(Raffaele Pengue) – La chiusura del liceo scientifico di Guardia Sanframondi ha acceso, prevedibilmente, il dibattito sulla sopravvivenza stessa dei servizi essenziali nei piccoli comuni del Mezzogiorno. Ma questa volta, forse, vale la pena guardare oltre l’indignazione di circostanza e le solite narrazioni vittimiste per cogliere un’opportunità che potrebbe diventare paradigmatica per molte aree interne dell’intera Italia.

La polemica di questi giorni si è sviluppata lungo le ormai consuete linee di frattura: da un lato chi grida allo scandalo dell’ennesimo servizio sottratto alla comunità, dall’altro chi invoca la fredda logica dei numeri e della sostenibilità economica. Ma il punto cruciale che si evidenzia è quello della mancanza di fiducia nella propria offerta formativa. Quando le famiglie scelgono sistematicamente di portare i figli altrove, il messaggio che arriva alle istituzioni è chiarissimo. E questo, purtroppo, accelera processi di razionalizzazione che sembrano inevitabili. Di certo è un dibattito sterile, che ignora la complessità del fenomeno e soprattutto le potenzialità inespresse di un territorio come quello di Guardia. Perché Guardia non è un comune qualunque. Con i suoi oltre 4.500 abitanti, rappresenta un polo di relativa vitalità demografica ed economica in un’area dove molti centri limitrofi lottano contro uno spopolamento inarrestabile. È un paese che ha saputo valorizzare le proprie tradizioni, costruendo un’identità riconoscibile che attrae visitatori e investimenti. La vera questione non è quindi se mantenere o meno il liceo scientifico a Guardia, ma se siamo ancora disposti a ragionare in termini di campanili quando la realtà ci impone logiche di area vasta. I comuni confinanti condividono con Guardia non solo confini amministrativi ma storia, tradizioni, sfide economiche e demografiche. Qui sta l’opportunità: trasformare quella che appare come una sconfitta – la chiusura del liceo – in un laboratorio di innovazione amministrativa e territoriale. Un’unione dei comuni che non sia solo un esercizio burocratico, ma un progetto ambizioso di razionalizzazione e potenziamento dei servizi essenziali.

Guardia Sanframondi ha le caratteristiche per diventare geograficamente il capofila naturale di questa aggregazione intelligente. Ha una massa critica ancora importante, un tessuto economico più diversificato, un patrimonio culturale e turistico già valorizzato. Ma soprattutto – ed è questo il punto decisivo – ha dimostrato negli anni di saper coniugare tradizione e innovazione senza cadere nell’omologazione. Un’unione dei comuni con Guardia al centro potrebbe garantire servizi scolastici integrati: un polo educativo comprensoriale che offra dai nidi alle superiori, con trasporti organizzati, presidi sanitari distribuiti ma coordinati, marketing territoriale unitario, promozione turistica integrata, filiere produttive coordinate. Ma soprattutto efficienza amministrativa: riduzione dei costi fissi, digitalizzazione dei servizi, competenze specializzate condivise.

Ma il vero ostacolo a questa evoluzione non sono i vincoli normativi o le ristrettezze di bilancio. È la mentalità che ancora considera ogni aggregazione come una perdita di identità, ogni razionalizzazione come un tradimento delle radici. È la cultura politica che preferisce difendere l’esistente – anche quando è inefficiente e insostenibile – piuttosto che immaginare un futuro diverso ma più solido. La chiusura del liceo scientifico, la perdita del tribunale e il possibile smantellamento del Giudice di Pace, il presidio sanitario… offrono a Guardia l’opportunità di guidare un cambiamento che potrebbe diventare modello per centinaia di situazioni analoghe in tutta Italia. Non per snaturare l’identità dei singoli comuni, ma per rafforzarla attraverso una gestione più intelligente delle risorse comuni. La partita si gioca tutta sulla capacità della classe dirigente locale di alzare lo sguardo oltre l’orizzonte elettorale immediato. Serve il coraggio di spiegare ai cittadini che mantenere in vita strutture obsolete e insostenibili non è un atto di resistenza, ma di rassegnazione. Serve la visione per trasformare una crisi settoriale in un’opportunità sistemica.

Ma qui si scontra con la realtà più cruda della politica locale. L’impostazione sarebbe teoricamente corretta, se non fosse che la classe politica territoriale non approverà mai una cosa del genere. Basti pensare a quanti perderebbero il potere locale: sindaci, assessori, consiglieri comunali che vedrebbero sfumare le proprie posizioni in un’eventuale fusione o unione sostanziale. È il paradosso dell’autoconservazione: chi dovrebbe guidare il cambiamento è esattamente chi ha più da perdere dal cambiamento stesso. I piccoli feudi elettorali, le reti clientelari consolidate, i sistemi di micro-potere che si alimentano proprio della frammentazione amministrativa non hanno alcun interesse a favorire aggregazioni che, per quanto razionali ed efficienti, metterebbero in discussione equilibri consolidati da decenni. I sindaci dell’area hanno davanti un’occasione storica: dimostrare che l’Italia dei piccoli comuni può essere protagonista del proprio destino, senza aspettare miracoli dall’esterno né rassegnarsi al declino inesorabile. Ma per farlo dovrebbero superare l’istinto di autoconservazione politica e anteporre l’interesse collettivo a quello personale. Cosa rara, per usare un eufemismo.

La vicenda del liceo di Guardia è, in fondo, un test di maturità per un’intera area geografica. Se saprà trasformare questa chiusura nell’occasione per ripensare l’organizzazione territoriale in chiave moderna ed efficiente, avrà dimostrato che i piccoli comuni italiani possono essere laboratori di innovazione amministrativa e non solo musei di tradizioni passate.

Se invece si limiterà alle solite recriminazioni e alle promesse elettorali di maniera, avrà perso un’occasione che difficilmente si ripresenterà. Guardia e i suoi comuni confinanti si trovano a un bivio. La strada più facile porta alla gestione dell’esistente, tra lamentele e rimpianti. Quella più difficile, ma più dignitosa, conduce verso un modello di governance territoriale che potrebbe fare scuola in tutta Italia.

Il tempo delle narrazioni vittimiste è finito. È iniziato quello della responsabilità condivisa.