Quelle cinque risposte che solo Messina Denaro conosce

(di Dario del Porto, Salvo Palazzolo – repubblica.it) – Castelvetrano, ottobre 1991. Il capo dei capi, Totò Riina, ha fatto sapere al suo pupillo, Matteo Messina Denaro, che è necessario convocare una riunione al più presto. Il giovane padrino, all’epoca ventinovenne, non se lo fa ripetere. Qualche giorno dopo, in una bella villa del suo paese natale, fa gli onori di casa e dispensa abbracci. Giornata solenne, ma per pochi. Giuseppe Graviano si presenta con il fratello Filippo, sono gli unici palermitani ammessi all’incontro. Non è cosa da poco. Un altro abbraccio, Messina Denaro lo dispensa per Mariano Agate, storico padrino di Mazara del Vallo. Riina è raggiante. “È arrivato il momento”, dice. Il momento di uccidere il giudice Giovanni Falcone, che lavora al ministero della Giustizia, a Roma. E anche il giornalista Maurizio Costanzo: si è permesso di dichiarare che i padrini ricoverati in ospedale godono di perfetta salute, dunque sono degli impostori. In questa villa scelta da Matteo Messina Denaro inizia la strategia stragista del 1992. Il padrino arrestato dopo 29 anni di latitanza conosce i segreti più importanti di Totò Riina, quelli che neanche i collaboratori di giustizia hanno mai saputo rivelare. “Loro vogliono fare la super procura? – sbottò Riina in un’altra riunione riservata, nel febbraio 1992 – e noi facciamo la super cosa”. Lo disse mentre guardava Messina Denaro e Giuseppe Graviano. Sono almeno cinque i capitoli di questo romanzo di sangue che il padrino trapanese potrebbe scrivere se decidesse di collaborare con la giustizia. Ipotesi, al momento, remota.

La trasferta romana
A febbraio, dopo l’investitura della “super cosa”, Messina Denaro, Graviano e alcuni loro fedelissimi sono a Roma, per pedinare Falcone e Costanzo. Hanno il compito di ucciderli con le armi che sono state trasportate da Trapani fino alla Capitale. Ma, all’improvviso, dieci giorni dopo, Riina cambia idea: per ricevere i nuovi ordini torna a Palermo il braccio destro di Messina Denaro, Vincenzo Sinacori; il capo dei capi vuole che rientrino tutti in Sicilia. È lì che dovrà essere ucciso Falcone. Cosa era accaduto? Perché Riina aveva cambiato idea sul luogo del delitto? Qualcuno, magari esterno all’organizzazione, gli aveva suggerito un cambio di strategia? Peraltro, a Roma, Falcone girava senza scorta, sarebbe stato facile ucciderlo. Invece, Riina vuole lanciare un segnale eclatante. Perché?

Gli agenti segreti
Fra le bombe di Capaci e via D’Amelio sorge un grosso problema in casa di Messina Denaro, in provincia di Trapani: c’è un boss di grande carisma che non ha remore a esprimere i suoi dubbi sulla scelta stragista di attacco allo Stato. Si chiama Vincenzo Milazzo, è di Alcamo, padrino giovane ma di una dinastia di vecchia mafia, almeno quanto quella dei Messina Denaro. Verrà ucciso, morirà anche la sua compagna. Ed ecco il mistero, accennato dall’autista di Milazzo, Armando Palmeri, poi diventato collaboratore di giustizia: “Negli ultimi tempi, Milazzo incontrò tre volte due persone, mi disse che erano appartenenti ai Servizi segreti, li conosceva da tempo. Gli venne proposto di adoperarsi per la destabilizzazione dello Stato: una finalità da perseguire attraverso atti terroristici da compiere fuori dalla Sicilia. Ma Milazzo era contrario a queste cose”. Chi fece sapere al vertice mafioso che Milazzo poteva diventare un pericolo per la linea corleonese?

Il lungomare di sangue
Segreti su segreti. Dopo le bombe di Capaci e via D’Amelio, il 14 settembre 1992 si muovono i killer migliori del capo dei capi sul lungomare di Mazara del Vallo: Messina Denaro guida la Fiat Tipo del commando composto da Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano. Hanno il compito di uccidere il commissario Rino Germanà, per fortuna non ci riescono. Perché era stata decretata la morte di quel poliziotto coraggioso che indagava sui rapporti tra mafia, politica e massoneria?

I suggeritori
Gli eventi si susseguono frenetici. Dopo l’arresto di Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993, i suoi fedelissimi della “super cosa” non si rassegnano. Il primo aprile 1993, si riuniscono in una villetta di Santa Flavia, a due passi da Bagheria. Decidono di seguire la linea tracciata Riina, ma stavolta prendono di mira il patrimonio artistico. Come hanno deciso dove colpire? È una domanda alla quale trent’anni di indagini non hanno saputo rispondere. Quelle bombe sono un ricatto allo Stato, una strategia raffinata. E se qualcuno avesse suggerito gli obiettivi?

Un partito della mafia
Dopo le bombe di Firenze, Milano e Roma, i mafiosi della “super cosa” si riuniscono all’Euromare village di Campofelice di Roccella. Quel giorno, arriva il senatore Vincenzo Inzerillo, vicino ai Graviano, per questo verrà poi condannato. “È venuto a dire che con le stragi non si conclude niente e che si deve agire in altro modo”, racconta Messina Denaro a Sinacori sulla via del ritorno. “Ha proposto che potremmo impegnarci piuttosto nella costituzione di un nuovo partito politico”. Quanti segreti custodisce l’uomo adesso rinchiuso al 41 bis.

1 reply

  1. Un partito politico.

    Forza Itaglia?

    Nacque nel 1993, o sbaglio?

    Con Dell’Utri e Matacena co-fondatori assieme al P2ista.

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