(Massimo Gramellini – corriere.it) – Mi chiedo che senso abbia processare un soldato per crimini di guerra durante una guerra. Lasciamo perdere che, almeno nella mia testa, i criminali di guerra sono i politici e gli ufficiali che ordinano i massacri, mentre il primo soldato di Putin a finire davanti a una giuria di Kiev è il sergente ragazzino Vadim, il quale durante una ritirata precipitosa ha sparato a un pensionato in bicicletta che parlava al telefono, nel timore che stesse segnalando al comando ucraino la presenza dei soldati russi.

Non intendo certo assolverlo: egli stesso si è dichiarato colpevole. Ma non avrei cominciato con lui e forse non avrei cominciato proprio con nessuno: non adesso, a guerra ancora in corso. Lo trovo sbagliato e anche un po’ stupido. Sbagliato perché nei processi bisogna maneggiare le leggi, non le emozioni, e durante un conflitto non esistono il distacco e la serenità necessari per distinguere i panni del giudice da quelli del carnefice. Ma lo trovo anche un po’ stupido perché finisce per danneggiare i militari e i civili ucraini nelle mani dei russi, esponendoli al rischio di ritorsioni e maltrattamenti persino peggiori di quelli che già staranno patendo.

Non so cosa preveda la convenzione di Ginevra al riguardo, ma se potessi dare un consiglio a Zelensky, che è giustamente sempre prodigo di consigli per noi, gli suggerirei di sospendere il processo a carico del sergente Vadim. Di rinviarlo alla fine delle ostilità per non trasformarlo, a sua volta, in un atto di ostilità.