25 aprile: la lettera della premier al “Corriere”

Giorgia Meloni: «Il 25 aprile sia la festa della libertà: i valori democratici ora difendiamoli in Ucraina. Fascismo, noi incompatibili con qualsiasi nostalgia». La lettera della premier al «Corriere»: «Democrazia e libertà sono scolpite nella Costituzione con un testo che aveva l’obiettivo di unire, non di dividere: occorre fare di questa ricorrenza un momento di rinnovata concordia»

Giorgia Meloni: «Il 25 aprile sia la festa della libertà: i valori democratici ora difendiamoli in Ucraina. Fascismo, noi incompatibili con qualsiasi nostalgia»

(di Giorgia Meloni – corriere.it) – Caro direttore,
oggi l’Italia celebra l’anniversario della Liberazione. Io stessa lo farò accompagnando il presidente della Repubblica Mattarella nella tradizionale cerimonia di deposizione di una corona di alloro all’Altare della Patria, mentre i ministri del governo parteciperanno alle altre celebrazioni istituzionali previste.

Nel mio primo 25 Aprile da presidente del Consiglio, affido alle colonne del Corriere alcune riflessioni che mi auguro possano contribuire a fare di questa ricorrenza un momento di ritrovata concordia nazionale nel quale la celebrazione della nostra ritrovata libertà ci aiuti a comprendere e rafforzare il ruolo dell’Italia nel mondo come imprescindibile baluardo di democrazia. E lo faccio con la serenità di chi queste riflessioni le ha viste maturare compiutamente tra le fila della propria parte politica ormai 30 anni fa, senza mai discostarsene nei lunghi anni di impegno politico e istituzionale. Da molti anni infatti, e come ogni osservatore onesto riconosce, i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo.

Il 25 Aprile 1945 segna evidentemente uno spartiacque per l’Italia: la fine della Seconda guerra mondiale, dell’occupazione nazista, del Ventennio fascista, delle persecuzioni anti ebraiche, dei bombardamenti e di molti altri lutti e privazioni che hanno afflitto per lungo tempo la nostra comunità nazionale. Purtroppo, la stessa data non segnò anche la fine della sanguinosa guerra civile che aveva lacerato il popolo italiano, che in alcuni territori si protrasse e divise persino singole famiglie, travolte da una spirale di odio che portò a esecuzioni sommarie anche diversi mesi dopo la fine del conflitto. Così come è doveroso ricordare che, mentre quel giorno milioni di italiani tornarono ad assaporare la libertà, per centinaia di migliaia di nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia iniziò invece una seconda ondata di eccidi e il dramma dell’esodo dalle loro terre. Ma il frutto fondamentale del 25 Aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana.

Da quel paziente negoziato volto a definire princìpi e regole della nostra nascente democrazia liberale — esito non unanimemente auspicato da tutte le componenti della Resistenza — scaturì un testo che si dava l’obiettivo di unire e non di dividere, come ha ben ricordato alcuni giorni fa su queste pagine il professor Galli della Loggia.

Nel gestire quella difficile transizione, che aveva già conosciuto un passaggio significativo con l’amnistia voluta dall’allora ministro della Giustizia Togliatti, i costituenti affidarono dunque alla forza stessa della democrazia e della sua realizzazione negli anni il compito di includere nella nuova cornice anche chi aveva combattuto tra gli sconfitti e quella maggioranza di italiani che aveva avuto verso il fascismo un atteggiamento «passivo». Specularmente, chi dal processo costituente era rimasto escluso per ovvie ragioni storiche, si impegnò a traghettare milioni di italiani nella nuova repubblica parlamentare, dando forma alla destra democratica. Una famiglia che negli anni ha saputo allargarsi, coinvolgendo tra le proprie fila anche esponenti di culture politiche, come quella cattolica o liberale, che avevano avversato il regime fascista.

È nata così una grande democrazia, solida, matura e forte, pur nelle sue tante contraddizioni, e che nel lungo Dopoguerra ha saputo resistere a minacce interne ed esterne, rendendo protagonista l’Italia nei processi di integrazione europea, occidentale e multilaterale. Una democrazia nella quale nessuno sarebbe disposto a rinunciare alle libertà guadagnate. Nella quale, cioè, libertà e democrazia sono un patrimonio per tutti, piaccia o no a chi vorrebbe che non fosse così. E questa non solo è la conquista più grande che la nostra Nazione possa vantare ma è anche l’unico, vero antidoto a qualsiasi rischio autoritario.

Per questo non comprendo le ragioni per le quali, in Italia, proprio fra coloro che si considerano i custodi di questa conquista vi sia chi ne nega allo stesso tempo l’efficacia, narrando una sorta di immaginaria divisione tra italiani compiutamente democratici e altri — presumibilmente la maggioranza a giudicare dai risultati elettorali — che pur non dichiarandolo sognerebbero in segreto un ritorno a quel passato di mancate libertà.

Capisco, invece, quale sia l’obiettivo di quanti, in preparazione di questa giornata e delle sue cerimonie, stilano la lista di chi possa e di chi non possa partecipare, secondo punteggi che nulla hanno a che fare con la storia ma molto hanno a che fare con la politica. È usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico: una sorta di arma di esclusione di massa, come ha insegnato Augusto Del Noce, che per decenni ha consentito di estromettere persone, associazioni e partiti da ogni ambito di confronto, di discussione, di semplice ascolto. Un atteggiamento talmente strumentale che negli anni, durante le celebrazioni, ha portato perfino a inaccettabili episodi di intolleranza come quelli troppe volte perpetrati ai danni della Brigata ebraica da parte di gruppi estremisti. Episodi indegni ai quali ci auguriamo di non dover più assistere.

Mi domando se queste persone si rendano conto di quanto,così facendo, indeboliscono i valori che dicono di voler difendere. È probabilmente questa consapevolezza ad aver spinto Luciano Violante a individuare — nel suo memorabile discorso di insediamento da presidente della Camera quasi trent’anni fa — proprio in una certa «concezione proprietaria» della lotta di Liberazione uno dei fattori che le impedivano di diventare patrimonio condiviso da tutti gli italiani. Un concetto ripreso nel 2009 da Silvio Berlusconi (allora presidente di un Consiglio dei ministri nel quale sedevo anche io) in un altro famoso discorso, quando a Onna, celebrando l’anniversario della Liberazione sulle macerie del terremoto, invitò a fare del 25 Aprile la «Festa della Libertà», così da superare le lacerazioni del passato.

Un auspicio che non solo condivido ma che voglio, oggi, rinnovare, proprio perché a distanza di 78 anni l’amore per la democrazia e per la libertà è ancora l’unico vero antidoto contro tutti i totalitarismi. In Italia come in Europa. Una consapevolezza che ha portato il Parlamento europeo a condannare inequivocabilmente e definitivamente tutti i regimi del ‘900, senza eccezioni, con una risoluzione del settembre 2019 nella quale mi riconosco totalmente, e che il gruppo di Fratelli d’Italia, insieme a tutta la famiglia dei Conservatori europei e all’intero centrodestra, votò senza alcuna esitazione (a differenza, purtroppo, di altri). Una risoluzione che assume nell’attuale contesto un valore ancora maggiore, dinnanzi alla eroica resistenza del popolo ucraino in difesa della propria libertà e indipendenza dall’invasione russa.

In tutto il mondo le autocrazie cercano di guadagnare campo sulle democrazie e si fanno sempre più aggressive e minacciose, e il rischio di una saldatura che porti a sovvertire l’ordine internazionale che le democrazie liberali hanno indirizzato e costruito dopo la fine del secondo conflitto mondiale e la dissoluzione dell’Unione Sovietica è purtroppo reale. In questo nuovo bipolarismo l’Italia la sua scelta di campo l’ha fatta, ed è una scelta netta. Stiamo dalla parte della libertà e della democrazia, senza se e senza ma, e questo è il modo migliore per attualizzare il messaggio del 25 Aprile. Perché con l’invasione russa dell’Ucraina la nostra libertà è tornata concretamente in pericolo.

È, questa, una convinzione che ho rafforzato grazie all’incontro con una donna straordinaria, Paola Del Din . Durante la Resistenza combatteva con le Brigate Osoppo, le formazioni di ispirazione laica, socialista, monarchica e cattolica. Fu la prima donna italiana a paracadutarsi in tempo di guerra. Il suo coraggio le è valso una Medaglia d’oro al valor militare, che ancora oggi, quasi settant’anni dopo averla ricevuta, sfoggia sul petto con commovente orgoglio. Della Resistenza dice: «Il tempo ci ha ribattezzati Partigiani, ma noi eravamo Patrioti, io lo sono sempre stata e lo sono ancora». Nell’Italia repubblicana è stata insegnante di Lettere e, nonostante i suoi quasi cento anni, continua ad accettare gli inviti a parlare nelle scuole di Italia e del valore della Libertà.

Dedico questo giorno a lei, madre di quattro figli e nonna di altrettanti nipoti, ma anche, idealmente, di tutti gli italiani che antepongono l’amore per la propria Patria a ogni contrapposizione ideologica.

16 replies

  1. Dedico questo giorno a lei, madre di quattro figli e nonna di altrettanti nipoti, ma anche, idealmente, di tutti gli italiani che antepongono l’amore per la propria Patria a ogni contrapposizione ideologica.

    non è che la patria deve amare un pochettino anche lei gli italiani?

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  2. La presidente del consiglio proprio nun je la fa a dirsi antifascista. Una letterina equidistante, nella quale infatti polemizza sia a destra che a sinistra, incitando a snaturare il 25 aprile, trasformandolo da festa della liberazione dal nazifascismo a generica festa della libertà, nel solco nientepopodimeno che del grande statista Berlusconi, del quale governo la Meloni si pregia di aver fatto parte, mentre io al posto suo vorrei che nessuno si ricordasse che ho fatto parte del governo che ha sottoscritto la bufala di Ruby rubacuori nipote di Mubarak, un governo passato alla storia per essere caduto per incapacità manifesta.

    La Meloni sostiene che la destra ha già espletato la formalità di prendere le distanze dal fascismo, ma si guarda bene dal rinnegarlo esplicitamente, semplicemente perché non vuole, e infatti siede al governo insieme a personaggi che ostentano e rivendicano ignoranza e totale mancanza di cultura democratica, senza provare nessun disagio.

    Buon 25 aprile. Buona festa della liberazione. Ora e sempre resistenza!

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  3. “Io, Giorgia Meloni e il mio partito, Fratelli d’Italia, CONDANNIAMO SENZA SE E SENZA MA IL FASCISMO, che è stata una catastrofe per l’Italia!”. Ci voleva tanto, paracula Meloni, a dire anche soltanto questa frase??? Ha scritto la letterina, come quelle che a Pasqua si mettono sotto il piatto, e ha declamato: “Siamo incompatibili con ogni nostalgia”. ‘Azz, Meloni, ma siete come la carta da parati che non si appatta coi mobili? Se foste veramente “incompatibili con ogni nostalgia”, non sareste stati zitti in tutti questi giorni in cui Ignazio Benito sparava cazzate come i tuoni, per cercare di operare la riscrittura negazionista su via Rasella e ribaltare la verità storica… Ha scritto la letterina. Con la quale vincerà a mani basse il premio: “PARACULA DELL’ANNO 2023”.

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  4. Ora e sempre Resistenza.
    Il movimento di liberazione è sempre in cammino, perché non è mai arrivato…
    Non è ancora riuscito, infatti, ad estirpare l’erbaccia infestante del fascismo.
    Ad ogni 25 Aprile si chiude un libro, e se ne apre subito un altro, perché bisogna sempre ricominciare da capo.
    E così sarà per sempre….
    Come nel paradosso di Zenone, purtroppo Achille non raggiungerà mai la tartaruga.
    Ci sarà sempre uno spazio che separa dalla meta, una distanza tra l’antifascismo e il fascismo, sentimento che si annida nell’animo stesso degli uomini. Degli uomini fascisti.
    Trovo grotteschi, e inutilmente retorici gli appelli alla riconciliazione.
    Non potrà mai esserci pacificazione tra l’erbaccia e il diserbante.
    Gli uomini si riconoscono dai loro desideri…
    I partigiani furono semplicemente gli uomini dal forte desiderio di libertà e di giustizia.
    Un desiderio antifascista.
    I desideri della vendetta, della discriminazione e della sopraffazione sono desideri fascisti.
    Benché si cerchi di camuffarli, essi si manifestano e imperversano con quel tanto d’iracondia e di violenza a fatica trattenute.
    Ecco perché non dobbiamo mai stancarci di ricominciare sempre da capo…

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  5. Ecco cosa diceva il tanto celebrato (da Donna Giorgia) Almirante

    Corriere della Sera 
    lunedì 25 gennaio 1988
    ALMIRANTE SENZA FRENI: «REPUBBLICA BASTARDA»

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  6. Intanto si dice “tra le file” e non “tra le fila”, errore da terza media, ripetuto due volte. Intanto non ho bisogno di lezioni di Storia da una baby-sitter della Garbatella, o da chi le scrive i testi. Intanto parlare di democrazia e Ucraina nello stesso periodo è quanto meno ridicolo. Questa lettera rimane un esercizio patetico di acrobazia dialettica per giustificare ciò che è ingiustificabile. Sono daccordo solo su una cosa: usare (solo) il fascismo come strumento di delegittimazione di QUESTI avversari è una strategia sbagliatissima; bisogna fargli tana sulle caxxate che fanno e dicono quotidianamente, e ne dicono! Sempre che usare (solo) il fascismo come strumento di delegittimazione non sia una strategia appositamente messa in atto dalle pseudo-opposizioni per buttare fumo in faccia ai propri elettori.
    Mi rimane una soddisfazione, per quanto magra: vedere La Russa zitto e cheto all’Altare della Patria il 25 Aprile è stato come vedere Dracula composto e sorridente alla festa dell’Avis.

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    • Direi proprio che hai preso una contonata FC. Se “file” non è sbagliato (dipende da che singolare si vuole partire), “fila” in questo caso è più pertinente:

      «Fili, file, fila: qual è il plurale giusto?

      “Le fila del partito.” D’onde viene questo strano plurale? Vediamo.

      Esiste un sostantivo femminile singolare la fila, serie di persone o cose più o meno allineate una dietro l’altra, che ha un plurale regolare le file. Diciamo perciò che davanti ai negozi si formano lunghe file (oggi è più in uso code), e che i militari rompono le file (oppure le righe), cioè rompono il loro allineamento.

      Esiste poi un secondo sostantivo, ma di genere maschile, il filo, propriamente il prodotto della filatura (un filo di lana, di cotone). Ecco il colpevole! Filo ha due plurali: uno regolare maschile, i fili, e uno irregolare femminile, le fila. Perché mai? Perché il nome d’origine, in latino, è neutro: filum singolare, fila plurale, e accanto al nostro plurale regolare fili è sopravvissuta anche la forma originale latina fila. La quale, mancando in italiano il genere neutro, si è rifugiata nel femminile.

      Ciò premesso, il plurale più comune è quello regolare, i fili: “i fili del telegrafo”, “tre fili di perle”. Il plurale femminile le fila è d’uso più limitato: si incontra in senso collettivo, per indicare molti fili presi insieme: abbiamo così “le fila dell’ordito”, e diciamo che il formaggio fuso “fa le fila”; ma più spesso lo incontriamo in frasi figurate, come “le fila della congiura”, “le fila del partito”, “tenere in pugno le fila del movimento”. ».

      ERGO (cit.) è non solo perfettamente corretto, ma anche maggiormente consono.

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      • Premesso che dubito seriamente che chi ha scritto l’articolo sia al corrente di questa tua rispettabilissima esposizione, che mi riservo di approfondire, rimango convinto che il senso delle frasi dell’articolo richiedesse l’uso del plurale “file”. “Le fila” è il termine che definisce il sistema che manovra i pupi o burattini, usato in circostanze più o meno ricorrenti: le fila del discorso, reggere le fila della situazione, studiare le fila della storia, scoprire le fila di un complotto. Eccetera.

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      • FC, che l’estensore dell’articolo fosse o meno consapevole del significato di ciò che stava scrivendo, non cambia l’esito della questione.

        In questo caso, nessuna delle due versioni è scorretta, dipende se si intende la parola come “ranghi” distinti e allora va bene “file”, o come, più che somma collettiva, “visione olistica dell’insieme” (se così ci spi può esprimere 🙂 ), per la quale è corretto, in senso figurato, scrivere “fila”.

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  7. Su quella foto con la partigiana/patriota la vedo bene a fare la badante alla firmatrice della Fornero.
    Si riempie la bocca della parola libertà e io non posso fare nemmeno una festa col numero di invitati che voglio.
    Spiace ma non credo nemmeno a una parola di quello che ho letto .

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