Si sa che questo è il Paese dei voltagabbana, una parola tanto italiana da essere difficilmente traducibile in altre lingue. Si cambiano schieramenti e partiti, si aggiustano idee, si rettificano opinioni, si muta atteggiamento come nulla fosse […]

(DI DONATELLA DI CESARE – Il Fatto Quotidiano) – Si sa che questo è il Paese dei voltagabbana, una parola tanto italiana da essere difficilmente traducibile in altre lingue. Si cambiano schieramenti e partiti, si aggiustano idee, si rettificano opinioni, si muta atteggiamento come nulla fosse. Lo spazio pubblico pullula di funamboli ed equilibristi, camaleonti della politica e acrobati della comunicazione. Ne abbiamo già viste letteralmente di ogni colore. Se la flessibilità può essere un vanto della “nazione”, la furfanteria è l’altra faccia della medaglia. Doppiezza e simulazione, quasi ormai, non scandalizzano più.

Però, però – però con la guerra e con la pace l’ipocrisia è inaccettabile. Eppure, comincia a diffondersi, con il rischio di essere istituzionalizzata. Potrei menzionare – nome e cognome – esempi illustri: esimi direttori di esimie testate, politici di primo piano, cariche istituzionali, politologi e scrittori, esperti e giornalisti. “Dobbiamo tenerli in piedi!”, “io sono a fianco della resistenza ucraina”, “io sono per l’invio di armi”, “le armi sono indispensabili!”, ecc. Poi con disinvoltura si aggiunge: “Per carità… tutti siamo per la pace! Chi non lo è?”. Si mormora “pace”, spesso con un sorrisetto ammiccante e uno sguardo d’intesa. Così si tiene il piede in due staffe. Non si sa mai: il fronte atlantista furoreggia, ma l’opinione pubblica resiste. Un domani i promotori del conflitto potranno, in caso di necessità, riciclarsi come non-violenti della prima ora. C’è poi la terribile superficialità con cui si usano le parole e con cui – in questo drammatico periodo – si ragiona (o si sragiona) di questioni epocali. Mischio nel discorso un po’ di pace e un po’ di guerra – non faccio male a nessuno. Anzi, mi colloco tra i moderati e i benpensanti. “In vista della pace… a fianco di Kiev”. “Sì alle armi… ma solo per ottenere la pace”.

Ipocrisia bella e buona? Inconsapevole leggerezza? Opportunismo politico? Dietro frasi del genere si nasconde qualcosa di più. È l’idea che “pace” sia una parola vuota, che dietro quell’etichetta ci sia il risibile vacuo di un’armonia a cui nessuno crede, la melensa utopia di sciocchi sognatori (o il calcolo recondito di filoputiniani). Ecco finalmente la rivelazione della guerra, questa iniezione di realismo politico!

Ma è preferibile di gran lunga chi ha il coraggio di mantenere la posizione, di dire apertamente che è favorevole all’invio di armi. Perché non crede nella possibilità di seguire la strada del negoziato, perché pensa che la politica non sia fatta di parole e diplomazia, ma possa proseguire con le armi. Non importa se mieta vittime, centinaia di migliaia – vite stroncate, mondi finiti. Però non sporcate la pace! Non lasciate grondare il sangue delle vostre parole belliciste su questa parola che vale più di tutte e che dovrebbe essere pronunciata insieme con cautela e speranza. La parola “pace” non può essere la copertura degli appelli alla guerra, della giustificazione di questo conflitto, dell’invio di armi.

Almeno in questo periodo si dovrebbe smetterla con questa ipocrisia oltraggiosa, con questa doppiezza insopportabile. Non c’è un pacifismo integralista e un pacifista scaltro e realista che ogni tanto imbraccia le armi. Siamo nel XXI secolo, in un orizzonte nucleare. La guerra non è la continuazione della politica con altri mezzi, un duello su vasta scala (come suggeriva Von Clausewitz – ma chi crede a questa amenità?). La guerra è il modo di funzionare delle società primitive che oggi, per di più, mette a rischio la nostra esistenza. Sarebbe allora tempo che si parlasse con serietà e responsabilità. Questo è auspicabile soprattutto per chi prende spesso la parola nello spazio pubblico. Lo stesso vale per i partiti e per chi vi aderisce. Non mescolate pace e guerra. Chi adesso dice “pace e guerra” sta dicendo, in realtà, solo “guerra!”.