(di  Massimo Gramellini – corriere.it) – In coda a un altro anno di pandemia che ce ne ha concessi ben pochi, vale la pena ripassare gli abbracci migliori. Quelli tra Vialli e Mancini, tra Tamberi e Jacobs e ancor più tra Tamberi e il co-vincitore olimpico Barshim sono inni all’amicizia entrati nell’immaginario non solo sportivo. Ma c’è un abbraccio che è stato fotografato da lontano per ragioni di riservatezza e che forse li batte tutti. Coinvolge due donne che la mattina del 4 ottobre si fronteggiarono per quattro ore sull’orlo di un ponte tibetano del Bellunese.

Una voleva buttarsi di sotto, l’altra cercava di impedirglielo
. Una era una professoressa con tre figlie a carico che aveva perso il lavoro per via del Covid e la luce a causa di una depressione capace di svuotarle di senso ogni gesto e ogni ruolo, compreso quello di madre. L’altra, Martina, era una giovane carabiniera che avrebbe potuto essere la sua quarta figlia e dopo quattro ore trovò il modo di dirglielo: «Credi che preferirei una madre morta a una madre piena di problemi?». È stato in quel momento che è successo qualcosa.

La carabiniera si è alzata lentamente, si è avvicinata alla professoressa 
e ha allungato le braccia. Per un istante infinito ha creduto di vedere sua madre davanti a sé. Anche la professoressa ha allungato le braccia, finché le sue mani hanno trovato quelle di Martina e le due donne si sono strette l’una all’altra. Spesso le parole fanno danni. A volte, però, fanno miracoli. Auguri, e un abbraccio a tutti voi.