(Natalia Aspesi – la Repubblica) – (…) Ho voluto rivedere più volte gli attimi, meno di un secondo, delle immagini incriminate e ho visto: una ragazza carina con microfono, jeans e giubbino, raccontare la fine della partita Empoli-Fiorentina all’uscita, un gruppo di tifosi maschi come sempre eccitati correre via, e il più arrabbiato, immagino io, per la sconfitta della sua squadra ha sfiorato con la mano sinistra la natica destra della giovane cronista che, sorpresa per un secondo, da brava professionista ha continuato il suo lavoro.

Bisognerebbe anche ricordare che il tifoso non è solitamente maestro di bon ton, e ne fa anche di molto peggio: e al massimo gli fanno una sgridatina e via. Io sto ovviamente con la collega, ma non col clamore che ha suscitato, non meno indignato (ma mi auguro più brevemente) di quando un reporter viene ucciso sul suo lavoro, come purtroppo capita.

Ho letto e sentito i soliti sfregi all’italiano, per esempio definire schiaffo (che si riferisce solo al volto) la manata sul sedere, chiamare “parti intime” le natiche valorizzate dai jeans quindi non particolarmente occultate, definire “palpeggiamento” un tocco veloce e paragonarlo a un “crimine”.

C’è chi mi ha scritto come uomo “di sentire il dovere di proteggere le sue donne” (non so le altre), guai se capitasse loro una cosa così, saprebbero cosa fare! A parte che le donne sono in grado di difendersi, malgrado la moda, del resto già alla fine, del vittimismo: decenni fa quando ventenni sui tram affollati una mano o altro sul sedere era abituale, ci eravamo allenate con un famoso colpo di fianco che provocava mugolii al malcapitato villano e stroncava ogni suo maldestro tentativo di sopruso.

Forse eravamo più forti, forse più cattive, forse persino più allegre. Per cui mi dispiace io, e spero non solo io, oggi voglio fare la differenza tra offesa e crimine e penso che una mano sul sedere esiga delle scuse ma non meriti l’ergastolo, anche perché penso che nel tempo del fattaccio tre persone morivano sul lavoro. Tutti ad occuparsi di quel sedere, nessuno di quei tre morti. Quindi grazie Repubblica, che non sempre mi piaci, per aver osato ricordarcelo e farci provare vergogna.