“In un certo senso la dieta mediterranea non è mai esistita.” Tre celebri professori smontano la retorica sulla nostra tradizione alimentare: “mitologia” L’antropologo Vito Teti e lo storico John Dickie assieme ad Alberto Grandi nel celebre podcast DOI – Denominazione di Origine Inventata

(apetimemagazine.com) – Vito Teti: “Per gli abitanti del sud Italia, ancora all’inizio degli anni Cinquanta, l’olio d’oliva era una rarità, il condimento era il grasso di maiale. Del grano non parliamone, si usava concedere il pane bianco a chi era sul letto di morte” Alberto Grandi: “Nell’Italia meridionale non esistevano le malattie cardiovascolari diffuse nella società statunitense perché, molto banalmente, la nostra gente mangiava poco, era denutrita”
John Dickie: “Nel 1975 Ancel Keys nella prefazione del suo libro ‘La dieta mediterranea’ dice chiaramente che questa non rispecchia la realtà, ma è un ideale. Questa formula però cominciò ad avere successo e cambiò l’idea degli italiani sulla loro cucina…”
“Olio, grano, vino: i prodotti cosiddetti tipici della dieta mediterranea erano pochissimo o per nulla consumati dai ceti popolari, e non solo da loro. Per gli abitanti del sud Italia, della Campania, della Calabria e di altre aree del Mediterraneo, ancora all’inizio degli anni Cinquanta l’olio d’oliva era una rarità e il condimento era il grasso di maiale.
Anche il vino era molto raro e di pessima qualità. Del grano non parliamone, perché addirittura era in essere l’usanza di concedere il pane bianco a chi era sul letto di morte”.
A parlare è Vito Teti, uno dei più grandi antropologi del nostro Paese, autore di testi fondamentali di storia dell’alimentazione, ospite del podcast “DOI – Denominazione di Origine Inventata” nella puntata disponibile da giovedì 19 ottobre su tutte le principali piattaforme di streaming audio.
Il professore – a lungo ordinario di Antropologia culturale all’Università della Calabria, fondatore e direttore del Centro “Antropologie e Letterature del Mediterraneo” – definisce “invenzione” tutto il riferimento alla tradizione e alla tipicità di cui noi italiani ci facciamo vanto.
“I ceti popolari aspiravano a questo tipo di alimentazione da cui erano esclusi, e soltanto negli anni Sessanta, dopo il boom economico, cominciò questo accesso al grano, all’olio e al vino. Poi le cose andarono migliorando sempre più”.
Con un paradosso però, come spiega Teti, perché “in un certo senso la dieta mediterranea non esiste mai. Non esisteva nel passato, perché si basava su invenzioni, mitologie, ricostruzioni fatte a posteriori.
Non esiste oggi perché le persone tendono a mangiare in abbondanza, a consumare in eccesso anche i cibi che fanno male, e quindi ad ammalarsi e ad essere obesi…senza dimenticare che l’obesità di oggi è una malattia, mentre in passato, quando quei cibi non c’erano, l’obesità era segno di benessere, bellezza, vigoria fisica.”
Un’invenzione, dunque. Per di più, di un americano, che coniò anche l’espressione “dieta mediterranea”.
Spiega Alberto Grandi, professore di storia dell’alimentazione all’Università di Parma, padrone di casa con Daniele Soffiati di “DOI”, il podcast che ha raggiunto milioni di ascolti smontando la narrazione che circonda la nostra cucina: “Fu il fisiologo Ancel Keys a notare, dagli anni Cinquanta del Novecento, come le malattie cardiovascolari molto diffuse nella società nordamericana fossero quasi del tutto sconosciute in alcune aree dell’Italia meridionale, che lui aveva iniziato a frequentare insieme alla moglie Margaret.
Da qui la curiosità scientifica di comprendere se vi fosse un collegamento tra quello che si mangiava da quelle parti e il basso livello di colesterolo che si riscontrava in quelle comunità.
Il collegamento c’era, ma molto banalmente stava nel fatto che la nostra gente mangiava poco, era denutrita. Quello che Keys e il suo team di ricercatori scoprirono era il mondo della fame.
Quando arrivarono in Calabria e nelle zone interne della Sicilia dovettero fare i conti con la fame nera e con gli occhi sporgenti e lucidi di bambini denutriti. I contadini che non avevano nulla da mangiare provavano difficoltà, disagio e vergogna a vedersi osservati dai ricercatori.
Massimo Cresta, che partecipò a quelle ricerche, racconta la delusione dell’intera equipe quando comprese che la dieta mediterranea che si consumava nel Cilento 60-70 anni fa non era a base di olio d’oliva e di frumento, ma di castagne, granoturco e grasso di maiale”.
E a proposito del famoso “Museo vivente della dieta mediterranea” a Pioppi, in provincia di Salerno, Grandi lo paragona alla biblioteca di Babele di Borges, il labirinto in cui sono conservati tutti i libri del mondo: non solo quelli che sono stati scritti, ma anche quelli che si sono persi, quelli che saranno scritti e quelli che non lo saranno mai.
Insomma, la dieta mediterranea è qualcosa che avrebbe potuto esistere e che molte persone vogliono fortemente che esista…
Un ulteriore contributo alla puntata lo dà John Dickie, Professore in Studi Italiani all’University College of London, scrittore e autore di programmi tv di successo come “De Gustibus – l’epica storia degli italiani a tavola”.
“Nel 1975 – spiega lo storico – Ancel Keys ripubblica un libro di ricette uscito anni prima (‘Come mangiare bene per stare bene’) con un nuovo titolo, che si presta a catturare la fantasia del pubblico, sia anglofono che italiano. Il titolo è appunto ‘La dieta mediterranea’.
Nella prefazione del libro Keys dice chiaramente che la dieta mediterranea non rispecchia la realtà di ciò che i popoli del mediterraneo mangiavano: è un ideale. Questa formula però cominciò ad avere successo e iniziò a cambiare l’idea degli italiani sulla loro cucina…”
“DOI – Denominazione di origine inventata” è il celebre podcast di Alberto Grandi e Daniele Soffiati prodotto da OnePodcast che racconta la vera storia della cucina italiana sdoganando alcuni celebri falsi miti.
Ha fatto parlare di se anche all’estero, con la discussa intervista rilasciata da Grandi e Soffiati al Financial Times che ha aperto un dibattito anche in Italia.
In ogni puntata i due autori mostrano come la ricerca storica quasi sempre smentisca le origini arcaiche delle nostre specialità culinarie e come molte ricette a cui attribuiamo radici antichissime siano in realtà invenzioni recenti.
Disponibile sull’app OnePodcast e su tutte le principali piattaforme di streaming audio (Spotify, Apple Podcast, Amazon Music, Google Podcast).
Infatti mi chiedo come possa essere equilibrata una dieta che preveda l’assunzione di farinacei a colazione, pranzo e cena.
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Ma non ci hanno sempre detto che la dieta mediterranea è composta da carne, pesce, frutta e verdura in quantità bilanciate? 🤔
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Io a questo non lo leggo.
I Farinacei (glutei) eccessivi dalle mie parti fanno infiammare le viscere,
Vabbè poi se li compri al supermercato contengono pure proteine animali varie😂🤣😂🤣😂
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Glutei? 🤔
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“Senza glutei per celtici”
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🤣😂🤣😂🤣😂
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C’era scritto veramente su un cartello del mercato! 😆
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No, a livello “pop” la dieta mediterranea è composta in gran parte da cereali integrali. Poi, una volta, la farina integrale non si usava, mi pare, ma sono dettagli.
Nell’Italia mediterranea, nei secoli scorsi, si consumavano soprattutto verdure e legumi, pesce chi l’aveva a disposizione. La pasta era per le feste, tanto più che le scorte di grano esaurivano tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera (il periodo della Quaresima, guarda caso).
Nell’Italia continentale, dove si consumavano gran quantità di polenta di mais, il gozzo era un tratto somatico abituale – vedi la maschera di Bergamo, Gioppino, che aveva ben tre.
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Quanto alla frutta, mio padre è del ’44 e i mandarini li vedeva a Natale.
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A livello “Rockko” invece:
il grano duro (quello Mediterraneo,
da noi c’erano tante varietà di grani, molto antichi, oggi si sente parlare, soprattutto di senatore cappelli,
che poi molto antico non è),
si divide e si divideva: una parte in semola, con cui si fa la pasta, una parte in rimacinata, con cui si fa il pane, una parte in crusca,
con cui si facevano i porci.
Nei tempi odierni, la crusca si dà
alle gentil signore a prezzo da gioielleria..
L’unico integrale che io conosca è quello di grano arso che si ricavava
post mietitura, (oggi con altro metodo), praticamente le spighe che restavano sotto il livello della sega delle mietitrebbie, successivamente, venivano raccolte manualmente,
dalle donne spigolatrici dopo la bruciatura delle ristoppie… sgranato e macinato si ricava questo tipo di farina.
Alcuni legumi venivano, e sempre meno, vengono coltivati nelle aree appenniniche (terreni +adatti),
in pianura: fave-ceci-lupini.
Verdure anche selvatiche -frutta anche spontenea, in quantità industriale.
Di pesci (io parlo della Puglia) considerata la struttura morfologica,
te li buttavano appresso, oggi un po’ meno, chiaramente tutto era legato alla stagionalità, uguale per i mitili,
che avevano e hanno la funzione naturale dei
Cari integratori delle odierne farmacie.
Riguardo il grano (sempre Duro) la Puglia era considerato il granaio d’Italia, quindi..
c’era una miriade di forni a legna
(per chi non lo aveva in casa) dove la gente si metteva in fila per infornare il pane e non solo.
La pasta si faceva in casa, tutti erano attrezzati di setacci..
in quanto, la farina non aveva conservanti e qualche vermetto o impurità (non essendoci normative adeguate, si preferiva darli in pasto alle galline).
Aggiungo anche: la Puglia è stato luogo di transumanza con l’Abbruzzo, i due territori erano collegati tramite svariati tratturi Regi (attualmente ancora esistenti), che arrivavano
anche, fino alla città dell’Aquila.
I pastori Bruzzesi, svernavano i loro greggi nel mite clima pugliese, chiaramente, producevano carne
e vari tipi di formaggi, tra cui quello
con i vermi, cosiddetto “punto”,
vera squisitezza.
Riguardo a Giubbino, non sono preparato.. attendo notizie
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I mandarini li hanno anticipati a novembre ma pure a ottobre,
perché li hanno modificato e poi li trattano,
invece quelli tipici un po’ schiacciati, con i noccioli, che non si vedono più in giro, maturano a fine novembre
ed anno un ciclo corto
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coitus interruptus!
“Senza glutei per celtici di madre”
😂 🤣 😂 🤣 😂
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Drillo è stato un lapis freudiano, stavo pensando a te! 😂 🤣 😂 🤣 😂
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Pure gli autori del podcast la sparano grossa per stare al centro della scena.
Nel mio minuscolo paese dell’Appennino esistevano frantoi e mulini a pietra, con trazione animale, un ciuchino che girava in tondo per la molitura del grano e spremitura delle olive
La differenza è che oggi c’è abbondanza e disponibilità, mentre all’epoca erano quantità risicate.
Comunque la dieta ha sempre previsto vari tipi di ortaggi, legumi, frutta raccolti dopo coltivazione o per crescita spontanea.
Si, una dieta definibile Mediterranea è sempre esistita, dagli ovini si ricavava il latte per il formaggio e la carne della Pasqua.
Mai sentito parlare di Transumanza sui Tratturi delle greggi?
Articolo superficiale, scritto per sostenere le tesi precostituite dei fenomeni in cerca di visibilità.
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Il gregge di ovini, il maiale da sacrificare a Natale, la pesca in mare o in fiumi e laghi, la semina, la falciatura e trebbiatura di grano, orzo, segale e altri cereali, la coltivazione di ortaggi a foglia o frutto, raccolta di asparagi selvatici, more, fichi, nocciole, noci, tutti NON coltivati.
Secondo gli autori siamo giunti all’oggi per fotosintesi clorofilliana degli antenati.
Eddai…
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Questi autori sembrano veramente dei contaballe, se vogliamo metterla così. L’olio d’oliva non era diffuso? E allora che ci facevano con tutti quegli ulivi secolari?
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