L’aumento del tasso d’occupazione e i sussidi del governo non bastano. L’intervista alla sociologa Chiara Saraceno

(di Rosa Nasti – affaritaliani.it) – Cala il rischio di povertà, ma quella estrema non concede tregua, e aumenta. Un’antitesi, o forse un paradosso. Guardiamo ai numeri: se da un lato il 2023 ha visto un lieve calo nel numero di italiani a rischio povertà o esclusione totale (22,8% nel 2023 contro i 24,4% del 2022), dall’altro c’è stato un deciso aumento di quelli che vivono in condizioni di “grave deprivazione materiale e sociale” (4,7% rispetto al 4,5% dell’anno precedente). Sono oltre 14 milioni, più di un quarto della popolazione italiana, a lottare per andare avanti. Dati alla mano, inevitabile chiedersi se i sussidi e gli strumenti messi in campo dal governo Meloni stiano effettivamente aiutando la maggioranza degli italiani. Per chiarire questo punto, Affaritaliani.it ha intervistato la sociologa esperta di welfare, filosofa e docente all’università di Torino, Chiara Saraceno.
Professoressa, diminuiscono le persone a rischio povertà in base al reddito, ma aumentano quelle che stanno peggio. Come si spiega questo fenomeno?
In primis è fondamentale chiarire un punto. Quando si parla di rischio di povertà ci riferiamo alla povertà relativa, differente da quella assoluta, che invece indica la possibilità di consumare un certo paniere di beni. Proprio in riferimento alla povertà assoluta, gli ultimi dati (quelli risalenti al 2022) non sono così ottimistici, e anche l’anticipazione Istat sui dati 2023 segnalava un andamento stabile rispetto al 2022. Quindi non c’è nessun miglioramento.
Chi prima era al di sotto della soglia della povertà relativa, ora è un po’ più al di sopra, però chi era veramente povero, continua ad esserlo. Questo vuol dire che i miglioramenti che ci sono stati nel lavoro, non riescono a mordere. E tra i poveri assoluti dobbiamo contare anche le famiglie di lavoratori con salari bassi colpiti dall’inflazione. Tutto questo sta ad indicare che non bastano i miglioramenti o l’aumento dell’occupazione per aggredire la povertà laddove è più grave.
Eppure, secondo i dati del rapporto, il miglioramento del rischio di povertà è stato fortemente trainato dall’aumento dell’occupazione e dall’introduzione dell’assegno unico universale. Quindi la cosiddetta “cura Meloni” non sta avendo i suoi frutti?
L’assegno unico era stato introdotto ancor prima dell’attuale governo, e poi l’occupazione è aumentata in tutti i Paesi europei, è un fatto complessivo, che non riguarda solo l’Italia. Sono semplicemente segnali di ripresa dalla pandemia. La differenza, magari, è che nel nostro Paese si è registrato un aumento anche dell’occupazione a tempo indeterminato, e non solo di quella precaria. Il punto è che i più poveri stanno in quella precaria, e in tempo involontario.
Quindi?
Quindi il mercato del lavoro non riesce da solo a risolvere i problemi della povertà.
E i bonus e sussidi messi in atto dal governo non riescono a “tamponare” questa situazione?
Aiutano, ma non sufficientemente, e quei pochi bonus messi a disposizione sono anche temporanei. Per certi versi la cura Meloni ha addirittura ridotto i sostegni. Per esempio, anche se è vero che la sostituzione del reddito di cittadinanza protegge le famiglie con figli, con i minorenni che hanno diritto all’Adi (assegno d’inclusione), tra il funzionamento della scala d’equivalenza e il fatto che gli adulti sono esclusi dal conteggio, anche quelle famiglie con figli minorenni che prima ricevevano il reddito di cittadinanza ora non lo ricevono più.
E del bonus “befana” o bonus 100 euro, cosa ne pensa?
Un altro bonus limitato che arriverà solo nel gennaio 2025 con un assegno di 77 euro, calcolato in base ai mesi di lavoro. Quindi, chi ha lavorato di meno riceverà meno. E c’è di più: questo bonus è solo per chi guadagna meno di 28.000 euro all’anno. Insomma una presa in giro per i più poveri.
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Chiara Saraceno ha fatto un errore.
“Quando si parla di rischio di povertà ci riferiamo alla povertà relativa,“
Sbagliato il rischio povertà o Vulnerabilità alla povertà misura la probabilità che un domani, non oggi, determinati soggetti possano diventare poveri.
La povertà relativa è uno standard adottato dalla UE secondo il quale è considerato “povero relativo” colui il quale ha un reddito ( per i volenterosi, reddito familiare equivalente che tiene cioè conto della composizione familiare) che è inferiore al 60% del reddito mediano ( da non confondere col reddito medio) nella nazione di residenza.
Detto questo, Saraceno fa un’osservazione che trovo condivisibile.
Fermo restando che un aumento dell’occupazione è preferibile ad una sua diminuzione, rimane valido, oggi più che mai, il fatto che la misura dell’occupazione è una misura quantitativa e non qualitativa.
Cosa intendo per qualitativa?
Gli occupati in più sono con contratti a termine, part time, indeterminato?
Qual è lo stipendio medio; questi nuovi occupati riescono a vivere decorosamente o sopravvivono?
PS ( sempre per chi conosce l’argomento) L’ISTAT adotta anche il criterio dell’INTERNATIONAL STANDARD OF POVERTY; secondo tale criterio è considerato povero relativo chi ha un reddito pro capite inferiore al 50% del reddito medio ( non mediano, questa volta) nazionale.
Giusto per chiarezza faccio un esempio, molto semplice, per spiegare la differenza tra media e mediana.
Ci sono 5 individui
Il primo ha un reddito di 1€
Il secondo ha un reddito di 2€
Il terzo ha un reddito di 3€
Il quarto ha un reddito di 4€
Il quinto ha un reddito di 10€
Il reddito mediano è il reddito di colui che sta in mezzo al nostro campione cioè colui che ha un reddito di 3€, nell’esempio fatto.
Il reddito medio è invece dato dalla somma dei redditi diviso il numero di persone
La somma dei redditi è 1+2+3+4+10 = 20€
Il numero di persone è 5
Quindi il reddito medio è dato da 20/5= 4€
Chiara Saraceno fa poi un secondo errore/omissione: dovrebbe declinare all’italiana il reddito ovvero i dati relativi alla povertà; cosa vuol dire?
Il gioielliere, il taxista, il balneare sono poveri relativi, assoluti o a rischio povertà esclusione sociale?
Quanto pesa l’evasione fiscale, il sommerso nel suo complesso, sulla determinazione di tali redditi?
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