(Pietrangelo Buttafuoco) – È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino è la storia di una passione, quella di un ragazzino – dunque il suo romanzo di formazione – per il cinema. L’identico canone di un altro grande racconto, Nuovo Cinema Paradiso, dove un bambino resta a bocca aperta davanti allo schermo del cinema  per trovare nel proiezionista – un magnifico Philippe Noiret – il maestro custode di un unico insegnamento: «Vattene!». Anche nel film di Sorrentino c’è un personaggio – un regista, Antonio Capuano – che si fa carico di un monito: «Non ti disunire» e c’è una zia, eroticissima, a far il paio con la sequenza dei baci tagliati dal prete gestore della sala cinematografica con cui Giuseppe Tornatore descrive l’aspra malinconia chiamata amore. Dopodiché c’è Napoli, in Sorrentino. E c’è la Sicilia, in Tornatore. L’autobiografia dell’uno e dell’altro. Praticamente il Regno del Borbone in forma di ricognizione sentimentale, la fabbrica esclusiva – e scusate se è poco – dei capolavori.