Le chat del giorno dopo sono una colata di rancore. Anche per lui, per il Giuseppe Conte che stamattina, dopo infiniti rinvii, calerà la lista dei coordinatori provinciali. Una boa cui aggrapparsi, in attesa di ragionare davvero sul futuro […]

(DI LUCA DE CAROLIS E LORENZO GIARELLI – Il Fatto Quotidiano) – Le chat del giorno dopo sono una colata di rancore. Anche per lui, per il Giuseppe Conte che stamattina, dopo infiniti rinvii, calerà la lista dei coordinatori provinciali. Una boa cui aggrapparsi, in attesa di ragionare davvero sul futuro. Perché l’avvocato a 5Stelle ora deve decidere. Deve scegliere se rendere il M5S un vero partito, con rappresentanti territoriali a cui delegare davvero potere e non medaglie di latta. Capire se può ancora sostenere il vincolo dei due mandati, che Beppe Grillo non ha mai voluto cambiare – per tacita convenienza dell’ex premier, voglioso di ricambio –, ma di cui quasi tutto il corpaccione del Movimento è stufo, “perché se candidiamo sconosciuti le preferenze non si prendono, e figurarsi alle Europee l’anno prossimo…”. Rieccole a galla, istanze e proteste represse per mesi nel M5S che a Conte doveva il 15 per cento alle Politiche. Ma ora è tempo di altri numeri: l’8,5 nel Lazio, dove l’ex premier che sognava il sorpasso è rimasto distante anni luce dal Pd, rimediando solo quattro eletti (tra cui Donatella Bianchi, che deve decidere se restare alla Pisana). E il 3,93 in Lombardia (tre eletti). “Abbiamo tenuto in panchina gente come Virginia Raggi, Paola Taverna o Roberta Lombardi, ma si rende conto?”, si sfoga un ex deputato. Che assicura: “Giuseppe i due mandati non vuole toccarli. Ma sbaglia”. Mentre proprio l’ex assessore Lombardi, che voleva l’accordo coi dem, morde in chiaro: “La ricerca del consenso senza la cura del territorio porta a risultati grami, non ci sono più scusanti per non far partire l’organizzazione territoriale e per non mettere il livello nazionale al servizio del territorio. Altrimenti rimarremo un partito dei like”.

Tradotto: non può girare tutto attorno a un unico sole. Cioè a Conte, che trascorre il martedì a limare la lista di referenti. L’aveva annunciato da mesi, l’elenco: ma non arrivava mai, per lo sbuffare di tanti. Doveva diffonderlo ieri, come aveva giurato lunedì alla stampa. Arriverà stamattina. “Siamo in ottima salute a livello nazionale ma dobbiamo ripartire dai territori”, dice ai suoi Conte. Per poi pungere Calenda: “Non siamo come lui che dà la colpa agli elettori, in politica ci vuole umiltà”. Di sicuro tra i referenti ci saranno tanti ex eletti, da tenere calmi. E comunque i dati urlano altre urgenze. A Bergamo il 5S più votato è Danilo Albani Rochetti, 305 preferenze. Mentre il più votato di Azione – con percentuali simili al M5S – è Niccolò Carretta, che di preferenze ne ha prese 2400.

Invece a Brescia i 5Stelle eleggono Paola Pollini, 412 voti. Proprio nella città dove il dem Emilio Del Bono da solo ha preso 35 mila preferenze. Ergo, il nodo è sempre quello delle candidature, in una Regione dove dietro al capogruppo uscente Nicola Di Marco – rieletto a Milano – non c’erano volti conosciuti. Il coordinatore regionale Dario Violi e l’ex parlamentare e consigliere regionale Massimo De Rosa erano incandidabili a causa del vincolo dei due mandati. Proprio come il veterano Stefano Buffagni.

E poi c’è il tema del metodo, sostiene un big: “I candidati pensano a contendersi i voti degli attivisti, ma non a conquistarli fuori. Salvini per due mesi ha fatto un evento al giorno”. Cose da partiti. Veri.