
(di Marcello Veneziani) – Palmiro Togliatti non aveva carisma e appeal popolare, ma è stato il comunista italiano più lucido e lungimirante (altro che Berlinguer). I suoi armadi erano davvero pieni di scheletri: nella guerra di Spagna, nell’Urss -dove furono uccisi centinaia di italiani antifascisti rifugiati durante il fascismo – sul caso Gramsci, e poi in Italia e nelle foibe… Verrebbe voglia di rammentare che Gentile dopo aver invocato la concordia nazionale fu ucciso e il mandante politico e morale, se non effettivo, fu proprio Togliatti che rivendicò l’assassinio del filosofo. Verrebbe voglia di aggiungere che Togliatti uccise una seconda volta Gentile quando nel 1950 curò la traduzione del Marx di Lenin e cancellò il riferimento positivo di Lenin a Gentile. In compenso non mancano in tutta Italia memorie stradali a Togliatti.
Nel dopoguerra fu un ministro della giustizia accorto, ebbe come suo capo di gabinetto e stretto collaboratore quel Gaetano Azzariti, che era stato presidente del nefasto tribunale della razza e poi suo predecessore al ministero della Giustizia. Togliatti dispose l’amnistia ai fascisti e fu pronto a ogni compromesso, con la Chiesa, il capitale, la monarchia, con gli ex fascisti (il caso Milazzo in Sicilia è il più vistoso). Resta tra i tanti un altro mistero: dal fascismo Togliatti contribuì a importare norme ritenute reazionarie come il Concordato e il Codice Rocco, e per molti versi le riforme di Gentile e di Bottai ma affossò l’unico abbozzo di socialismo e di rivoluzione per superare il capitalismo: la socializzazione delle fabbriche, la partecipazione dei lavoratori agli utili e alla gestione delle aziende. Gli alibi per cancellarla furono due: era stata prodotta dal fascismo di Salò e si fondava sulla collaborazione e non sulla lotta di classe. Contro la socializzazione si era creato nel ’44 uno strano fronte: capitalisti (ed è comprensibile), comunisti e nazisti. Vedi il caso della Fiat a Torino. Togliatti lasciò cadere l’unica traccia di socialismo da cui poteva partire la rivoluzione sociale. Un’eco blanda è nell’articolo 46 della Costituzione voluto peraltro più dai cattolici e dai laici. Togliatti restò sempre dentro la linea staliniana e gli accordi di Yalta che non prevedevano la rivoluzione comunista in Italia; ed è per questo che placò i bollori rivoluzionari ed eversivi, non certo per rispetto verso la democrazia liberale e ripudio della violenza. Era il patto mondiale tra sovietici e americani sancito a Yalta con la spartizione.
E proprio a Yalta Togliatti morì come oggi, 60 anni fa.
Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer, che c’entra il primo con gli altri tre
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Veneziani quando vuole fa dei begli articoli.
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Invocare la concordia nazionale da Salò?
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ma che caxxo scrive il fascismo aveva fatto il socialismo e Togliatti lo aveva abolito? Ma questo si fa di brutto
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Marcello Biscegliesi, propagandato come intellettuale solo perché non si sforza troppo nell’usare l’italiano, dice che Togliatti non era carismatico, dimenticando l’appello pacificatore di Palmiro ai suoi dopo l’attentato del 1948, episodio che per poco non riaprì una guerra civile appena conclusa. Oltre alle altre palesi corbellerie contenute nello scritto del Biscegliesi – visto che ricorre il centenario dell’assassinio di Matteotti – forse è opportuno rileggere le parole di Gentile, il filosofo gentile e illuminato, sul caso:”(…) In base ai suddetti principi l’aggressione era diretta soltanto a sollecitare interiormente l’On. Matteotti e persuaderlo a consentire, cioè a farla finita con la sua campagna contro il Governo nazionale. La forza usata da Amerigo Dumini e compagni si rivolgeva, dunque, alla volontà dell’On. Matteotti ed era perciò forza morale in nulla dissimile da quella che si esercita facendo una predica. Se Amerigo Dumini e compagni invece di ricorrere a una predica ricorsero al coltello ciò si deve alla nota ostinazione del predetto onorevole che faceva prevedere vana ogni parola diretta a persuaderlo perché mutasse contegno.
Nel caso concreto non la predica ma il manganello era l’argomento adatto.
Si obietterà, che non il manganello, ma il pugnale fu adoperato. È facile rispondere che dal punto di vista filosofico non si può distinguere tra oggetti materiali: distinguere tra manganello e pugnale sarebbe filosoficamente tanto erroneo quanto distinguere tra pugnale di una forma e pugnale di altra forma.
Si aggiunga che dato lo spazio dell’automobile, il maneggio del manganello era incomodo. Usando il pugnale Amerigo Dumini e compagni usavano dunque un argomento filosoficamente lecito di polemica.
Se il Governo nazionale incarna oggi lo Stato italiano, se lo Stato è moralità, moralissima fu la violenza diretta a togliere di mezzo chi ponendosi contro il Governo Nazionale si poneva contro lo Stato, e quindi contro la moralità…
Se l’On. Matteotti non voleva morire, non aveva che a consentire, cioè a cedere. Consentire non volle. Morì. Sua colpa è suo danno.
Al lume della mia filosofia l’innocenza di Amerigo Dumini e compagni luminosamente rifulge.
(dal settimanale fascista senese Rinascita del 17 settembre 1944, che riporta stralci della lettera indirizzata nel 1925 dal filosofo Giovanni Gentile alla Sezione di accusa di Roma in riferimento all’uccisione di Giacomo Matteotti)
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Per il Gen Massimo De Grado. A Giovanni Gentile si può imputare l’adesione al Fascismo e tanto altro. Ma è riconosciuto trasversalmente filosofo di spessore. Lo stralcio di questa lettera ( è un falso) fu riportato da l’Unità nel 2004. Il giorno dopo dovette, su sollecitazione credo dell’Istituto Gentile, fare questa smentita
“Ieri l’Unità ha pubblicato in prima pagina un testo a firma di Giovanni Gentile datato 1925 e
riferito al delitto Matteotti. Nel quale il filosofo giustificava «filosoficamente» il «pugnale»
al quale ricorsero Amerigo Dumini e i sicari che uccisero il deputato socialista, dopo averlo
rapito il 10 giugno 1924. Con l’argomento che tra «predica, pugnale e managanello» non v’era
differenza sostanziale da un punto di vista teoretico, visto che tutti e tre quegli «argomenti»
sarebbero stati «forza morale» volta alla perusuasione di un individuo «ostinato», che non si
rassegnava alla forza etica del «governo nazionale» di allora. Ebbene quel testo, con il ragionamento
annesso, sono falsi. Apocrifi. Sono nient’altro che una parodia delle idee di Giovanni
Gentile, ideata nel 1925 dal letterato Adriano Tilgher, e pubblicata in un pamphlet satirico
dello stesso autore, intitolato «brunianamente» Lo spaccio del bestione trionfante per i tipi
dell’editrice Gobetti (Torino). In particolare essa compare nel capitolo «Castagnole sotto la
coda del bestione», a pag. 85 e seguenti. Tilgher immagina che il Tribunale Penale di Roma, che
stava giudicando gli assassini di Matteotti, chieda al Gentile una «perizia filosofica». Alla quale
egli risponde nei termini «filosofici» riassunti sopra, e riportati quasi per intero nel testo
pubblicato da l’Unità. L’infortunio in cui siamo incorsi nasce da una segnalazione dell’Istituto
storico della Resistenza di Siena, che aveva tratto la finta «perizia» da una pubblicazione senese
del 1944: Rinascita, giornale bisettimanale fascista. Che a sua volta l’aveva tratta dal settimanale
di politica, letteratura ed arte Domenica, sempre di quel periodo. Insomma una beffa ben
congegnata, quella di Adriano Tilgher sponsorizata da Piero Gobetti. Una satira che conduceva
al grottesco le idee di Gentile. Prendendone a bersaglio il tratto autoritario, politicamente
collimante in quel momento con l’autoritarismo fascista, nel quale il Gentile, teorico dello
stato etico, ravvisava l’inveramento della volontà nazionale e dell’anima patriotica delle istituzioni.
Contro le fazioni e i conflitti dell’Italia liberale morente. Una beffa talmente ben pensata
da trarre in inganno anche i fascisti della Rinascita senese del 1944, da cui il testo apocrifo è
infine giunto a noi. Ora è ben vero che Gentile si dimise all’epoca del delitto Matteotti da
Ministro della Pubblica Istruzione, per alleggerire il regime nascente da un’adesione personale
e politica così fortemente caretterizzata e impegnativa ideologicamente. Ma è altresì vero che
nel 1924, proprio Giovanni Gentile aveva scritto quanto segue, nel suo famoso Il fascismo al
governo della scuola (Palermo, 1924): «Ogni forza è forza morale, perché si rivolge sempre alla
volontà, e qualunque sia l’argomento adoperato – dalla predica al manganello – la sua efficacia
non può essere altra che quella che sollecita interiormente l’uomo e lo persuade a consentire».
E aggiungeva, a proposito della natura degli «argomenti» in politica: «Quale debba essere poi la
natura di questo argomentare – se la predica o il manganello – non è materia di discussione
arbitraria» (pagg. 316 e sgg). Dunque per Gentile era la forza che sollecitava «interiormente» il
consenso, e ogni distinzione tra arbitrio e forza era perciò astratta, se messa in relazione ai fini
della «volontà etica». Sicché, nessuna giustificazione del delitto Matteotti da parte di Giovanni
Gentile. Ma l’apologia del manganello vi fu, da parte sua. E fu questo tipo di «argomentare» –
nell’anno stesso del delitto Matteotti e dell’illegalismo fascista da lui denunciato – che indusse
Tilgher alla parodia. E alla beffa firmata, scambiata per vera. Ci complimentiamo in ritardo
con il suo inventore del 1925. E ce ne scusiamo vivamente con i lettori. b.gr.”
Mi sembra opportuno che venga sottolineato. Oltretutto con tutti i distinguo che si possono fare sul contributo cultural/filosofico di Gentile mi sembrava evidente la parodia, non è lo stile del Filosofo.
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