(Giuseppe Di Maio) – Ma ci rendiamo conto che sòla è stato Draghi? L’hanno sussurrato, annunciato, pompato, protetto, osannato; e mentre la banda suonava la marcia trionfale del suo ingresso a palazzo Chigi a stento riuscivamo a vederne la nuca. Non ha parlato che dopo settimane. Quando l’ha fatto, ci ha riempito di sviste, di gaffe e di cacchiate per tutto un anno e mezzo. Uno che pure quando se n’è andato lo ha fatto con le parole degli altri. Vabbè che il discorso glielo avevano scritto, ma cazzo: parlava di sé in terza persona come i bambini, come i cretini. O forse pensava davvero che “l’alto profilo”, riportando fedelmente le parole di Mattarella, ormai è un indiscutibile sinonimo di Mario? Mi pare che l’establishment sia capace solo di tirare fuori fenomeni dal proprio cappello.

Già, perché il fenomeno è uno che è stato assoldato con preciso contratto: far fuori Conte, il suo magnifico operato (sia nel primo che nel secondo governo), distruggere i 5 stelle, polverizzare la loro maggioranza parlamentare, ed essere gratificato con l’elezione a Capo di Stato. Il compito non era difficile: sopra di lui, avanti a lui, dietro di lui, al suo fianco, c’erano tutto lo Stato, le bande dei partiti, i padroni delle lobby, la stampa, gli amici internazionali, tutti sperando di archiviare al più presto la parentesi di reale democrazia imboccata dall’Italia. Ma in un anno e mezzo il fenomeno non è stato capace di fare una mazza. Non ce n’erano emergenze quando Conte fu fatto fuori, e semmai, l’unica, è un’emergenza sociale e politica da cui il nostro paese non riesce ad emanciparsi da secoli.

Invece il fenomeno delle banche ci ha vaccinato con più difficoltà di prima, ci ha fatto una riforma della giustizia richiesta solo dai ladri, ha smantellato gli interventi di Stato nell’economia, ha distribuito cariche a piene mani, ci ha precipitato in una guerra di prima linea. E siccome a giudicare è la stampa italiana, quelli del fenomeno sono sembrati altrettanti successi. Ma quando poi giudicano gli altri, l’Europa ad es, ti bocciano la riforma Cartabia e senza clamore di rotative, come se tutte le angosce patite dai giudici italiani e i loro anatemi non fossero mai esistiti. Eppure era facile, come poteva perdere. Dice: giochiamo… “Er mazzo ‘o famo noi, c’avemo tutti l’assi e, quanno nun ce l’avemo, baramo pure”, così non se rivortano le carte sur tavolo de la storia. (“In nome del papa re” di L. Magni).

Ma finalmente è stato smascherato. Sono bastate domande chiare, che pretendevano altrettante chiare risposte, e il fenomeno s’è liquefatto. Ha stracciato il contratto, e ha sbattuto la porta. Non era stato ingaggiato per una cosa tanto difficile: rispondere al bambino (Conte) che tra la folla ha gridato “il re è nudo!” Ovvero, il re è un servo, e manco dei migliori. Lui credeva ancora di essere circondato da palme festanti persino dei grillini, ma ormai non era più così e, piuttosto che farsi scoprire per la sòla qual era, ha preferito sparire.

Sto pensando seriamente a una class action contro un altro fenomeno saltato fuori dalle maglie di questa legislatura. Col mio cognome si annoverano: governatori, alti prelati, magistrati, illustri clinici, artisti (fotografi, fumettisti, attori famosi) e persino un capo mafia, “Tore ‘o guaglione” (Salvatore Di Maio), ma mai un voltagabbana, un traditore di proporzioni così smisurate. Uno che ha tradito la sua parte dopo esserne stato il vertice, e l’ha tradita solo per invidia. Tutti coloro che portano il mio cognome si sentono insozzati dal suo gesto e sarebbe giusto risarcirli.