(Raffaele Pengue) – Diciamo la verità. Che senso hanno le manifestazioni e i convegni in cui si sostiene che lo sviluppo del turismo potrebbe dare grande impulso all’economia guardiese? “Abbiamo il dovere di valorizzare i nostri borghi, per farne un nuovo attrattore di visitatori. Un obiettivo, tra gli altri, teso alla riscoperta delle bellezze e delle tradizioni…” Certo, il patrimonio storico, culturale, religioso ed enogastronomico della nostra comunità è invero notevole, ancorché poco e male sfruttato. Tuttavia, quand’anche riuscissimo nell’impresa, per noi guardiesi ciclopica, di organizzarci e sfruttare al meglio le risorse a disposizione, non potremmo raggiungere grandissimi risultati. I freddi numeri, purtroppo, riportano tutte le elucubrazioni sul turismo (enoturismo), più o meno dotte, alla cruda realtà. Se si vuole seriamente presentare Guardia c’è solo bisogno di serietà e dignità non di retorica, men che meno di demagogia tossica e deleteria. Ma quale turismo. Checché se ne dica Guardia altro non è che una comunità trasformata in non-luogo. Uguale a mille e mille paesi d’Italia. Senza identità. Alla pari dei mille e mille paesi nati in cima a colline o montagne, attorno a castelli o conventi per proteggersi da nemici. Solo che oggi i nemici non arrivano dal mare o dalle pianure e le strade del progresso percorrono altre vie.

Da qualche decennio Guardia ha dismesso il suo essere spazio antropologico, con una identità culturale, relazionale e storica ben definita. È uguale ai tanti (troppi) piccoli paesi che la storia economica ha messo ai margini delle dinamiche sociali, economiche e politiche. Oggi Guardia d’improvviso diventa borgo! Ma Guardia non è più quel luogo dove ti alzi la mattina e appena esci fuori trovi il sole. Sempre. D’estate e d’inverno. Un sole che ti scalda, l’anima. Un paese dove ti viene il sorriso anche se non ti va. Dove tutto profuma. Dove guardi il suo profilo e ti innamori. Sempre. Dove osservi il suo cuore antico e un senso di pace ti attraversa. Ci si rifugia nel termine borgo, che diventa un neutralizzatore delle complessità presenti nel paese e lo trasforma artatamente in un luogo estetico, artistico, emotivo e anche poetico, di memorie artificiali da rendere social. Ma il concetto di borgo omologa: stessi eventi alla pari dei mille e mille paesi sparsi lungo lo stivale, sagre, monumenti storici, piatti tipici, stesse insegne. Luoghi fatati circondati da silenzi, sospesi nel tempo, atmosfere uniche. Un immaginario romantico rurale per pochi cultori. Portare manifestazioni enogastronomiche (sporadiche e limitate nel tempo), micro eventi in un piccolo centro può renderlo più attrattivo? Non proprio. Denominare Guardia borgo, inserirla in reti nazionali, designarla con qualche titolo o bandiere, non migliora all’improvviso la sua condizione; le disuguaglianze e le contraddizioni territoriali rimangono tutte.

Diciamolo chiaramente, oggi la realtà racconta di un paese senza giovani, una comunità caotica, degradata, senza spazi culturali, senza trasporti e mezzi pubblici, lavori pubblici mai conclusi, senza scuole, senza servizi essenziali, soltanto bar, dove giovani e anziani si incrociano, e le poche attività sportive o ricreative sono distanti chilometri. Un luogo dove si crede che vendere case del centro storico agli stranieri a prezzi di saldo diventa un’idea di riscatto e non di sconfitta. Paese che se non cambiano le dinamiche in atto è destinato a essere parte del grande libro dei paesi scomparsi. E chi rimane diventa un resistente, non un resiliente – come si usa dire oggi -, in un luogo che non ha il ritmo della società dei consumi e dove lo spirito del tempo moderno sta “consumando” il genius loci. Guardia è un paese che muore senza avere diritto di morire con dignità dopo che gli è stata tolta la dignità di vivere. Guardia – e i mille e mille paesi d’Italia – soffre della mancanza degli investimenti strutturali giustificati da assenza di sostenibilità economica degli investimenti stessi. “Abbiamo una grande opportunità – recita la politica – costituita dai fondi del Recovery, e non possiamo sprecarla”. Poi guardi le foto del centro storico e ti accorgi che manca qualcosa: la vita. Magari le infrastrutture arriveranno (o forse no) ma quanti sono disposti ad abitare il nostro borgo antico? È questa la vera domanda da porre nei convegni e che non possiamo delegare a nessuno. Forse è meglio lasciar morire i paesi come Guardia che far vivere loro l’umiliazione di essere svenduti come cianfrusaglie al mercato delle pulci! Ormai questo glorioso paese si trascina come un moribondo afflitto da mali mai curati; lo spopolamento è l’effetto della malattia non la malattia. Forse è meglio evitare l’accanimento terapeutico e affrontare seriamente con tristezza la realtà: Guardia è solo uno dei tanti paesi che non ce la fanno a sopravvivere alla contemporaneità! Perché – checché ne dicano gli entusiasti -, resta quel che era, solo più triste e più vecchio.

(foto tratta dal web)