
(di Marcello Veneziani) – Non sembra vero. Il Capo della FuFiat, John Elkann, discendente della stirpe regale degli Agnelli, sarebbe condannato ai servizi sociali presso i Salesiani torinesi. Siamo ben oltre la caduta degli dei, siamo al loro reimpiego nei servizi pubblici, non esclusi i servizi igienici. Una parabola sta per compiersi, un declino con svariati gradini discesi uno dopo l’altro. Un tempo, solo immaginare il Signore della Fiat condannato ai servizi sociali sarebbe stato un reato di blasfemia: non si poteva neanche dirlo per scherzo e osare di farci una gag paradossale. Peccato mortale, reato penale. Tutto quel che succedeva nella Fiat era in una zona franca, o comunque iperprotetta, come sotto la campana di vetro delle madonne. Non c’era leader politico o capo d’azienda che “non poteva non sapere” quel che accadeva nel suo regno; eccetto lui, l’Avvocato, che benché Onnipotente e dunque onnisciente, poteva non sapere, in virtù di una divina ignoranza che permetteva l’esonero dagli affanni che riguardano i mortali.
Per fermarsi solo ai tre imprenditori famosi di un tempo, Berlusconi finì nel mirino dei giudici e ci restò per una vita, andando ai servizi sociali; De Benedetti fu attenzionato e chiacchierato ma poi la scampò per le ragioni che intuiamo; Gianni Agnelli restò illeso, legibus solutus, sciolto da ogni rischio di contaminazione sia dai fatti che dalle condanne dei suoi sottoposti, come accadeva ai Re Taumaturghi investiti direttamente da Dio. Ma il declino della Fiat cominciò sin da quando c’era lui.
Ora vedi che il nipote di Agnelli rischia di finire affidato per un anno ai salesiani per la sua riabilitazione sociale tramite i servizi sociali; gli viene cioè prescritta una terapia di umiltà per disintossicarsi dal cinismo, dall’albagia e dalla presunzione d’immunità di cui aveva goduto, in linea ereditaria, per troppi anni. In cambio ha ottenuto dalla Procura di Torino il via libera alla richiesta di sospensione del procedimento per frode fiscale presunta, con messa alla prova, nell’ambito delle indagini relative all’eredità della nonna, Marella Agnelli, vedova di Gianni Agnelli, morta nel 2019. Anche per i suoi fratelli Lapo e Ginevra c’è stato il via libera alla richiesta di archiviazione per i reati di dichiarazione infedele e truffa in danno dello Stato. Il presidente di Stellantis ha scampato la condanna, in cambio dovrà sopportare l’umiliazione dell’affidamento ai servizi sociali e versare 183 milioni di euro al fisco. E dovrà tornare a Torino, città che la FuFiat aveva abbandonato nella sua mutazione transgenica in FCA, confluita in Stellantis. Oltre al tracollo dell’azienda su tutti i fronti, con Elkann è stata portata a compimento la definitiva riduzione della FuFiat da azienda di produzione industriale e automobilistica a gruppo finanziario, con preminenti interessi speculativi, in cui i prodotti “reali” sono solo una variabile relativa e secondaria delle operazioni finanziarie (i dipendenti non ne parliamo, sono l’ultima ruota del carro, per restare nella metafora automobilistica).
La saga degli Agnelli finisce nel peggiore dei modi possibili. La morte prematura di Giovannino Agnelli, considerato l’unico erede con qualche capacità e sensibilità di imprenditore, dopo la tragica morte di Edoardo, e la lunga scia di “maledizioni”; poi gli Agnelli si internazionalizzarono in famiglia, grazie ai tre Elkann, figli del personaggio televisivo, intervistatore e scrittore Alain e di una figlia dell’Avvocato, Margherita. Gli Elkann sono una potente famiglia ebraica parigina (il nonno era un rabbino), i giovani Elkann sono nati a New York. Un tempo il più noto dei tre Elkann era Lapo, personaggio leggendario, spesso caricaturizzato, con vicende incredibili di ogni tipo. Più defilata la sorella Ginevra, che pur seduta su un tesoro miliardario, godeva del finanziamento governativo per i suoi film, che poi riscuotevano in sala neanche la decima parte di quel che riceveva dai fondi pubblici, soldi sottratti ad altri magari più meritevoli e certamente meno abbienti cineasti. Particolarmente brutta la lite giudiziaria degli Elkann con la loro madre, Margherita Agnelli, sull’eredità e la successione; i raggiri, gli inganni e le terribili dichiarazioni del figlio John contro la sua mamma. Una storia esemplare del peggior familismo che sconfina nel cannibalismo parentale e nel matricidio rituale. Gli Agnelli sono finiti peggio dell’altra famiglia reale torinese, i Savoia.
Restò proverbiale, anche se non è mai stato detto in tv o sui giornaloni italiani, che la Fiat socializzava le perdite della sua attività ma privatizzava i profitti. E usava il marchio d’italianità ma era pronta a battere bandiera straniera e trasferirsi all’estero per utilità fiscale o per i costi della manodopera; un patriottismo intermittente e unilaterale, che valeva per gli utenti ma non per l’azienda.
Dietro la loro vicenda non c’è però solo il tramonto della Fiat, della famiglia reale Agnelli che ha dominato sull’Italia nel Novecento. Ma c’è il declino dell’industria italiana, la fine dei marchi nazionali, di cui oggi si salvano solo tre o quattro grandi aziende alimentari, più quel che resta nel design e nel vestiario. Il resto è finito male o in mani straniere. Resta il popolo di camerieri e di sartine rappresentato da un’élite di chef e di stilisti, allietati dai melodici. Però se l’alternativa è la Dinasty degli Agnelli-Elkann, viva l’Italia proletaria e sul piano imprenditoriale, onore a Giorgio Armani.
Moncalvo al vetriolo su questi pezzenti che non ne hanno mai abbastanza e rubano pure alla madre!
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Naturalmente i signori dipendenti di JE che operano nel mondo dell’ informazione mica possono smettere di offrire il loro prezioso contributo solo perché hanno il padrone conciato così: hanno tutto il diritto di proseguire nella loro missione, che consiste anche nel fare resoconti su situazioni e comportamenti altrui, specialmente in ambito pubblico. 🤨
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Un plauso alla redazione che ha defenestrato Sambuca.
Solo che ..
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Davvero non comprendo perché si definiscano in questo modo i servizi socialmente utili: a mio avviso il discredito lo porterà questo figuro a chi fruisce di quei servizi prestati.
Due, tre mesi di farsa e poi i lupi travestiti da agnelli tornano a farsi il bagno nei dobloni.
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Sono abbastanza vecchio da ricordarmi bene di Giovannino Agnelli purtroppo venuto a mancare troppo presto, era destinato a prendere in mano l’azienda del nonno Giovanni Agnelli e se non fosse deceduto a quest’ora la FIAT sarebbe ancora in Italia e ne sono convinto farebbe le scarpe anche ai cinesi. Esempio di imprenditore come non ce ne sono più e che hanno fatto grande l’Italia, adesso sono rimasti solo prenditori. Il suo curriculum dovrebbe essere un esempio per tutti.
Giovannino Agnelli, nominato presidente della Piaggio nel 1993, è ricordato per il suo approccio imprenditoriale profondamente sociale: considerava la missione dell’azienda non limitata al profitto, ma finalizzata a migliorare la qualità della vita e a promuovere benessere nella comunità. Sotto la sua guida Piaggio mantenne radici forti sul territorio toscano, investendo nel contesto locale e sviluppando relazioni con comunità e istituzioni, anche tramite iniziative come il museo aziendale aperto dopo la sua morte. Agnelli era noto per il suo stile di leadership “empatico” e diretto: spesso visitava le officine a fine turno, raccoglieva pareri dagli operai, e si relazionava a tutti i livelli, dal sindacalista al dirigente. Da giovane si era addirittura fatto assumere in incognito come operaio in catena di montaggio, usando lo pseudonimo “Giovannino Rossi”, per comprendere a fondo la realtà produttiva e sociale dell’azienda. La sua presenza fu visibile a eventi coinvolgenti il territorio, come il grande concerto per i cinquant’anni della Vespa, dove convocò tutti i sindaci della zona a celebrare la storia comune con la comunità Piaggio. Sostenne, molto prima che diventasse di moda, che una grande azienda deve far crescere non solo se stessa, ma anche il territorio e la comunità in cui opera, promuovendo sviluppo e relazioni con tutti gli attori locali. Si distinse per aver fatto redigere e affiggere un vero e proprio “manifesto dei valori” nei reparti Piaggio, in cui veniva affermata l’importanza dell’etica, del lavoro condiviso, della responsabilità sociale e ambientale all’interno dell’impresa. In sintesi, Giovannino Agnelli ha lasciato un segno profondo non solo come manager, ma come esempio di imprenditore socialmente responsabile e vicino alle persone, facendo della sua presidenza Piaggio un caso raro di imprenditoria etica e radicata nel territorio.
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Già, era troppo avanti.
Meglio che sia sparito lui, Edoardo, e che siano arrivati i pronipoti del rabi parigino.
Te pareva che non apparivano anche ‘loro’.
Oh, come sono arrivati loro, si è disintegrata la famiglia.
Oltretutto sono uno più fesso dell’altro, il più vispo è LAPO, non so se si capisce.
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🚗
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