
(di Marcello Veneziani) – Per uscire dalla riduzione della politica al gioco della Boccia per far cadere a uno a uno i birilli di governo, che dura ormai da troppi giorni, provo ad alzare decisamente il tiro e a porre una questione culturale che ha un’enorme ricaduta pratica, politica e civile. Da tempo diciamo che la politica non si divide più tra destra e sinistra ma tra alto e basso. Da una parte ci sono le élites e dall’altra i popoli. Vista in superficie la tesi è fondata, anzi scontata e la sosteniamo convinti da tempo; spiega il conflitto tra populismi sovrani da una parte e potentati, caste, minoranze egemoni, classi dominanti, salotti chic e snob dall’altra. Però ogni tanto proviamo a metterla su strada e a verificare fino a che punto è vera, in che senso e quali effetti produce.
Per cominciare, il popolo non è solo quello che tifa per Trump e in Italia per la Meloni. Popolo è anche la marea di follower che segue Taylor Swift, varie post star e molti influencer. Pensate pure alla crescita esponenziale di follower della suddetta pompeiana; un’affollata bocciofila. Il peggio ha una capacità attrattiva e seduttiva assai forte sulle masse. La moda è un fenomeno di massa, i linguaggi banali e triviali sono fenomeni di massa, i tatuati sono masse, e potrei continuare. Tra volgo e volgarità c’è una stretta parentela, mentre non c’è nessun automatismo tra vox populi e vox dei. Possiamo certo dire che qualcuno manipola i gusti, eccita i desideri e veicola le masse; ma il presupposto sottinteso è che le masse siano facilmente manipolabili e suggestionabili perché superficiali, umorali, ignoranti, non dotate di intelligenza critica e di solidi contrappesi. Non spiegheremmo, del resto, il dominio del trash e del kitsch, l’analfabetismo di ritorno, l’allergia di massa alla cultura, al pensiero e alla bellezza, la refrattarietà alle vette e alla qualità. La massa è un popolo senza identità.
Su molti temi cruciali della nostra epoca non funziona la rappresentazione divaricata tra maggioranze e minoranze; ci sono spaccature verticali tra due mondi e popoli diversi, non tra alto e basso.
Ma qui entriamo nell’altro versante della questione, più delicato: le minoranze. Da una vita mi sforzo di correggere coloro che disprezzano le élites contrapponendovi il popolo: distinguiamo, dico, tra le élites che sono aristocrazie, i migliori, gli optimates di classica memoria, e le oligarchie, che sono le caste privilegiate che comandano e fanno i loro interessi sulla pelle dei popoli. La differenza tra élites e oligarchie è la stessa che corre tra classi dirigenti e classi dominanti: le prime si assumono la responsabilità di guidare una società, le seconde si arrogano il privilegio di sovrastarle.
Le élites ci sono sempre state nel mondo e sono necessarie, trainanti: in ogni campo c’è una minoranza eletta, un’aristocrazia fondata sulla qualità, l’eccellenza, il merito e il valore. Nessuna società, nessuno stato, nessuna politica può fare a meno delle élites. Se lo fa, va verso la sua decadenza. È necessario che ci siano guide, classi dirigenti, gerarchie piramidali, che prevedono non solo il vertice e la base, cioè il leader e il popolo, ma anche i gradi intermedi, le élites.
Questa mancata considerazione della qualità, delle aristocrazie necessarie, dei migliori ha una forte ricaduta sui governi e spiega la scarsa qualità delle classi dirigenti, non sottoposte a una selezione, ma solo a un meccanismo elementare di fedele sottomissione al leader o ai suoi delegati e al più di consenso elettorale. Per un buon governo, il consenso popolare conta quanto la qualità – che comprende l’eccellenza, la competenza, i meriti, le virtù – e la tradizione, ossia l’esperienza storica e il sentire comune tramandato nel tempo tra le generazioni. Non basta la partecipazione popolare per fare un buon governo, occorre anche la qualità delle decisioni e dei decisori.
Questa distinzione di partenza ha precise implicazioni e dirette applicazioni. Prendiamo per esempio il rapporto tra le masse e i media, l’informazione, la cultura. Molta gente rifiuta l’informazione manipolata di regime e non legge più giornali, non segue più telegiornali, diffida dei libri, diserta il cinema, il teatro, l’arte, la letteratura; si affida al più ai social alternativi. Sacrosanta la denuncia, sbagliata la risposta. Se i media falsificano la realtà non è un buon motivo per chiudersi in un rifiuto globale apriori. Spesso è un alibi per la propria insofferenza alla lettura e per la propria incapacità di riflessione e senso critico; un alibi alla propria ignoranza. Se è vero che il mondo dei media è dominato da disinformazione e manipolazione, si possono sempre cercare fonti alternative, giornali differenti, almeno in parte, media meno inquinati. In ogni caso è meglio informarsi e magari poi criticare la stessa fonte, piuttosto che non leggere e pascere in una barbarie rancorosa di ritorno. Il fatto che ci sia un dominio ideologico woke a senso unico, tra politically correct e cancel culture, lo scriviamo pure noi, ogni giorno. Ma la risposta non è tornare alle caverne, rifiutarsi di leggere, andare a cinema o a teatro; ma selezionare, distinguere, guardare con occhi critico, cercare altre fonti, comparare, trovare alternative.
Insomma bisogna liberarsi dalla zavorra rancorosa che accompagna il populismo; e saper distinguere tra élites ed élites. E bisogna ricordarsi che la critica al progressismo, al materialismo, alla demagogia umanitaria, al comunismo e ai suoi derivati è nata col pensiero aristocratico, con la sociologia delle élites e la teoria della circolazione delle élites, con l’opposizione tra il regno della qualità e il regno della quantità. Ci vuole cultura per criticare la cultura dominante. O quantomeno attenzione alla cultura, voglia di sapere e di capire. Altrimenti rischiamo di scivolare dal popolo alla plebe, dalla civiltà contadina alla rozza cafoneria, dalle comunità native o elettive alla massa informe e ignorante, fino alla negazione della qualità, della capacità, dell’eccellenza e del bello, senza nemmeno rendercene conto.
Insomma andiamoci piano con l’opposizione tra alto e basso, distinguiamo bene cosa vogliamo dire contrapponendo popolo ed élite. Altrimenti non riusciamo poi a spiegarci perché ci troviamo sballottati in un referendum permanente tra arroganti e ignoranti, incapaci entrambi di farsi classe dirigente.
La Verità
“Se è vero che il mondo dei media è dominato da disinformazione e manipolazione..”
A me pare che la tua sia una arrendevole presa d’atto, tipo: purtroppo la situazione è questa, adattiamoci.
C’e un regime (di fatto) ma consoliamoci coi bei giornali che un tempo venivano stampati e definiti clandestini.
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Questa volta dissento, almeno in parte.
A me sembra invece che abbia fornito alcuni esempi obiettivi e condivisibili quale, per es. “saper distinguere tra élites ed élites”.
Perché le elites non si sono occupate solo di denaro e potere, ma di creare un mondo e una logica basata su degli assiomi ed enunciati imposti e condivisi dal popolo, soprattutto quello “colto”. Per cui, “senza ricerca” diventa pressoché impossibile distinguere quella falsa dalla vera, quella buona da quella cattiva, se non conosci la loro cultura, riferimenti, linguaggio, valori, logica, codici interpretativi e quant’altro.
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“…Altrimenti non riusciamo poi a spiegarci perché ci troviamo sballottati in un referendum permanente tra arroganti e ignoranti, incapaci entrambi di farsi classe dirigente”
Parafrasando L-F Cèline “L’ignoranza è come l’alcool, più sei sciocco e ignorante e più ti credi intelligente e colto, e sicuro di quello che dici”
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Io sono rimasto alla risposta data dal genitore ( di illustre e antica famiglia) di Massimo d’Azeglio alla domanda : ” padre, siamo noi nobili ? ” ” Sarai nobile se sarai virtuoso”. L’articolo, invece, mi sembra l’abituale, mesta tiritera di Veneziani.
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