(Francesco Erspamer) – I giornalisti più inetti e servili del pianeta si stracciano le vesti: «Rischio censura!». Non gli è mai importato nulla che con la scusa del garantismo a oltranza e della «privacy» (non a caso un anglicismo che ha imposto anche in Italia un valore tipico del liberismo americano, fondato infatti sulla preminenza del privato rispetto al pubblico) i corrotti e i miliardari abbiano continuato a farla franca. Gli importa solo, ai giornalisti, di poter sparare cazzate impunemente e irresponsabilmente, senza informarsi, senza verificare, senza riflettere, guadagnandosi così la riconoscenza ben materiale delle celebrity e delle multinazionali da loro spalleggiate. Non credo proprio che ci sia un diritto alla menzogna, alla superficialità, all’ignoranza, alla complicità con i potenti; e vedrei volentieri censure e punizioni, anche penali e severe, per chi si abbandoni a esse.

Giustamente John McCormick, politologo e storico dell’Università di Chicago e autorevole studioso di Machiavelli, ha recentemente proposto (sulla scorta delle esperienze della democrazia ateniese e della repubblica romana) la pena di morte per i troppo ricchi che commettano reati: troppo facile per loro coprire i propri delitti e le proprie inadempienze, o cavarsela con multe per loro irrisorie o arresti domiciliari in ville sontuose: la legge non fa loro paura. Ma un buon deterrente sarebbe la certezza, se presi e condannati, di perdere il patrimonio e la testa (letteralmente).Così i giornalisti e i cosiddetti influenzatori, oggi di moda benché nessuno capisca cosa facciano se non vendere sé stessi a scopo di lucro; anche per loro, in riconoscimento del ruolo determinante che svolgono nella società mediocratica, le eventuali condanne dovrebbero essere di estrema severità se non capitali. I rischi di commettere un’irrimediabile ingiustizia sarebbero minimi: nel circo della sedicente informazione italiana (parlo dei quotidiani nazionali e dei telegiornali) ci sono meno persone degne di essere salvate o redente che quelle accolte da Noè sull’Arca.