Che giostra! Il simbolo dell’Ucraina sulla pelle è l’ultima tappa dell’odissea di Carlo: da Montezemolo a Monti, passando per le fortune dem e il tira e molla con Renzi, fino alla guerra contro la “disinformazia”

(di Pino Corrias – ilfattoquotidiano.it) – Carlo Calenda vuole disperatamente essere preso sul serio, ma fa di tutto per rendersi ridicolo. Ha appena proposto di alzare uno “scudo democratico europeo” per proteggere il voto degli elettori contro le ingerenze di Russia e Cina. Come? Con apposita commissione che salvi le informazioni vere e bombardi quelle false, proprio come in Russia e in Cina: un capolavoro. Ma il meglio l’ha fatto sulla sua propria pelle. Con formidabile tempismo, mentre da Kiev andavano in onda le immagini dei cessi d’oro e dei bancali di euro rubati ai soldati ucraini che al fronte buttano il sangue, Carletto ha mostrato in tv un minuscolo tridente tatuato sul polso sinistro che sembra quello della Maserati. Invece no: “È il simbolo del principato dell’Ucraina”, ha spiegato con una certa fierezza, lasciando intendere di avere anche sofferto per quel centimetro quadrato di pelle coraggiosamente inciso: “È il mio modo di dirmi vicino a chi ha un disperato bisogno di aiuto”. Intendendo di sicuro il popolo ucraino. Ma forse anche lui, poveraccio. Se è vero come è vero che da quando bazzica il defatigante cabaret Voltaire della politica – un po’ a sinistra, un po’ a destra, di solito al centro, svuotandolo – nessuno straccio di amico, moglie, mamma, prete, santone o almeno uno psichiatra gli abbia ancora suggerito di smettere di farsi del male. Scendere dalla giostra, scegliersi un Ashram con sostanze adeguate, dormire, forse sognare.

Invece niente. In una ventina d’anni di psico-peripezie, la sua è diventata una odissea da mal di testa. Partito che fu dalla Roma bene, si tuffa nelle spiagge della sinistra, transita in Confindustria, suo mentore Luca Cordero di Montezemolo, compagno di scuola di babbo, che lo accomoda a vendere Ferrari. Procede in Confindustria dove partecipa al think tank di “Italia futura”, un serbatoio di pensieri che evapora senza lasciare traccia, tranne un bel po’ di stipendi. Approda al loden di Mario Monti, “Scelta civica”, che è un po’ il Circolo della Pipa della politica, con una manciata di riccastri come Ilaria Borletti Buitoni, Stefania Giannini, l’insonne Montezemolo, l’eterno Pier Furby Casini. Arrivando pomposi e infiocchettati alle elezioni del 2013, vanno a fondo tra litigi e ripicche. Carletto odia i 5 Stelle e la Lega di Matteo Salvini. A ondate la destra di Berlusconi che non lo prende mai sul serio. Dunque rimasto senza patria, cerca di nuovo una sponda a sinistra. Lancia il manifesto “Siamo europei”. E dichiarando “ho sempre votato Pd”, chiede asilo politico nel blando manicomio democratico diretto da Nicola Zingaretti. Gli danno talmente spago che per tre volte di seguito Calenda sale al governo, con Enrico Letta e Matteo Renzi da sottosegretario allo Sviluppo economico. Con Paolo Gentiloni addirittura da ministro. Consapevole del suo alto sapere manageriale palleggia tra 150 crisi industriali, dall’Ilva all’Alitalia, passando per Fincantieri. Ne lascia a bordo campo 162. In vista delle elezioni europee chiede e (incredibilmente) ottiene un posto a Bruxelles. Siamo nel 2019. Incassa l’elezione. Ringrazia. Due mesi dopo ripaga la fiducia, uscendo dal Partito democratico per fondare “Azione!” con il punto esclamativo che sembra uno sberleffo, il gesto dell’ombrello stilizzato.

Da lì in poi iniziano i giri di giostra con Matteo Renzi, prima alleati, pronti a fondersi, poi nemici, pronti a menarsi. Entrambi sognano il centro tavola della politica. Con la sinistra e la destra che se li contendono e se li rinfacciano nei momenti di stanca. Renzi, zufolando, monetizza con le conferenze in giro per gli Emirati. Calenda intigna, presidia i talk, litiga, minaccia. Talvolta anche se stesso: “Se mi candidassi a sindaco di Roma sarei un vero cialtrone!”. Poi fa il contrario, candidandosi contro Roberto Gualtieri, giudicato “incompetente e inutile”. Punta tutto sulle signore di Roma centro, che hanno un debole per il suo eloquio e il suo ciuffo, ma purtroppo non sono abbastanza numerose per vincere. La polemica e il risentimento tornano a essere il suo pane quotidiano. Ne ha per tutti. “Quella del Pd è una leadership svogliata”. “Renzi e Zingaretti sono riformisti rammolliti”. Il sindacato? “Populisti”. Confindustria? “Condannata all’irrilevanza”. Giuseppe Conte? “È un avvocato di provincia capitato lì per caso”. Giorgia Meloni? “Una semifascista”. Gli italiani? Sono “inconsapevoli”, anzi “ignoranti”. Per curarli ha una sua “soluzione ardimentosa”. Che sarebbe? “Far loro dei corsi sulla complessità”.

Qualche volta prova persino a incontrarli, gli italiani. Celebre – nell’ottobre del 2023 – quando riuscì da solo a mettere in fuga una intera fabbrica, quella della Magneti Marelli, solo presentandosi ai cancelli con un suadente “Voglio parlare con voi, fermi…”. Ma quelli niente, gambe in spalla man mano che lui si avvicinava e addirittura provava a inseguirli: “Davvero non mi volete parlare? Dove andate? Vi pare un buon metodo?”. Il tutto immortalato da impietose telecamere come ai tempi indimenticabili dello Specchio segreto di Nanni Loy e più recentemente dalle fanta-cronache di Maurizio Crozza.

C’è un prima che forse spiega il marasma del dopo. Carletto nasce nella bambagia, nonna principessa di Partanna, nonno ambasciatore. Il babbo fa il giornalista. La mamma, Cristina Comencini, regista per il cinema sull’onda del padre, il grande Luigi. A 16 anni, in piena adolescenza, Carletto fa il guaio. Mette incinta la segretaria del patrigno, interrompe il liceo Mamiani, sprofonda nella vita vera del ragazzo padre. Ma dedicandosi “con serietà” della crescita della figlia Tay, si azzuffa con la propria. E invece di elaborare il colpo di scena esistenziale, reagisce facendosi mangiare il tempo dalla fretta. Il panico delle incombenze fa il resto, rendendolo fumantino nel carattere, ondivago nelle decisioni, instabile persino nella propria estetica: a ondate magro, poi grasso, con barba, senza barba, con giacca e cravatta, sbrindellato in Lacoste sudata, perplesso in costume da bagno, con la panza e l’ombelico di fuori. L’aria sempre imbronciata del cacciatore contemporaneamente di farfalle e di nemici mortali. Compatisce i pacifisti, “ragazzi inconsapevoli”. Critica Israele, ma con tutti i distinguo del caso. In compenso odia Putin, il bugiardo aggressore. Chiede a gran voce il muro di droni e il porcospino d’acciaio. Crede sul serio che “ogni euro investito in difesa, allontani la guerra”. Pretende più armi persino del ministro Guido Crosetto che negli arsenali ci fa il bagno da una vita. Ora che si è tatuato, Carletto si prepara alla guerra contro la disinformazione di tutte le dittature. Prima o poi si alzerà anche lui in volo. Proprio come faceva tanto tempo fa nella sua bella cameretta d’infanzia.