I miliziani hanno bisogno di tempo per riorganizzarsi, Israele evita l’isolamento

(Domenico Quirico – lastampa.it) – La base di una buona diplomazia è la precisione. Il principale nemico di una buona diplomazia è l’imprecisione. La principale fonte di approssimazione, che sfiora talora il dilettantismo e la bugia, nell’era post diplomatica di Trump e vassalli è l’ossessione dell’annuncio, il fideistico vassallaggio alla ipotetica «promessa mantenuta», al tweet trionfalistico, alla conferenza stampa trionfale prima di partire per la partita di golf per annunciare: come avevo ordinato… Ovvero niente altro che solenni e nefaste corbellerie. Ciò che spinge, forse per primo proprio lui, il presidente, a quello che gli inglesi chiamano “whishful thinking”, pensar vera la cosa sperata. Da Doha arrivano annunci di bozze approvate da entrambe le parti. Diventano subito, forse un po’ frettolosamente, svolte, passi avanti decisivi, miracoli della tecnica della diplomazia personale del presidente, per cui trattare la sospensione di una guerra non è il frutto di una faticosa, complicata attività sgradevole che sempre deve essere messa per iscritto. In fondo, tutti sperano che di uscire dall’incubo quotidiano dei massacri a Gaza, un posto dove sembra ormai dominante uno stato d’animo da repulisti, da facciamola finita.
Se la bozza allenterà lo strazio dei civili, assicurerà rifornimenti di cibo e medicine non sotto il mirino dei carri armati e dei cecchini, se gli ostaggi israeliani vivi e morti torneranno a poco a poco a casa, come è scritto nelle clausole rese note dai mediatori e che anche Hamas avrebbe accettato, sarebbe certo un risultato importante. Se… Ieri, giorno dell’annuncio, era il 4 luglio, la grande festa americana, la Casa Bianca già esultava per aver completato la complicata operazione bilancio. Si prevedeva che l’annuncio sarebbe scattato lunedì con l’arrivo del «ricercato» Nethanyau a Washington. Meglio evitare la diretta con quel tipo sorridente, mellifluo come un cobra. Come non sospettare dunque la tentazione di aggiungere alla festa anche la dimostrazione che Trump è davvero l’uomo della pace: dopo il Congo, trofeo molto periferico, tacciono le armi in Palestina, un posto infernale dove da settanta anni passano il tempo a massacrarsi e assaporano l’odio minuto per minuto, quasi ardente!
La tregua a Gaza, se reggerà, sarebbe la prima e finora unica dimostrazione della efficacia della «diplomazia trumpiana»: libretto degli assegni e minacce, contatti confidenziali con uomini con cui «fare affari» evitando fino all’ultimo qualsiasi tipo di testimonianza ufficiale. Infatti i suoi agenti sono uomini dei servizi segreti, o affaristi che appartengono alla sua cerchia di ruffiani che lo considerano un genio americano. Ora diranno: vedete, prima le bombe sugli ayatollah grandi padrini di Hamas, poi i negoziati; alla fine anche Netanyahu e quello che resta degli emiri di Hamas hanno accettato di deporre le armi.
La speranza è che anche in questo caso, sfumata la offensiva di post e tweet, tutto non torni al nulla che è il vero elemento costitutivo del metodo di Trump. La possibilità che la bozza una gabbia di «capoversi», «articoli» e «disposizioni», diventi nei sessanta giorni un autentico cessate il fuoco sono affidate in realtà agli interessi e alle necessità che le due parti, Israele e Hamas, avranno nel rispettarla. Saranno due mesi che serviranno infatti a un denso intrigo di due giochi a ingannarsi. Mentre si scaverà tra le macerie materiali e morali del dopo 7 ottobre, si conteranno i cadaveri, si misurerà la temperatura dell’odio. Hamas ha bisogno di tempo per riorganizzarsi dopo i duri colpi che ha subito. Ma ha dimostrato di esser capace di sopravvivere che è la smentita più evidente della promessa di Netanyahu di un vittoria completa e definitiva. Gli ostaggi, la cui liberazione è diluita nei sessanta giorni, sono una garanzia che sarà mantenuta fino all’ultimo questo orribile strumento di ricatto, i tunnel sono sempre lì e la definizione di linee di separazione dell’esercito israeliano offriranno buoni prospettive di riorganizzazione; la distribuzione massiccia degli aiuti che torna alla Mezzaluna rossa e alle agenzie Onu riapre possibilità di utilizzarla come strumento di controllo della popolazione, la guerra totale condotta da Tsahal offrirà forse nuove reclute, chissà, succede così nelle jihad. Forse l’Iran non è più un padrino efficiente, ma c’è il Qatar che veglia sul movimento di cui è diventato il garante, l’efficace strumento di assicurazione che Hamas sopravviverà anche nella Palestina di domani.
Per Israele è un modo di evitare che l’isolamento diventi ancor più totale, un debito da pagare con l’indispensabile amico Trump, un tempo necessario per dare respiro ai riservisti esausti di una guerra sporca e riempire di nuovo l’arsenale. Ad annunciare che la tregua porterà sotto la sua abile regia alla pace forse non crede nemmeno Trump. Ma da illusionista qual è ha bisogno di incantare il pubblico solo fino a quando non cala il sipario. Domani inventerà qualche nuovo trucco per riempire i palchi del teatro di creduloni pigiati e riverenti.
l importante è che per il momento la distribuzione di cibo sua stata affidata alla mezzaluna rossa e all ONU, sperem .per il resto non credo a nemmeno una riga
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Eli, anche questa mattina ,nonostante hamass abbia accettato( il migliore alleato del nazi) figurano in tv nostrana uomini di Hamas… intorno a vetture di palestinesi… debbono sempre far vedere,monostante l’eccidio di bambini , donne e civili, che i cattivoni sono coperti sino agli occhi per no farsi riconoscere.
Questi messaggi video servono per far capire ai deboli di cervello che il nazista …. ha ragione.
Con simile informazioni vuoi che l’italiano non abbocchi?
Che vergogna e poi dicono che siamo in democrazia!Ma quale? Siamo in una dittatura strisciante,tanto strisciante che neppure mozzarella scaduta se ne accorge…figurati coloro che stanno a casa disertando le urne(per dare un segnale forte).
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