(di Massimo Gramellini – corriere.it) – Questa ci mancava: un predicatore islamico che approfitta dell’università occupata da una frangia di studenti filopalestinesi per improvvisare una piccola moschea in corridoio e tenere un violento sermone politico travestito da preghiera. 

È successo a Torino, venerdì scorso, ma le immagini sono spuntate ieri e soltanto le immagini hanno ancora il potere di risvegliare le coscienze (per un nanosecondo, poi si torna a chattare). In Italia moltissime università ospitano una cappella. Se qualche studente desiderasse aggiungervi una moschea o una sinagoga, non avrei nulla da obiettare: la libertà di culto è principio fondante della democrazia, per quanto da laico preferirei che i templi della conoscenza rimanessero consacrati soltanto a essa. 

Ma non è accettabile che, all’interno di un’istituzione pubblica, qualunque passante possa stendere delle stuoie dove gli garba per trasformarla in luogo di culto, senza chiedere il permesso ai responsabili di quell’istituzione. A maggior ragione se la preghiera abusiva diventa il pretesto per un comizietto incendiario contro degli avversari politici, in questo caso «i sionisti».

In un mondo adulto, quindi non governato dalle regole del fanatismo, gli stessi occupanti avrebbero dovuto scandalizzarsi per una simile appropriazione indebita. E molto probabilmente lo avrebbero fatto, se al posto dell’improvvisato imam Brahim Baya ci fossero stati un rabbino o un prete inneggiante alle Crociate.