(Massimo Gramellini – Il Fatto Quotidiano) – Che cos’avrà visto il pugile sudafricano Simiso Buthelezi, quando a causa dei primi segni di un’emorragia cerebrale ha voltato le spalle al suo avversario e ha cominciato a prendere a cazzotti l’aria davanti a sé? Contro quale nemico invisibile si accaniva? Sono immagini terribili e ipnotiche, non riesco a smettere di guardarle e di pensare: ehi, ma quello sono io. Sono io che, dovunque vada, fin da ragazzino, credo sempre che gli altri mi guardino storto o non mi guardino affatto, e mi pongo in modalità difensiva aggressiva per combattere qualcosa che esiste solo nella mia testa. Sono io che non sopporto la strafottenza iraconda di certi professori televisivi perché è la stessa che tengo faticosamente a bada dentro di me. Sono io, ma non soltanto io. È Harry Potter che odia Voldemort pur sapendo che si tratta della sua ombra, o forse proprio per questo. È il famoso giornalista che ha costruito una carriera sugli attacchi a Berlusconi e rimane la persona più simile a Berlusconi che abbia mai conosciuto. È Medvedev che detesta gli occidentali e vive all’occidentale. È il rivale che ci scegliamo in famiglia, a scuola, in ufficio: quello che ci risuona dentro, da invidiare e fermare a qualunque costo, anche di procurare un danno a noi stessi. Finché un giorno ci guardiamo allo specchio e finalmente lo vediamo. È il volto riflesso di De Niro in Taxi Driver: «Ma dici a me? No, dici a me?»

Il povero Simiso Buthelezi è morto. Noi continuiamo a combattere.