(ANNALISA CUZZOCREA – lastampa.it) – «Quella destra che oggi tace sulle parole di Medvedev mette a rischio la sicurezza nazionale», dice Luigi Di Maio. Fondatore di Impegno civico, candidato alle prossime elezioni in coalizione con il Pd (chissà, forse in uno scontro diretto con Giuseppe Conte a Napoli) il ministro degli Esteri è convinto che niente di quel che dice l’alto funzionario russo possa essere preso alla leggera.

Dmitri Medvedev ha lanciato l’ennesima provocazione, chiede ai cittadini europei di punire i loro “governi idioti” nelle urne. Ma conta davvero ancora qualcosa, nel sistema di potere di Vladimir Putin?

«Medvedev è il suo numero due, viene subito dopo il presidente, nel Consiglio di sicurezza russo. Che è quello le cui immagini abbiamo visto prima dello scoppio della guerra in Ucraina, quando il capo dell’intelligence esprimeva i suoi dubbi e veniva prima sbeffeggiato e poi smentito. Allora Putin dimostrò come tutti dovessero allinearsi al suo pensiero. Medvedev è tra i più allineati».

Il messaggio è rivolto ai cittadini o ai partiti secondo lei?

«Non è solo un messaggio, ma un ricatto inaccettabile. Ricordiamoci che questi signori minacciano l’Europa di interrompere completamente le forniture di gas. Siamo fuori da qualsiasi regola della democrazia. E sa cos’è spaventoso? Il silenzio di molti leader politici italiani. I responsabili della caduta del governo Draghi non sono ancora intervenuti per respingere una tale ingerenza».

Si riferisce a Giuseppe Conte, Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, che adesso ha detto un laconico: “Non contano i tweet russi, voteranno gli italiani”?

«Certo, a loro. È in atto un chiaro tentativo di interferire sul voto che non mi sembra si stiano affannando a respingere».

Che senso ha proporre per la prossima legislatura una commissione di inchiesta sui legami tra la Russia e i partiti politici italiani?

«Io non ho certezze, ma credo sia necessario indagare i rapporti tra i leader dei partiti italiani e alcuni mondi politici e finanziari russi. Perché sono successe delle cose assurde. L’ambasciatore di un Paese straniero verso il quale, con tutta l’Europa, abbiamo emanato sanzioni, Razov, ha fatto un endorsement alla risoluzione di Conte sull’Ucraina. È per questo che siamo andati via da quel partito, perché abbiamo assistito – negli ultimi mesi del governo Draghi – a dinamiche che sono fuori da qualsiasi dialettica politica».

Conte ha detto a La Stampa che siete stati voi, lei Letta e Draghi, a tentare di farlo fuori senza ragione.

«Ma in un partito normale secondo lei dopo affermazioni di quel tipo si tace? Non si respingono al mittente? Per non parlare di Salvini che stava per farsi pagare il volo in rubli da Mosca. E di Berlusconi, i suoi buoni rapporti con Putin sono noti a tutti».

Quindi secondo lei chi ha buttato giù il governo Draghi ha fatto un favore alla Russia intenzionalmente?

«È la chiusura di un cerchio. E un’altra cosa lo dimostra. Nessuno di quei partiti si è unito a noi nella battaglia europea per mettere un tetto massimo al prezzo del gas. Una misura che risolverebbe un problema enorme per le imprese italiane. Le testimonianze di questi giorni parlano di industriali che hanno visto la loro bolletta energetica passare da 120mila euro a quasi un milione, o da 6mila a 22mila, in un anno. Fermare le speculazioni alla borsa di Amsterdam sul prezzo del gas è vitale, non è una questione di parte. Ma è una forma di sanzione alla Russia perché quei soldi vanno in larga parte a finanziare la guerra in Ucraina. Anche su questo, silenzio assordante dal partito di Conte e dal centrodestra».

Si aspettava un fronte unitario per un punto che era diventato il primo dell’agenda Draghi a livello europeo?

«Perché no? È una questione di interesse nazionale. Se la politica fosse unita, anche un premier dimissionario potrebbe andare ai tavoli europei con una forza di contrattazione maggiore. Non sostenere un obiettivo che tutela gli interessi italiani ed europei significa fare un favore alla Russia».

La coalizione di centrodestra di cui parla però è guidata da un partito, Fratelli d’Italia, che ha – per volontà di Giorgia Meloni – una posizione inequivoca sulla guerra in Ucraina. Sta con il Paese aggredito e con la Nato. Si aspetta che questa contraddizione scoppi un dopo il voto?

«Ma come fa a essere inequivoca la posizione di chi si allea con Salvini e Berlusconi? Di chi va in coalizione con due leader su cui gravano pesanti ambiguità? Se la destra andasse al governo sono sicuro che Salvini dopo un anno farebbe una riedizione del Papeete e butterebbe giù tutto».

Una previsione ardita. O una speranza?

«Conosco la specialità della casa».

Anche di Conte pensava che si sarebbe spostato su posizioni più estreme, che avrebbe candidato Raggi e Di Battista, e invece non è successo. Anzi, ha detto che Di Battista non si è potuto candidare proprio perché ha un’idea diversa e “più radicale” sulla politica estera.

«Guardi, io ho fatto la scissione sulla politica estera. Se non l’avessi fatta, il governo Draghi sarebbe caduto sul collocamento internazionale dell’Italia e non potevo permetterlo. Dopo di che, il fatto che neanche Di Battista si sia potuto candidare con il Movimento dimostra quello che dico da tempo. Non è rimasto più niente dei 5 stelle, c’è solo il partito di Conte».

È rimasto Grillo.

«Si sta accorgendo che glielo stanno smantellando, cerca di evitare il nome nel simbolo. Io non giudico come compongono le liste gli altri partiti, ma chi mette come capilista tutti suoi uomini non può venire a parlare di democrazia diretta».

È rimasto il vincolo dei due mandati, la vera ragione per cui – secondo Grillo e Conte – lei è andato via.

«A parte che quella decisione è stata presa dopo, le assicuro che se non fossimo usciti dai 5 stelle il governo sarebbe caduto un mese prima. Così come penso che le destre che oggi tacciono sulle ingerenze consegnano il Paese alla Russia. È un problema di sicurezza nazionale».

E Calenda con cui litiga su Twitter?

«Penso che strappando sull’alleanza abbia scelto di stare dalla parte di chi ha voluto far cadere il governo Draghi. Nei giorni in cui mi insultava come un bullo ho taciuto, ho pensato che fosse importante cercare l’unità, porgere l’altra guancia. Ma lui ha fatto saltare tutto in fuga solitaria con Renzi, il cui modo di fare politica giudicava “orribile”. Le sue lezioni di coerenza ce le possiamo risparmiare».

Sarà davvero candidato per il centrosinistra in un collegio di Napoli, magari contro Conte?

«I dettagli arriveranno nei prossimi giorni, ma in un’alleanza si condividono i collegi uninominali e si corre con le liste proporzionali. Il nostro obiettivo è andare oltre il tre per cento».

Draghi è ancora una risorsa per il Paese?

«Fondamentale. Stavamo mettendo mano al taglio del cuneo fiscale, dell’Irap, alle bollette, al salario equo, perché avevamo una crescita che ci dava margini di bilancio importanti. Se penso che dall’altra parte la leader della coalizione di destra passa i giorni a rassicura il mondo che non sfascerà il Paese, è un bel salto nel buio rispetto a un signore che si sedeva ai tavoli europei e rassicurava con nome e cognome. Le nostre proposte sono ispirate all’agenda sociale che chi ha buttato giù il governo ha fatto saltare. Gliene dico due: tasso zero sull’anticipo per l’acquisto della casa e con garanzia statale al 100% per gli under 40, la generazione che ha pagato le torri gemelle, i subprime, il Covid e la guerra in Ucraina. Lo facciamo con un fondo dello Stato che consente di coprire la somma dell’anticipo con un prestito da restituire a tasso zero. E poi, azzeramento dell’Iva sui beni di prima necessità contro l’inflazione».

Ore 21:13, richiamiamo Di Maio perché Conte ha appena twittato: le ingerenze di Medvedev sono inopportune e pericolose. La risposta non contiene ripensamenti. «Ci ha messo dieci ore per fare solo un tweet».