(Giuseppe Di Maio) – L’aggressività è una parte essenziale della competizione animale, della lotta di classe e della lotta politica. Non è una prerogativa di genere e marchia l’intero destino biologico. Sebbene crediamo ancora all’apparenza dei dibattiti in cui si scontrano le idee, ci sfugge che la vera lotta è ancora per il dominio del territorio, che le vere armi delle contese sono meccanismi che niente hanno a che fare con la ragione. Di Maio è aggressivo. Ho avuto l’avventura d’incontrarlo e so che il suo carattere spinoso non annovera doti di gentiluomo. Uno dei motivi del suo successo è appunto uno spirito in punta di coltello con cui promuove le strategie del momento. Se le idee camminano con le gambe degli uomini (P. Nenni) il temperamento ha un posto determinante nella formazione della volontà generale.

Il M5S non fa eccezione. Anzi, la circostanza di aver evitato un preciso confine ideale ha moltiplicato il potere del destino animale nelle relazioni umane. Proprio nelle file del Movimento la voce passa spesso in secondo piano rispetto al portavoce, e la devozione per il leader è persino maggiore che negli altri partiti. C’è stato un periodo in cui la fiducia degli attivisti nelle qualità dimaiane era assoluta, e c’è stato un periodo in cui Di Maio ha compiuto rinunce non comuni per le ambizioni di un politico. Ma come accade a tutti i suonatori di cetra nel palazzo del re, ad un certo punto ha creduto che la prassi e le ragioni sconosciute ai comuni cittadini fossero superiori alla volontà generale. La permanenza nelle istituzioni lo ha allontanato dall’incarico originario.

A sentirlo adesso diremmo che in politica esiste una verità democratica e una verità tecnica; eppure il M5S era nato per infischiarsene delle questioni reclamizzate come tecniche e per seguire la volontà popolare. Disgraziatamente, una volta eletto, anche l’ultimo portaborse del Movimento dichiara tutte le sue perplessità sul taglio dello stipendio e sulla necessità invece di aumentarlo per garantire meglio il servizio al cittadino. Lo scontro tra la dimensione privata e il pubblico ufficio è il maggiore inconveniente delle democrazie, e la semplice dichiarazione di onestà non basta a superarlo. L’approssimarsi del fine mandato e l’angoscia per la propria vicenda privata producono comportamenti sempre uguali nei nostri rappresentanti qualunque sia la forza politica a cui appartengono. Gli ultimi mesi di legislatura distruggono tutte le speranze con cui era iniziata e i sogni sbandierati in campagna elettorale.

Ho sempre creduto inopportuno fare ricorso al voto della rete per decidere tattiche e strategie: il voto degli iscritti dovrebbe servire solo a disegnare l’indirizzo politico e il confine ideale. Tuttavia questa volta farei un’eccezione. Magari il ministro degli esteri crede veramente nella necessità di sposare le ragioni della Nato e del suo padrone, ma il proprio datore di lavoro è il popolo italiano non quello americano. Perciò, io darei la parola alla rete. La farei esprimere sull’opportunità di inviare armi in Ucraina e, in caso di dissenso col proprio ministro degli esteri, anche sulla permanenza del ministro nell’organizzazione politica a 5 stelle. Oppure Di Maio potrebbe mettere da parte la reattività del suo temperamento e risolvere la sua contraddizione anticipando l’esito del voto.