzata, prodotta in serie dal consumismo. Le sue “lucciole scomparse” erano il presagio di un nuovo Potere che non avrebbe mai più tollerato nulla che sfuggisse all’omologazione.
Cinquant’anni dopo, quel Potere ha il volto della magistratura e dei servizi sociali che hanno strappato le bambine Travallion dalla loro vita: lo stesso sguardo sospettoso e coloniale verso ciò che non sia urbanizzato, compatibile con freddi protocolli, sterilizzato. Hanno scambiato per pericolo ciò che era – nel modo più evidente e semplice – pura autenticità. Hanno trattato una casa rurale come la scena di un delitto. A nulla valeva vedere che avevano pannelli fotovoltaici (neanche le mie vecchie candele, per dire). Hanno punito una diversità che non sapevano interpretare, perché nel frattempo questi funzionari si manifestano come la perfetta espressione di un ceto semi-colto capace di ogni ferocia, con un vocabolario democratico ma un immaginario autoritario: esaltano tipicamente la “tutela”, la “sicurezza”, la “protezione”, ma sono pronti a giustificare i peggiori abusi in nome di queste parole. Proprio per questo, per loro, il percorso formativo da scuola parentale seguito da quella famiglia è come l’aglio per i vampiri. La sentenza che ha scaraventato traumaticamente le bambine in una casa protetta sconosciuta gestita con rigidi cavilli, dichiara che «la deprivazione del confronto fra pari in età da scuola elementare può avere effetti significativi sullo sviluppo del bambino, che si manifestano sia in ambito scolastico che non scolastico». Quanta cura, per lo sviluppo dell’infanzia!
È la solita cieca violenza dell’omologazione: incapace di capire la vita nella sua sorprendente inventiva, però molto capace di devastarla senza alcun rimorso, senza alcun principio di prudenza. Allo stesso tempo del tutto incapace di qualsiasi riflessione e qualsiasi intervento sull’immane disastro cognitivo dell’iperconnessione agli schermi con cui si sta consumando il vero “abbandono di minore” per milioni di giovanissime vittime (le chiamo così e ritengo di non esagerare). Lì tutto normale, mentre per delle bambine cresciute sane e nell’amore si chiamano i gendarmi.
Il paradosso è questo: gli iniziatori di questa bella famiglia sono stranieri che hanno scelto l’Italia pensando di ritrovarla nella sua accogliente tradizione popolare. Volevano in qualche modo essere italiani, ma sono stati traditi dall’Italia odierna, che proprio non tollera un’Italia che non c’è più.
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Brutta cosa l’identificazione a vanvera, se non ci si rende conto delle ESSENZIALI DIFFERENZE.
Era vissuto sino a 7 anni in un contesto normale e anche in seguito NON è mai mancato il contatto coi coetanei, tra l’altro in un contesto in divenire.
Questi bambini NON avevano contatti, NON frequentavano, NON avevano modo di sviluppare la SOCIALITÀ. E non parlo a vanvera, Fabri… ho studiato la specifica materia (Psicologia dell’età evolutiva) avendo frequentato a tempo pieno una scuola presso un centro riabilitativo per bambini disabili, e l’esame riguardò, tra le altre cose, proprio l’affettività e la socialità in età evolutiva. Ti assicuro che certe carenze sono esiziali, ma, come ci avvertì uno dei docenti il primo giorno di scuola: “chiunque crederà di conoscere la psicologia quanto se non meglio di voi”, perché tutti credono di conoscere determinati meccanismi solo in quanto esseri umani.
Stimo Cabras, ma sbaglia ad identificarsi con una situazione così diversa tenendo anche conto che paragona gli anni 70(in cui scopro che lui era un bambino, mentre io passavo dai 15 ai 25 anni! Grrrr 🤬😆) col 2025!!! È quasi come parlare di 2 secoli fa. Ma le esigenze della socialità sono forse, ora, ancora più forti. Certo lui le avvertiva allora, e non se ne privava, ma ritiene che la sua condizione sia la stessa di questi bambini, limitandosi a paragonare l’acqua, il fuoco, il contatto con la natura, ma non il totale isolamento (così dicono, ma certo dovranno verificare…)
Domani mi metto a scrivere di astrofisica, dopotutto le stelle le vedo anch’io, come Margherita Hack…uguale, proprio.
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Non mi ha passato la prima parte del commento di Cabras, riprovo ultima volta:
(prima parte)
Il vergognoso trauma inflitto alle bambine della famiglia Travallion dall’ottuso gelo burocratico che le ha allontanate dalla loro vita familiare lo sto osservando con particolare immedesimazione e dunque con dolore. Infatti, da bambino ho vissuto in campagna in una situazione che ha notevoli affinità con quella che era la loro vita fino a pochi giorni fa, lontana da tutte le presunte comodità della modernità eppure autenticamente felice ed equilibrata. Immagino con orrore l’intervento di una presenza estranea e tetragona che avesse profanato quella mia adorata routine della fanciullezza.
Fino all’età di sette anni avevo vissuto in un paese del centro Sardegna, in una casa che poteva giovarsi dello stesso kit di comodità di qualsiasi casa proletaria urbana italiana, dal frigo alla TV all’acqua corrente. I miei decidono proprio allora di iniziare una nuova vita in un comune della costa orientale, in un appezzamento comprato vent’anni prima dai miei nonni paterni, dove avevano edificato una casetta in cui vivevano tranquillamente “off grid” (anche perché nei paraggi non c’era nessuna “grid”, nessuna rete). Chissà che pericoli avrebbero visto gli assistenti sociali per un bimbo proiettato di colpo in un nuovo inizio che gli negava l’onda lunga del “progresso” e tutte le abitudini fin lì acquisite. Per parte mia, mi sentivo nelle mani salde di una famiglia.
Ho il privilegio di ricordare quasi ogni dettaglio della mia infanzia collocata nei lontani anni Settanta del secolo scorso, con memorie che non hanno mai perso la loro emozionante freschezza.
Sento ancora l’odore del fieno, il rumore del vento fra gli alberi, i passi energici del nonno che mi insegna i segreti dell’orto, i sapori chiassosi degli ortaggi, il rito del recupero serale delle galline ruspanti che compongono nelle loro uova una tavolozza di sapori incomparabili con qualsiasi uovo acquistato nei supermercati. Ho la gioia della noia, mentre vigilo il lento pascolo delle mucche e prendo l’abitudine di leggere da cima a fondo i quotidiani che mi raccontando le gesta poco eroiche di certi adulti che si sentono padroni del mondo.
Ho tuttora presente nelle gambe la sensazione dei lunghi e polverosi tratti di strada a piedi per raggiungere le case dei bambini “vicini” nelle poche e disperse abitazioni edificate qui e lì in quella vasta campagna. Mi vedo ancora in auto con mio padre, mentre lo accompagno, come faccio ogni pochi giorni, fino a una fonte che spunta ai piedi di una ripida collina, in mezzo alla macchia, fra querce, olivastri, cisto e tappeti di inula viscosa, per fare scorta di acqua potabile.
Dovremo aspettare ancora molti anni prima che in quella campagna giungano le tubature dell’acqua corrente e le reti elettriche. Nel frattempo, alla sera, l’illuminazione è data da una pluralità di fonti molto Amish: lampade a gas, ma più spesso, banali steariche. Cosa meno Amish, per la cena di Natale del 1976 i miei si divertono a collegare una lampadina a una dinamo alimentata dal trattore, che mi incuriosisce ma non mi invoglia a fare di più di quanto non faccia già alla luce delle candele: ad esempio leggere. I miei genitori non hanno potuto studiare, ma non perdono occasione per portare a casa nuovi libri e io li leggo, anche sotto le luci tremolanti delle fiammelle del candelabro.
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Grazie Massimo, avanti
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“così questa famiglia si rifiuta di essere contaminata dal mondo occidentale”
Sarà, ma quando la suddetta famiglia ha problemi di salute, non si cura certo con le erbe del bosco, anzi: in quel caso, non disdegna affatto di usufruire di un servizio (la sanità) messo in piedi e mantenuto da una società della quale non desiderano fare parte (tranne quando gli fa comodo) e alla quale non contribuiscono in alcun modo, a differenza del resto della collettività.
Troppo comodo, prendere soltanto quando serve, senza dare mai nulla.
“È meglio essere bimba fra le scimmie, che scimmia fra gli uomini.”
Ormai anche Fini scade nella retorica più banale: che mai avrebbero dovuto fare i bravi padri Saveriani, quando hanno trovato una bambina di dieci anni che viveva nella foresta con le scimmie? Lasciarla lì?
Grazie Massimo, ma preferisco ricordarti da vivo.
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Io neanche da vivo, non l’ho proprio letto.
Spesso mi urta.
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E’ un antimodernista dichiarato. Un ragazzo della via Gluck.
Secondo me ha pure ragione.
Io ricordo la storia dei fuegini portati in UK da Darwin, che li considerava gli esseri umani più primitivi mai visti, salvo poi ammettere che erano intelligenti almeno quanto i ‘civilizzati’.
Tornati a casa (per modo di dire) si liberarono dei vestiti e ripresero a vivere nel loro primitivo modo.
Fu uno schiaffo epocale per le certezze della civilità dei Lumi.
Ah, i fuegini pochi decenni dopo vennero tutti sterminati dal progresso e dalla civiltà.
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