(di Marcello Veneziani) – Per la vulgata dominante l’intellettuale di destra è come il mostro di Lockness: non esiste ma genera timore, curiosità e ripugnanza. Ora che la destra è alla guida del governo, lo posso dire senza timore di passare per opportunista o per voltagabbana: finitela con l’etichetta di intellettuale di destra. Quella definizione, doppiamente grottesca, non ha alcun senso, oggi più di ieri, e comprime in una collocazione rigida e ottusa un percorso di pensiero, di opere, di vita e di cultura, attraversamenti e aperture. Per quel che mi riguarda, le idee non sono affatto cambiate, salvo aggiornamenti e maturazioni dovuti all’esperienza e al confronto con la realtà; nel corso degli anni non ho compiuto passaggi di campo, fughe o furbi travestimenti. Ma non ha senso usare questi elmetti e questi gonfaloni, che non hanno alcun serio riferimento alla realtà presente. 

Non disdegnai quel marchio quando era un atto di coraggio dichiararsi di destra o lasciarsi definire così da altri; ma ora no, e non perché ora sia un vantaggio, ma è irrilevante, insensato, fuori corso: vale una lira nell’era dell’euro. Si resta di destra come si resta della squadra del cuore dell’infanzia, un modo di dire e di professarsi per vaga civetteria…

Ci voleva la destra al governo per concludere il percorso e certificare l’assoluta insignificanza di quelle categorie nel presente. Mezzo secolo di idee, battaglie e travagli buttato via. Il mimetismo, l’omologazione, i complessi d’inferiorità, la cosmesi, l’a-mici-mici-zia prevalgono su tutto e azzerano tutto. E per i militanti basta una patina di Tolkien per coprire un pauroso vuoto di cultura politica, storica, di pensiero critico…

Per una vita ho scritto saggi, articoli, diretto e fondato settimanali definiti di destra e animato convegni e incontri; ho affrontato i temi controversi del presente, la critica dell’oggi, il senso della tradizione, l’amor patrio e l’amor di civiltà, la visione spirituale della vita, i legami comunitari, la memoria storica. Idee nelle quali ancora mi riconosco, pur senza mai perdere il senso critico e un certo disincanto. Non è mai stata posa, civetteria, partito preso, ma reale convinzione, espressa senza sconti e senza convenienza. 

Per una vita sono stato non allineato, sarebbe grottesco finire da governativo; da ragazzo, da giovane e da adulto fui all’opposizione in un paese culturalmente egemonizzato dalla sinistra in un modello di marca liberal-capitalista. Un’anomalia, un ossimoro, una mosca bianca o una pecora nera, come rarissimi altri; ma ora basta. Non ha più senso evocare la destra adesso: è un’altra storia. Non tiratemi in ballo nelle mappe dell’occupazione del potere e nel cerimoniere delle corti. Non c’entro, non voglio entrarci; non ho rapporti di alcun tipo con la politica e i suoi leader, voglio tenermi libero di consentire, dissentire e giudicare. Sono totalmente disinteressato a quei tipi, governativi o filogovernativi, che vengono ancora definiti di destra o in modi affini. Non è una notazione polemica verso nessuno; ma non ha senso usare la segnaletica stradale nel deserto, dove tutto il paesaggio è uguale, una duna vale l’altra, non c’è un albero, un’idea, una sorgente, una comunità. E ho troppo rispetto per le idee, e per quel che costarono in passato, per usarle ora come una pelliccia retorica, una copertura in finta pelle, un titolo di credito, tanto per simularne l’esistenza e magari fare cassa con un brand. 

Prima di morire, Domenico De Masi, sociologo di sinistra radicale e da ultimo ispiratore del Movimento Cinque Stelle, ma intelligenza libera, senza paraocchi, ebbe l’idea di mettere a confronto in sette incontri pubblici altrettanti “intellettuali” di destra e di sinistra, su tre temi conservatori, tre temi progressisti e uno sulle due categorie. Ebbe quest’idea nel corso di un dibattito che feci con lui, e mise a fuoco questo progetto in una cena a casa mia. Lo aiutai a indicare i nominativi “di destra” ma professai il mio scetticismo sull’iniziativa. Lui aveva 85 anni, ma era ancora ottimista e fiducioso, felicemente immaturo come un ragazzo. Pensavo che fosse uno di quei giochini di una sera a cena, tanto per chiacchierare. Un mese dopo De Masi aveva organizzato tutto quel che aveva detto, e nei due mesi successivi ci furono quei sette incontri romani, affollatissimi, assai partecipati. Mentre destra e sinistra sul piano intellettuale non si parlavano più da anni, anzi nessuno si parla più con nessuno – a livello culturale ci sono solo monadi, scie e specchietti per la vanità- De Masi riuscì nell’impresa; e a me toccò, in isconto del mio scetticismo, aprire e poi chiudere con lui questo ciclo di dialoghi. Poco dopo è uscito il libro che raccoglie questi dialoghi, Destra e sinistra (ed. Paperfirst); il tempo di licenziare le bozze e all’improvviso se ne andò per sempre Mimmo De Masi. Ma i nomi della contesa oggi non sono più Nietzsche e Marx, per citare una canzone di Antonello Venditti, ma Zaki e Insegno. Cominciai i confronti tra destra e sinistra da ragazzo; agli inizi degli anni ottanta risalgono i primi dialoghi con Cacciari e con altri. Confronti sul piano intellettuale, infruttuosi sul terreno politico e civile. Non si fa un mezzo passo avanti nella civiltà del dialogo. 

Da anni non scrivo più libri che abbiano un significato politico “di destra” o un’attinenza con quella roba; e tra i miei libri passati mi pento e mi dolgo di aver scritto più di vent’anni fa, su espressa richiesta dell’editore (di sinistra) Laterza, un pamphlet sulla cultura della destra che campeggiò per molto tempo in classifica, con una quindicina di ristampe e una certa influenza. Meglio occuparsi di Plotino e di Seneca, di Dante e di Vico; o di pensiero, letteratura, pensatori del passato, critica del presente e scenari futuri. 

La politica, a malapena, lasciamola all’informazione e alla chiacchiera; occupandocene solo per il minimo sindacale… L’Ucraina e la Russia, la Palestina e Israele, la pandemia e i vaccini, l’Ue e la Nato, la grande finanza, la mutazione sociale e la realtà quotidiana hanno sepolto le ultime vestigia di quei sepolcri ideologici ormai impotenti. Basta con l’intellettuale di destra, due diffamazioni in una sola definizione.

(La Verità)