
(di MIRIAM NIDO – lidentita.it) – La donna del boss, i festini in villa e altre quattro identità “rubate”. Più si scava negli ultimi anni in fuga del capo dei capi Matteo Messina Denaro e più emerge uno scenario ben peggiore di un super ricercato dalla vita normale. Tassello dopo tassello, infatti si configura una latitanza caratterizzata dal lusso, favorita da coperture a più alti livelli e così blindata da permettere all’ultimo degli stragisti di fare vita sociale. La cattura del padrino, diventata una realtà grazie ai carabinieri del Ros che hanno stretto il cerchio attorno al capo dopo gli arresti dei suoi fedelissimi, ha creato una frattura nel muro di omertà. Perché le indagini serrate hanno spinto alcuni testimoni, ormai consapevoli del fiato sul collo degli investigatori, a presentarsi e parlare, prima che i militari bussassero alla loro porta. È il caso dell’amante di Messina Denaro, i cui abiti femminili e beni personali sono stati ritrovati nell’abitazione di vicolo San Vito, la casa dove il ricercato ha vissuto nell’ultimo anno nella più totale normalità, a Campobello di Mazara. Sull’identità della signora c’è il massimo riserbo, ma la storia d’amore sarebbe recente e dunque non si tratterebbe della donna che con il capomafia avrebbe avuto il figlio segreto, che si chiamerebbe Ciccio, ovvero Francesco, come il padre del boss dei boss. La testimone, dunque, sarebbe una delle tante presenze femminili che Messina Denaro riceveva nella sua casa, come dimostrano i preservativi e il viagra sequestrato nell’abitazione. Almeno tre negli ultimi mesi, tra cui una bionda con i capelli corti in corso di identificazione e un’altra che per il momento rimane ignota, almeno fino alle risultanze delle analisi del dna avviate sugli abiti e sugli oggetti delle ospiti. E per il timore di essere comunque rintracciata da lì a poco e di finire nell’elenco dei presunti complici, anche alla luce del fatto che i loro incontri erano avvenuti fino a pochi giorni prima della cattura, l’amante si è presentata ieri dai carabinieri, giurando di aver scoperto che aveva una storia d’amore con il padrino solo quando ha visto la foto dell’arresto in televisione. “Non avevo idea della sua vera identità, a me si è presentato con un nome diverso. Non potevo sapere che fosse Matteo Messina Denaro”, ha giurato, aggiungendo di non aver neanche mai nutrito sospetti sulla vera identità dell’uomo, che lei ha definito “gentile e attento” e che ha detto di conoscere con un altro nome. Il boss, d’altronde, usava più alias: non solo Andrea Bonafede, ma sono stati trovati altri quattro documenti d’identità nel covo. Gli inquirenti, comunque, non credono alla teste. Al momento non l’hanno indagata, ma sono in corso approfondimenti per trovare riscontri a conferma della versione, tanto che è scattata la perquisizione nella casa della donna. Un altro accertamento investigativo è stato effettuato nei confronti di Maria Mesi, amante storica del capo dei capi, e di suo fratello Francesco Mesi. I carabinieri del Ros sono entrati nell’abitazione della donna a Bagheria, in via Milwaukee ad Aspra, in una casa di campagna e nella torrefazione gestita dai due sospettati, che già in passato erano finiti sotto inchiesta per aver favorito la latitanza del capomafia. Francesco Mesi aveva patteggiato la pena, mentre sua sorella Maria era stata arrestata il 14 giugno del 2000 per essere intestataria del contratto di affitto di un appartamento in cui Messina Denaro si nascondeva ad Aspra, nel palermitano. Condannata in primo e secondo grado per favoreggiamento aggravato alla mafia, la Cassazione aveva annullato l’aggravante, sostenendo che il rapporto sentimentale con il boss escludesse l’agevolazione di Cosa nostra. Oltre alle amanti, spunta anche un testimone che delinea scenari più inquietanti. Le rivelazioni, che andranno in onda stasera a Le Iene, sono state rilasciate dal vice presidente dell’Antimafia della Regione Sicilia, Ismaele La Vardera, che sostiene di aver raccolto la confessione di un uomo che gli ha raccontato di alcuni festini in una villa del palermitano, a cui avrebbe partecipato il capo dei capi alla presenza di un appartenente alle forze dell’ordine, di un medico e di un noto politico italiano. “Si parla di un Matteo Messina Denaro che frequentava salotti importanti della borghesia e che partecipava come se nulla fosse a dei festini”, ha raccontato La Vardera, che ha sporto denuncia al Ros. Ora si apre un nuovo filone che va dalla massoneria alla politica.
Ma di cosa parlate, i poster, i documenti falsi, il viagra, le donne, i vestiti ecc. Ecc. Ma vogliamo vedere chi ha permesso tutto questo, quale potere lo ha coperto per tutti questi anni, vogliamo parlare che a Cospito dicono lo Stato non tratta con i delinquenti e con la mafia si….
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Sottoscrivo.
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Vuole che le scrivano nomi e cognomi di chi stanno indagando? Serve a far capire in che “contesto” questo qui è stato in latitanza e per adesso ci basta sapere questo per comprendere.
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Cmq notevole che non si sia un delinquente che non abbia una o più donne dietro. Quegli esserini angelicati, stranamente attratti dal maskio Alfa come falene per i fanali. Questo a 60 anni potrebbe sostituire Rocco Siffredi.
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È pieno di soldi… e “certi” esserini non sono angelicati manco per niente…
AAA Vendonsi ali, usate poco.
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L’altra mafia
di Rita Guma
Nei dizionari, oltre alla definizione a tutti nota del termine mafia, ce n’è un’altra. Prendo quella del Treccani: “Tendenza a sostituirsi alla legge con l’azione o il prestigio personale, per lo più attraverso la formazione di consorterie, e con atteggiamenti di boriosa insolenza”.
Anche questo tipo di mafia è pervasivo. Dai sistemi di voto di scambio al caporalato, dalle corruttele sistematiche alle ruberie organizzate nella PA, ma anche certe forme di mobbing, ovunque ci siano minacce e intimidazioni che siano plausibilmente concretizzabili, ovunque ci siano atteggiamenti concordemente omertosi su soprusi e illegalità, si tratta di mafia.
Opporsi non è facile, se si è soli. Gandhi diceva “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”. La prima parte descrive quello che spesso accade (con l’aggiunta della diffamazione a scopo di delegittimazione), sul “vinci” ci sarebbe da dire, perché se si è soli occorre raccogliere tutte le prove e poi essere disposti a passare attraverso anni di procedimenti legali avendo tutti contro. Se si è supportati si hanno maggiori probabilità di farcela, ma in quei contesti è spesso difficile trovare qualcuno che abbia visto o sentito e sia disposto a parlare.
Ne ho viste e fatte tante, di battaglie. Qualche volta il rischio era davvero alto, con minacce di morte ad amici coraggiosi, anche se non era la criminalità organizzata propriamente detta, a farle. Altre volte la minaccia era di licenziamento o trasferimento a centinaia di chilometri di distanza o condizioni di lavoro invivibili.
Vorrei ricordare oggi anche tutti questi eroi meno noti, persone qualsiasi che decidono di non accettare i soprusi e di combattere per la comunità rischiando tanto a livello personale.
Per tutti ricordo Franco, un caro collega dallo sguardo onesto come il suo nome, che per un insieme di combinazioni sfavorevoli non potei aiutare adeguatamente e che fu tanto debilitato dalla sua battaglia a difesa dei più deboli (alla fine sostanzialmente vinta) da ammalarsi e morirne a soli quarant’anni.
Probabilmente se avesse ricevuto un maggiore aiuto le cose sarebbero finite diversamente.
A tutti i Franco di questo disgraziato paese, grazie.
da L’OSSERVATORIO DELLA LEGALITA’ E DEI DIRITTI http://www.osservatoriosullalegalita.org/
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