(Massimo Gramellini – corriere.it) – Non dev’essere per nulla facile difendere l’autore di un omicidio. Di solito si finisce sempre per tirare in ballo l’infermità mentale, e così ha fatto anche l’avvocato di Costantino Bonaiuti, l’uomo che ha ucciso Martina Scialdone all’uscita da un ristorante di Roma, alludendo alle difficoltà psicologiche del suo assistito. Se si fosse fermato lì, il legale sarebbe rimasto nel suo. Invece vi ha aggiunto una chiamata collettiva di correo: «Se tutti avessero fatto il loro lavoro, il loro compito di cittadini, questa ragazza sarebbe ancora viva».

L’avvocato Taglialatela mi perdonerà, ma una simile supercazzola può funzionare giusto nella patria del benaltrismo, dove si pensa che il modo migliore per ridurre le responsabilità di un individuo consista nell’allargarle al mondo intero. Supponiamo pure che durante il litigio tra vittima e carnefice, avvenuto ancora all’interno del ristorante, qualcuno degli astanti non abbia avuto sufficiente presenza di spirito per cogliere il reale pericolo che la donna stava correndo. E reclutiamo sociologi filosofi per indagare le ragioni del decadimento di valori come l’attenzione verso il prossimo, il coraggio, la solidarietà. Resta il fatto che l’eventuale e al momento indimostrato lassismo delle ultime persone che hanno visto viva Martina Scialdone non ridimensiona di una virgola il ruolo e le colpe dell’assassino. Certe scuse riportano alla memoria gli anni dell’asilo, anche se ormai l’asilo è uno stato d’animo che dura tutta la vita.