(Roberta Labonia) – È andato tutto secondo i suoi piani: gli serviva una scusa per mollare il Movimento e l’ha trovata. Mi aspetto che da un ora all’altra rassegni le sue dimissioni. Il casus belli, è proprio il caso di dirlo, gliel’ha offerto il dibattito che ruota in queste ore attorno al conflitto russo ucraino. Dopo le sue dichiarazioni di tre giorni fa con cui ha attaccato frontalmente, senza mai nominarlo, Giuseppe Conte, reo a suo dire di aver disallineato Il Movimento dalle “alleanze storiche” del nostro Paese (leggi NATO e UE) e di aver nientemeno che messo a rischio “la sicurezza nazionale”, dovrebbe cospargersi il capo di cenere e chiedere scusa. Ma non a Giuseppe Conte, bensì al Movimento. E quel suo sarcastico: “mai così male alle elezioni” così da fare un paragone fra la sua e la gestione di Giuseppe Conte, che altro è se non l’esternazione di un risentimento personale verso l’attuale capo politico?

Dal canto suo il Movimento oggi, nello stilare la nota a conclusione della riunione del Comitato Nazionale (vedi link in calce), ci è andato giù pesante nei suoi confronti, lo ha accusato “di gettare grave discredito sull’intera comunità politica del M5S, senza fondamento alcuno”.

Non è un espulsione ma forse è di più: è un vero e proprio voto di sfiducia nei confronti di Luigi Di Maio. Non uno qualsiasi bensì una delle due colonne, insieme al gemello diverso Alessandro Di Battista, che nel 2018 hanno portato il Movimento 5 Stelle al governo del Paese. Insieme ai suoi fedelissimi (pesati tra i 20/30 parlamentari), salvo colpi di scena, con lui se ne andrà un’altro pezzo della storia del MoVimento. Se non sarà scissione ci assomigliera’ molto.

È appena il caso di ricordare che la malparata s’era già vista a gennaio scorso, in occasione delle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica: anche in quel frangente Di Maio non manco di sconfessare pubblicamente la linea Conte reo, ai suoi occhi, di aver sputtanato invano il nome della sua amica dei servizi segreti Elisabetta Belloni.

Oggi Di Maio accusa il Movimento di stare lavorando ad una risoluzione che impegnerebbe Mario Draghi, alla vigilia del prossimo Consiglio Europeo, a farsi interprete e protagonista, a nome dell’Italia, ” di una nuova fase di sforzi diplomatici in tutte le sedi internazionali affinché sia scongiurato il rischio di una escalation militare”.

Risoluzione, questa, che ove domani passasse (ma non passerà se non con le molteplici distorsioni delle altre forze parlamentari), è doverosa. Dopo ormai 4 mesi dall’inizio del conflitto russo ucraino, in un contesto bellico e internazionale profondamente cambiato (in peggio); dopo che Usa e UK hanno imbottito per mesi l’Ucraina di armi per un valore di miliardi senza che ciò abbia spostato di un millimetro le sorti del conflitto, vistosamente sbilanciato a favore dei russi; dopo 3 invii di armi da parte del Governo italiano, secretate quanto non utili se non a consentire a Draghi di sedere accanto alle élite internazionali e avere diritto di parola; dopo un numero di morti (fra cui migliaia di civili), che hanno già superato quelli registrati nella prima guerra mondiale; dopo che in occidente nessuno osa più pronunciare la parola negoziati; con una drammatica recessione alle porte, ebbene un simile indirizzo da parte della prima forza parlamentare e di maggioranza relativa non è un’opzione, è un dovere istituzionale nei confronti del Paese e della cittadinanza tutta. Il Luigi Di Maio della prima ora lo avrebbe fatto suo.

Ma al prode Di-Maio, rimasto folgorato sulla via di-Mario che, come è risaputo, è il migliore, anche questa iniziativa pentastellata non è piaciuta: nella sua nuova veste di politico accreditato presso tutte le principali cancellerie del mondo, incurante di esercitare le sue funzioni pubbliche nel contesto di una democrazia parlamentare qual’è quella italiana, da giorni va intimando ai 5 Stelle di farsi da parte, di non disturbare il conducente che, per quelle strane alchimie prodotte da ogni governo tecnico che si rispetti, brilla di luce propria dovendo rispondere del suo operato solo a se stesso e al sistema tecnocratico che ce lo ha imposto.

Sembrano secoli, e invece sono passati neanche due anni da che Giuseppe Conte, pur di chiara fede atlantista e comunitaria, è andato a Bruxelles e, sotto il peso di un Italia schiacciata da una terribile pandemia, ha battuto i pugni sui tavoli europei imponendo per primo un nuovo spirito di solidarietà che ha fruttato all’Italia qualcosa come 210 miliardi di euro

Oggi a sostenere gli interessi degli italiani abbiamo un banchiere prestato alla politica che, trovatosi suo malgrado a gestire, non una terribile pandemia come ha fatto Conte, bensì gli effetti devastanti di un conflitto in piena Europa (e sfido chiunque di voi a stilare una classifica delle 2 disgrazie che ci hanno colpito in sequenza), ha attaccato acriticamente il vagoncino italiano al locomotore Nato, qualunque ne saranno le conseguenze.

Sua Draghita’ però, su una cosa ci ha visto giusto: messo al timone della nave Italia dal gotha tecnocratico paneuropeo con la mission di debellare la piaga populista incarnata, ai suoi occhi, dai 5 Stelle, ha fatto la mossa vincente sfruttando la sconfinata ambizione e il risentimento di quello che ne è stato, fino a 3 anni fa, il capo politico: Luigi Di Maio, appunto.

Da che tutto il mainstream lo trattava da “bibitaro”, uno che faceva un uso improprio del congiuntivo, lui ne ha favorito la metamorfosi promuovendolo Ministro degli Esteri, facendogli bazzicare gli ambienti che contano, quindi coptandolo nel suo “cerchio magico”: in neanche un anno ne ha fatto una stella nascente della politica nonché un pasdaran dell’atlantismo.

Luigi, di qualcosa di grillino, lo invocavo anche da questo blog fino a pochi mesi fa. Non mi rendevo conto di fino a che punto quel ragazzo appassionato, ingenuo se vogliamo, che a settembre del 2018, dal balcone di Palazzo Chigi, gridava entusiasta di aver sconfitto la povertà grazie al varo del suo reddito di cittadinanza, già non c’era più. Al suo posto oggi c’è un compassato giovin signore che sa di avere il vento in poppa. Oggi che la sua metamorfosi s’è compiuta, può interpretare qualsiasi ruolo il Sistema gli offra di interpretare. Perché da politico anti sistema oggi Luigi Di Maio s’è fatto Sistema, quel Sistema che il Movimento, pur con tutte le sue evoluzioni/involuzioni, ancora oggi combatte nelle sue forme degenerate.

Ha scelto di sedere sulla poltrona dei vincenti, Luigi Di Maio, ha perso però la piccola sedia dei giusti.

(https://www.ansa.it/…/m5s-ecco-la-nota-del-consiglio…).